CARAGLIO - Settemila euro per far venire in Italia una bella russa: ma è tutta una truffa

Il sogno d’amore di un 50enne caragliese è finito con un processo per riciclaggio. Dietro all’annuncio sul sito d’incontri c’era un hackeraggio ai danni di un’azienda

Andrea Cascioli 29/11/2023 15:30

Sesso e denaro sono i moventi più tipici di quasi ogni delitto. In questo caso, però, i soldi erano quelli di qualcun altro. Quanto al sesso, si può dire che è rimasto una flebile speranza. Sempre più flebile, finché alla sua porta hanno bussato i finanzieri: a quel punto anche lui, un cinquantenne caragliese con moglie e figli, deve aver capito che la bella Katrina non sarebbe mai arrivata “dalla Russia con amore”.
 
In compenso è arrivato un decreto di rinvio a giudizio, per il reato di riciclaggio. Roba seria, perché la pena minima ammonta a quattro anni di carcere: tanti quanti ne ha chiesti il sostituto procuratore Pier Attilio Stea, dopo un’opportuna lavata di capo. I giudici del tribunale collegiale, per fortuna dell’imputato, sono stati più clementi e lo hanno assolto “perché il fatto non costituisce reato”.
 
La strana vicenda risale al febbraio di tre anni fa, epoca in cui il caragliese, muratore di professione, ormai da tempo si intratteneva con una ragazza russa conosciuta su un sito d’incontri. Era un periodo in cui il rapporto con sua moglie non funzionava, ha spiegato. Tra le tante richieste di foto o soldi, Katrina era l’unica ad avergli proposto uno scambio almeno in apparenza più “pulito”: “Raccontava che le servivano soldi per venire in Italia: suo fratello poteva inviargliene solo pochi per volta, tramite Western Union. Perciò avevano pensato alla possibilità che il fratello girasse il denaro a me. A mia volta li avrei mandati a un’agenzia, perché le procurasse i documenti”. L’uomo non si era insospettito nemmeno quando la sua banca l’aveva convocato, chiedendogli cosa stesse succedendo sul suo conto. Risultava che ben settemila euro erano arrivati da un’azienda di Bastia Umbra, con la causale “pagamento affitto”. Il titolare li aveva girati, con un ulteriore bonifico, sul conto aperto da tale Iana Otakova, presso una banca online tedesca. Anche in questo caso, la motivazione del pagamento appariva bizzarra: un acquisto di mobili.
 
“Mi era stato detto di mettere quella causale, perché non si conoscesse il vero scopo del bonifico” ha ammesso candidamente l’accusato. Ovvio che nemmeno la moglie, cointestataria del conto, sapesse a cosa sarebbero dovuti servire quei soldi: “Non le ho spiegato tutto questo, per vergogna: mi ero accorto di aver fatto una stupidaggine. Anche i messaggi sul sito di incontri li ho poi cancellati”. Quelli la signora aveva fatto in tempo a leggerli, però: “Sul suo telefono - conferma lei - ho trovato messaggi provenienti da diverse donne, di cui non ricordo i nomi. Alcuni in un italiano scritto malissimo, altri in lingue straniere. In precedenza avevo chiesto a mio marito a cosa si riferisse quell’operazione bancaria, lui aveva dato varie spiegazioni diverse. Quando poi sono arrivate le forze dell’ordine a casa, io sono caduta dal pero”.
 
Dalle indagini della Polizia Postale di Perugia, si sarebbe appurato che l’intera faccenda era frutto di un hackeraggio ai danni di un’imprenditrice. I malviventi avevano in sostanza “duplicato” l’Iban della persona a cui lei avrebbe dovuto pagare l’affitto. Un tipo di frode informatica noto come “man-in-the-middle”, alla quale aveva collaborato - senza saperlo - l’incauto caragliese. In tasca non gliene è venuto nulla, conferma il pm stesso, ma qualche campanello d’allarme sarebbe dovuto risuonare: “Erano false sia la causale del bonifico in arrivo, sia quella del bonifico in uscita che lui si è prestato a mettere. In più i soldi erano indirizzati a una persona fisica, non a un’agenzia, come gli era stato detto. In banca l’imputato ha rifiutato la restituzione dei soldi, quando poteva ancora annullare il bonifico”.
 
Tuttavia, ha sostenuto l’avvocato Attilio Martino, suo difensore, “quella dell’imputato è una ricostruzione credibile della trappola in cui si è infilato”. Vero che nella storia un bel po’ di cose non tornavano, ammette il legale, ma non si poteva pretendere il muratore si ponesse la questione della truffa informatica: “È stato lui ad essere raggirato e indotto in errore” sostiene invece la difesa. In tribunale la spiegazione è bastata. A casa, certo, è un altro paio di maniche.

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