BOVES - Omicidio Nada Cella, un castello di bugie per coprire la verità

Ritornano al centro delle indagini le quattro telefonate che una cliente fece allo studio di Soracco: “Sapeva che non era stato un incidente” affermano gli inquirenti

in foto: Marco Soracco, datore di lavoro di Nada Cella

Andrea Cascioli 22/10/2023 10:01

Soracco ha sempre saputo. Ne è convinta la Procura di Genova e così, ventisette anni dopo l’atroce delitto di Nada Cella, si riapre la pista investigativa che porta al datore di lavoro della vittima. All’epoca il commercialista fu indagato - poi scagionato - come possibile esecutore dell’omicidio, avvenuto proprio nel suo ufficio di via Marsala a Chiavari. Oggi questa possibilità è esclusa, ma è vivo il sospetto, non meno inquietante, che Marco Soracco conoscesse fin dal primo momento l’identità della persona che aveva colpito e sbattuto a terra la 24enne, fino a sfondarle il cranio.
 
Questa persona per gli inquirenti ha finalmente un nome. È quello di Annalucia Cecere, allora 28enne donna delle pulizie, impegnata a rifarsi una seconda vita dopo un’infanzia in orfanotrofio e un figlio avuto da un uomo molto più grande, che era stato suo genitore affidatario. La terza vita della giovane sarebbe cominciata pochi mesi dopo a Cuneo, dove la Cecere ha trovato un marito, un figlio e per un breve periodo anche un lavoro come maestra: lunghi anni di pace familiare in una villetta a Mellana di Boves, interrotti nel novembre del 2021 dalla notizia della riapertura delle indagini, per quel delitto di un quarto di secolo prima.
 
Ma perché Soracco dovrebbe aver mentito per coprirla? Questa è la grande domanda a cui il sostituto procuratore Gabriella Dotto e il procuratore Francesco Pinto, artefici della nuova inchiesta sul “cold case”, dovranno rispondere. Il commercialista ha sempre detto agli investigatori di aver pensato a un malore o a una caduta, quando aveva trovato la sua segretaria “a terra in un lago di sangue”, come spiegherà lui stesso nella telefonata al 118. Ma si sa per certo che quella non era stata la prima telefonata in ufficio, la mattina del 6 maggio 1996. Ce n’erano state altre arrivate dai clienti, in particolare una, la signora Giuseppina Vaio, che aveva chiamato ben quattro volte. La prima volta, alle ore 8,45, senza ricevere risposta. Poi pochi istanti dopo le nove, quando per due volte una donna le aveva risposto in tono sbrigativo che aveva sbagliato numero e aveva messo giù. Alle 9,20, finalmente, avrebbe risposto il titolare, parlando di quanto era capitato alla segretaria. Le tempistiche sono fondamentali, perché dimostrerebbero che Soracco non era stato la prima persona ad arrivare in ufficio e trovare Nada negli spasmi dell’agonia. Prima c’era stata una donna, appunto: l’assassina? O un’altra ancora?
 
La testimone aveva parlato di “una voce non giovanile”. Per la Procura potrebbe trattarsi di Marisa Bacchioni, la mamma di Soracco, che abitava col figlio e la sorella Fausta al piano di sopra. La vedova Soracco, professoressa di filosofia in pensione, oggi è sotto inchiesta insieme al figlio per favoreggiamento, oltre che per l’ipotesi originaria di false dichiarazioni. Sull’anziana si addensano altre ombre, su tutte la grave responsabilità di aver lavato il sangue di Nada dalle scale, con straccio e scopa, prima che i poliziotti potessero effettuare i rilievi. Quel gesto, che forse cancellò tracce decisive per l’individuazione del colpevole, è sempre stato visto come una leggerezza commessa da una maniaca dell’ordine. Ora, però, si sospetta che non fosse un’azione innocente, ancorché sconsiderata, anche perché sia lei che il figlio - si fa notare - avevano evitato di toccare il corpo di Nada o qualsiasi oggetto. Lei stessa avrebbe confidato a un religioso i suoi sospetti riguardo a “una donna che aveva mire matrimoniali su suo figlio”, stando a quanto si legge nelle carte della Procura. Ma perché non farne parola con chi conduceva le indagini? E perché anche Soracco avrebbe aspettato anni prima di rivelare che una sua amica, la sera stessa del delitto, aveva ricevuto una telefonata da una donna che si candidava a prendere il posto di Nada in ufficio?
 
È possibile che quella donna fosse Annalucia Cecere, già conosciuta da Soracco qualche tempo prima e forse interessata a lui anche in senso sentimentale? Ed era lei che a fine maggio, meno di un mese dopo il delitto, da una cabina telefonica avrebbe chiamato il commercialista presentandosi come “Anna”? Era stata una conversazione surreale, quella, dove la voce femminile aveva pronunciato solo poche parole: “Sono Anna, io non sono innamorata di te. Anzi, mi fai proprio schifo”. Lui e la Cecere si conoscevano appena, ha sempre detto e ribadito Soracco. Non c’era quindi nessuna ragione, da parte della donna, per esplicitare in modo così crudo il proprio disinteresse. Ma tantomeno ci sarebbe stato motivo, per Soracco e la madre, di adoperarsi a coprire un crimine perpetrato da una perfetta sconosciuta. Eppure troppe circostanze continuano a non combaciare, soprattutto quelle relative a varie misteriose conversazioni telefoniche: tra la signora Vaio e la donna che rispose in via Marsala, tra Soracco e la sconosciuta Anna, ma anche tra la Bacchioni, un avvocato chiavarese e vari altri interlocutori e la mai identificata “signorina”. Cioè la donna che per prima in una serie di telefonate aveva parlato di Anna, raccontando di averla vista allontanarsi “tutta sporca” da via Marsala, nell’ultima mattina trascorsa da Nada su questa terra.

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