Liti continue, urla e minacce rivolte anche ai vicini che cercavano di “mettersi in mezzo”. Un atteggiamento da “padre padrone”, quello di un uomo residente a Boves, riflesso nell’assurda pretesa che chi viveva di fianco a lui, perfino i bambini, non salutasse moglie e figlia per strada: “Perché loro sono mie” aveva spiegato in un’occasione. “Spesso incrociavo lo sguardo di lei e avevo addirittura paura a salutarla, alla bambina facevo un cenno con la mano” conferma una testimone. L’uomo, originario di Brindisi, è stato condannato a due anni e sei mesi di carcere per maltrattamenti e lesioni nei confronti della moglie. I giudici hanno confermato nei suoi confronti l’applicazione della libertà vigilata, finché non sarà disponibile un posto in una struttura psichiatrica Rems: al condannato infatti è stata riconosciuta la seminfermità mentale, come richiesto anche dalla Procura che aveva formulato una proposta di pena di tre anni e tre mesi. “Ero terrorizzata da lui. È capitato che spaccasse bottiglie e sbattesse i portoni del garage, bussando contro il muro con qualche oggetto” racconta una vicina di casa, sostenendo che tutto il quartiere era “agghiacciato da questa situazione”. Spesso sentiva i due litigare in tedesco (la lingua madre della moglie), rumori forti e musica per tutta la notte: “A volte lei gli diceva di smettere, lui la insultava: le dava ordini, la considerava inferiore”. Gli insulti erano indirizzati anche agli estranei, talvolta: “Urlava contro i vicini, chiamandoli ‘cog…’ e dicendo che se non riuscivano a lavorare era colpa loro, lui aveva il reddito di cittadinanza e finché c’era il Covid e aveva la bambina non avrebbe dovuto fare niente”. La moglie, dice, in una sola occasione era venuta a chiedere dei cerotti, senza spiegare il perché: “Non si esprimeva molto in italiano”. Anche di fronte ai carabinieri di Borgo San Dalmazzo, infatti, aveva avuto bisogno di un interprete per formalizzare la denuncia, nell’agosto 2021. In quell’occasione era accompagnata dai genitori, con cui poi era tornata in patria senza farsi mai più vedere in Italia, nemmeno per deporre nel processo contro l’ex coniuge. Agli atti, oltre alla querela, c’è un referto che indica ferite guaribili in quindici giorni. Si è parlato, ricorda il sostituto procuratore Francesca Lombardi, del fatto che fosse stata “costretta a indossare occhiali e una sciarpa durante una vacanza al mare, perché non si vedessero i segni delle percosse”. Le minacce erano estese ai nonni, rivolgendosi alla bambina il padre avrebbe detto “i nonni sono morti, dormono in cielo”. “Un calvario umano” sostiene l’avvocato Fabrizio Di Vito, riferendosi ai lunghi periodi di ricovero, talvolta volontario, affrontati dall’uomo: “Siamo davanti a un uomo malato, ancor prima che imputato, tossicodipendente da oltre trent’anni”. Per la difesa c’era comunque troppo poco per parlare di maltrattamenti, cioè di atteggiamenti perduranti nel tempo: “C’è un solo precedente penale per disturbo alla quiete, dopo la denuncia dei vicini per la radio. Se i vicini avessero avvertito questioni che travalicavano i rapporti litigiosi, probabilmente i carabinieri sarebbero intervenuti più spesso”.