CERVASCA - Sparatoria a Cervasca, in aula il perito balistico: ‘Quei colpi potevano uccidere’

Nel 2015 il ‘regolamento di conti’ tra un pizzaiolo calabrese e uno spacciatore albanese terminò con il ferimento di quest’ultimo

a.c. 02/10/2019 20:46

Quella notte a Cervasca poteva davvero scapparci il morto. La conferma arriva dal perito balistico incaricato di analizzare i bossoli e gli altri reperti che furono ritrovati sulla scena della sparatoria, avvenuta nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2015 e terminata con il ferimento di un cittadino albanese residente a Caraglio.
 
Il trentenne K.S., noto alle forze dell’ordine come spacciatore di stupefacenti, si era recato al Pronto Soccorso dell’ospedale di Cuneo con due proiettili in corpo: uno l’aveva colpito all’altezza della coscia sinistra, l’altro al malleolo. I Carabinieri, ritenendo inverosimili le spiegazioni fornite dall’uomo e dalla fidanzata che l’aveva accompagnato, si erano dati da fare per ricostruire la dinamica degli eventi e rintracciare l’altro protagonista dello scontro armato.
 
Quest’ultimo era stato individuato nella persona di A.C., un pizzaiolo 35enne di origini calabresi, residente a Cervasca in via Cesare Pavese. Contro di lui convergevano vari elementi, a cominciare dal fatto che abitasse proprio di fronte al luogo della sparatoria e che fosse un conoscente personale del ferito, come attestato dai tabulati telefonici. Prima di arrivare a Cervasca, K.S. aveva trascorso la serata in una pizzeria di San Pietro del Gallo, in compagnia della fidanzata e di una coppia di amici. Lì sarebbe poi stato raggiunto da un uomo di cui il titolare del locale e un dipendente avevano fornito la descrizione, compatibile con quella di A.C.: si trattava di un trentenne robusto, con capelli neri e occhiali, che parlava con un forte accento calabrese e aveva intavolato una discussione sulla preparazione della pizza.
 
Dopo essere stato ascoltato dagli inquirenti, poche settimane dopo il fatto, A.C. aveva cambiato residenza, forse per timore di una vendetta da parte dell’albanese, ma era stato di nuovo rintracciato dai Carabinieri a Boves. I militari avevano trovato sotto il sedile della sua auto una pistola rubata, poi risultata incompatibile con l’arma utilizzata dal feritore di K.S., e disposto una perquisizione in casa dell’indagato. Era stato lui stesso, a quel punto, ad ammettere la sua presenza sulla scena del crimine, consegnando i vestiti che indossava in quella serata. Dall’analisi degli indumenti sono emersi alcuni particolari determinanti per la ricostruzione dei fatti: i jeans presentavano una lacerazione da scheggia di proiettile in corrispondenza del bottone di chiusura superiore. A.C. sarebbe stato colpito per primo da K.S., con un proiettile calibro 7,65 che miracolosamente aveva centrato la fibbia dei suoi pantaloni, deformata dallo sparo.
 
Dopo essere caduto in terra indenne, l’uomo avrebbe a sua volta estratto una pistola e fatto fuoco all’indirizzo dell’albanese, che nel frattempo si stava dando alla fuga. Sulla dinamica precisa di quanto accaduto si è espresso in aula il dottor Stefano Conti, consulente tecnico della Procura: a suo giudizio, “si può ritenere che K.S. sia stato colpito da una persona che lo stava rincorrendo dopo averlo ferito, cosa confermata anche dalle tracce ematiche sul suolo”. A terra erano stati ritrovati sette bossoli, due riconducibili a un’arma e cinque a un’altra pistola. Secondo il perito balistico, è ipotizzabile che chi ha sparato i due colpi fosse fermo, perché i bossoli sono stati trovati a poca distanza. L’altro sparatore invece avrebbe colpito in movimento, come prova la diversa dislocazione dei bossoli: “Il feritore poteva essere sdraiato a terra quando ha colpito la coscia, ma non quando ha centrato il malleolo: in questo secondo caso doveva trovarsi in una diversa posizione”.
 
I colpi ravvicinati esplosi dall’arma di K.S. avrebbero senz’altro potuto provocare gravi danni all’altro soggetto, e forse infliggere ferite mortali. Ma la risposta di quest’ultimo non si sarebbe limitata a una ‘legittima difesa’, come prova il fatto che si sia messo all’inseguimento dell’albanese dopo averlo già ferito e messo in fuga. Al termine del primo processo, celebrato con rito abbreviato, A.C. era stato condannato a dieci anni di reclusione per tentato omicidio, porto d’armi abusivo e ricettazione. La Corte d'Appello di Torino ha però annullato la sentenza e disposto un nuovo procedimento.
 
Il prossimo 27 novembre l’istruttoria riprenderà con l’esame degli altri testi convocati dai pm Chiara Canepa e Giulia Colangeli.

Notizie interessanti:

Vedi altro