CUNEO - Pascoli ‘fantasma’, cinque allevatori alla sbarra per i contributi europei

Ammonta a oltre 2 milioni la presunta frode contestata alle aziende agricole, che avrebbero percepito contributi per alpeggi inesistenti

a.c. 11/07/2019 09:10


L’avevano chiamata operazione ‘Heidi’, anche se le caprette c’entravano poco perché si parlava più che altro di bovini. A dire il vero pare che in alcuni pascoli non si siano visti nemmeno quelli, sebbene i contributi europei della PAC fossero stati erogati proprio per l’utilizzo degli alpeggi.

Sui fondi accreditati per gli anni 2013 e 2014 a cinque allevatori della Granda e del Torinese verte il processo che sta per concludersi presso il tribunale di Cuneo: il sostituto procuratore Alberto Braghin contesta i reati di frode comunitaria e malversazione a E.G. di Marene, A.G. di Sant’Albano Stura, S.S. di Cherasco, G.B. residente nel Torinese e A.B. di Chiusa Pesio, assistiti dagli avvocati Alberto Leone, Stefano Barzelloni, Elio Botto, Francesco Gambino e Raffaella Giuliano.

In comune i cinque avevano l’appartenenza alla cooperativa ‘Il Falco’ di Marene, che prima della bufera giudiziaria del 2015 contava 80 soci e offriva alle aziende agricole un ‘pacchetto completo’ di documentazioni per accedere ai finanziamenti tramite Arpea, l’agenzia regionale preposta alle erogazioni di fondi rurali Ue. In totale le cifre contestate ammontano a oltre due milioni di euro, che secondo l’accusa gli imputati non avrebbero avuto diritto di percepire o perché chiedevano in concessione gli stessi terreni, o perché negli alpeggi indicati nelle loro carte non avrebbe mai pascolato nessun animale.

Al centro della contesa legale, in particolare, alcuni appezzamenti collocati nell’alpe Sabbione di Entracque, dove secondo i rilevamenti effettuati dalle guardie forestali sarebbe stato impossibile condurre al pascolo ovini o bovini, e nel comune di Valdieri. Esaminando le posizioni di G.B. e A.G., il pubblico ministero afferma che ”il mancato pascolamento è prova inconfutabile e oggettiva della responsabilità penale degli imputati”.

All’allevatrice E.G., titolare di un’impresa a Marene, l’accusa contesta invece il fatto che i terreni assegnati per il 2013 nel comune di Traversella, in Val Chiusella, distassero oltre 200 km dall’azienda stessa: questi pascoli di Traversella venivano ‘rivendicati’ nel 2014 da A.B. di Chiusa Pesio ed entrambe le aziende allegavano alle loro domande un modello firmato da un altro pastore, B.T., che in udienza ha dichiarato di non conoscere nessuno dei due. C’è infine il cheraschese S.S., il quale si sarebbe avvalso di una documentazione riferita a terreni utilizzati da altri.

Stante la diversa entità dei contributi percepiti, le imputazioni più gravi sono quelle a carico di G.B. e S.S., per i quali sono stati chiesti 3 anni di reclusione. Per A.G. la Procura ha proposto la pena di 1 anno e 6 mesi, per E.G. 1 anno e 3 mesi e infine per A.B., stante il modesto importo del contributo erogato, 9 mesi. L’Arpea, costituitasi parte civile contro tre degli allevatori, ha chiesto risarcimenti fino a 820mila euro oltre a un danno di immagine stimato nel 10% del danno patrimoniale subito.

L’impianto accusatorio viene rigettato in toto dal collegio difensivo. Si contesta intanto la sussistenza della truffa, perché nessuno avrebbe cercato di trarre in inganno Arpea falsificando i contestati ‘modelli 7’: “I modelli 7 sono generici, nascono per ragioni sanitarie e solo per prassi si è cominciato a inserirli nelle domande per i contributi” argomenta l’avvocato Elio Botto, sottolineando il fatto che Arpea non avesse comunque basato le proprie valutazioni su di essi. Inoltre, va tenuto conto che “i mappali sono entità astratte che non coincidono con qualcosa di fisicamente esistente. Se si affitta mezza montagna, perché discutiamo di appezzamenti enormi, è normale che ci si sposti o che i terreni siano subaffittati”.

All’interno di alpeggi estesi per migliaia di ettari, insomma, sarebbe fisiologico che vi siano tratti impraticabili o sconfinamenti. Un tema ripreso dall’avvocato Stefano Barzelloni, il quale sottolinea: “Le aziende non avevano fatto richieste per terreni su cui sapessero esserci laghi o pietraie. Qui non c’è volontà di indurre in errore e nemmeno ci sono falsi, perché non si parla di soggetti che si siano finti agricoltori per ottenere contributi indebiti”.

Per il prossimo 2 ottobre si attende il verdetto del tribunale collegiale.

Notizie interessanti:

Vedi altro