CUNEO - Pregiudicato percepì il reddito di cittadinanza senza averne diritto, condannato a due anni

Sotto accusa un cuneese dopo i controlli. Il pm: “Ha pensato fossero soldi piovuti dal cielo”. La difesa: “Tutto un equivoco, al Caf gli posero una domanda non chiara”

a.c. 20/03/2023 18:15

A quattro anni dall’approvazione della norma, il tema del reddito di cittadinanza si affaccia sempre più spesso nelle aule di giustizia, man mano che i procedimenti giungono a dibattimento. Segno che i controlli ci sono stati e ci sono, si potrebbe rilevare. Nella maggior parte dei casi, va anche detto, le presunte truffe non c’entrano con gli episodi eclatanti denunciati nelle grandi inchieste: si tratta perlopiù di scostamenti nell’indicare i redditi percepiti o altri dati personali, che tuttavia costituiscono false dichiarazioni.
 
Il punto in questi casi è stabilire se si tratti di un puro e semplice errore materiale o di una bugia detta (e firmata) a bella posta. È questo il caso che doveva dirimere stamane il tribunale di Cuneo, relativo a un pregiudicato residente nel capoluogo, M.N., accusato di aver omesso di comunicare la condizione in cui si trovava dal punto di vista giudiziario. Quando presentò la domanda per l’ammissione del beneficio, era infatti ancora sottoposto all’obbligo di firma a seguito di un arresto avvenuto nell’agosto del 2020.
 
La legge impone che chi fa richiesta di ricevere il reddito di cittadinanza non abbia misure cautelari pendenti: non vale solo per quanti fanno i conti con l’ovvio impedimento costituito dalla reclusione o dagli arresti domiciliari, ma anche per chi è sottoposto a un divieto di espatrio, un allontanamento o - appunto - un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Gli accertamenti a carico di M.N. erano stati effettuati dai carabinieri di Cuneo nel giugno del 2021. Era emerso che il soggetto percepiva il reddito di cittadinanza dal dicembre precedente, quando era già sottoposto alla misura. La domanda era pervenuta all’Inps attraverso il patronato dell’Acli: l’operatore che la compilò e la fece firmare al richiedente ha precisato di avergli chiesto “se nel nucleo familiare ci fossero persone in carcere o agli arresti domiciliari”, ma la difesa dell’imputato sostiene che l’uomo abbia equivocato. In altre parole, avrebbe risposto di non avere parenti nei guai con la giustizia perché dava per scontato che l’Inps fosse già al corrente delle sue vicende.
 
Un’ipotesi che tuttavia non ha convinto né il pubblico ministero né il giudice: “Mi sento di ritenere che la buona fede da parte sua non vi fosse” ha concluso il procuratore Alessandro Borgotallo. Questo alla luce del fatto che “M.N. qualche problema con la legge lo ha avuto ed è consapevole dei rischi che queste dichiarazioni comportano. Ha pensato che fossero soldi abbastanza facili, 400 euro al mese ‘piovuti dal cielo’”. Il tema dell’esclusione dal reddito di chi abbia pendenze con la giustizia, ha aggiunto il pm, “è stato approfondito sulla stampa ed è alla portata di tutti”. Si trattava invece di un mero equivoco a parere dell’avvocato difensore Leonardo Roberi: lo avrebbe provato il fatto che l’autore della dichiarazione “non aveva il testo sotto mano, ma gli veniva ‘riassunto’ dal funzionario del patronato, il quale ha posto le domande nella convinzione che le misure cautelari interessate si limitino al carcere o ai domiciliari”. A M.N., insomma, “è stato chiesto qualcosa di diverso rispetto a ciò che doveva essere chiesto e lui ha risposto in maniera corretta a una domanda sbagliata”.
 
Il giudice Emanuela Dufour ha invece ritenuto provata la responsabilità dell’uomo, condannandolo a due anni di carcere contro i due anni e due mesi richiesti dall’accusa.

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