CUNEO - ‘Sono stato strattonato dagli agenti in Questura. Poi mi hanno denunciato’

Parla il 27enne accusato di aver imbrattato il centro storico di Cuneo con graffiti ‘satanici’: ‘Ero tentato di usare la bomboletta, ma non l’ho fatto’

a.c. 04/10/2019 18:42


“Quando il mio amico mi ha mostrato la bomboletta, ho avuto la tentazione di usarla per lasciare un segno nel mondo. Ma non l’ho fatto”: a parlare è il 27enne D.M., uno dei due giovani denunciati nel novembre 2017 perché ritenuti responsabili di una serie di imbrattamenti su edifici, portoni, auto, bidoni e vetrine di negozi nel centro storico di Cuneo, tutti ‘segnati’ dalla stessa bomboletta a spray giallo.  Era la domenica mattina in cui si sarebbe corsa la Straconi, e la città si era risvegliata trovando decine di scritte e graffiti tra cui ricorrevano la A cerchiata simbolo dell’anarchia, la stella di Davide e la cifra ‘satanica’ 666. I vandali avevano scorrazzato nella notte in un’area compresa tra l’inizio di viale Angeli, via Bonelli, via Alba, via fratelli Ramorino e altre ancora, deturpando tra l’altro la sede del tribunale civile (ex scuola Lattes) e della ex chiesa di Santa Chiara in via Savigliano, sul cui portone venne tracciato il celebre 666 che nell’Antico Testamento - e nella simbologia satanista - rappresenta il ‘numero della Bestia’. Grazie alle immagini delle telecamere erano stati individuati e denunciati due giovani cuneesi: J.S., il proprietario della famigerata bomboletta, ha ammesso le sue responsabilità e patteggiato, mentre D.M. continua a sostenere la propria assoluta estraneità. “Sono un giovane precario e non ho mai avuto problemi con la giustizia” ha affermato in aula, aggiungendo che non avrebbe avuto remore a denunciare l’autore dell’imbrattamento: “Ai poliziotti ho confermato che era presumibile che J.S. avesse fatto quelle scritte. La sera prima eravamo insieme, lui aveva con sé la bomboletta e ho avuto la sensazione che volesse servirsene”. I due amici avevano trascorso la serata in giro per locali, fino a tarda notte. Poco prima delle cinque si erano separati: D.M. sarebbe andato per la sua strada, salutando J.S. e altri ragazzi che si trovavano con loro. Il fatto è stato confermato dallo stesso J.S. nella scorsa udienza e da un altro amico in quella odierna. D.M. si trova a rispondere anche di resistenza e minaccia a pubblico ufficiale, perché avrebbe ingiuriato e minacciato un agente dopo l’interrogatorio in Questura. Su questo punto la sua versione dei fatti è opposta a quella fornita dai poliziotti: “Quando mi hanno mostrato il verbale, ho notato due frasi che mi indicavano come corresponsabile dei fatti e ho detto che non avrei firmato. Ho anche chiesto di poter parlare con un avvocato, ma mi è stato rifiutato”. Un agente allora l’aveva accompagnato fuori dalla stanza per la fotosegnalazione, alla quale il giovane afferma di aver opposto resistenza ‘passiva’: “Il poliziotto mi ha strattonato per il bavero mentre due suoi colleghi mi trascinavano per i polsi. Io avevo le mani alzate, mi sono lasciato cadere a gambe incrociate e ho gridato aiuto, senza scalciare né usare violenza”. Solo dopo l’intervento di un dirigente di Polizia l’indagato aveva accettato di farsi fotosegnalare, per poi andarsene: “La presunta minaccia - aggiunge - consiste nel fatto che uscendo ho fatto presente che avevo lividi sui polsi e che sarei andato in ospedale a farmi refertare. Cosa che in effetti ho fatto. In seguito mi sono recato in caserma dai carabinieri per sporgere denuncia, ma me l’hanno sconsigliato”. Poco tempo dopo, invece, era stato proprio lui a vedersi recapitare una denuncia. Il prossimo 4 novembre è prevista l’ultima udienza del processo.

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