CUNEO - Su Ferragni e Balocco si indaga anche a Cuneo: possibile il duello tra le procure

L’inchiesta nella Granda va avanti, senza rivelazioni sugli indagati. Con Milano potrebbe aprirsi un conflitto di competenza: dove è stata commessa la truffa, se c’è?

Andrea Cascioli 10/01/2024 17:50

Le indagini sul caso pandoro restano al plurale, almeno per ora. Lo confermano i vertici della procura di Cuneo, dove l’inchiesta era stata aperta dopo l’esposto del Codacons, all’inizio senza indagati né ipotesi di reato. Non si sa se nel frattempo le iscrizioni al registro ci siano state, come è accaduto a Milano, dove Chiara Ferragni e Alessandra Balocco sono ufficialmente sotto inchiesta per truffa aggravata.
 
Il procuratore capo di Cuneo Onelio Dodero si trincera dietro al più stretto riserbo, ma conferma che il fascicolo parallelo, seguito da uno dei suoi sostituti, è tuttora aperto. Fino a quando? A questa domanda, per adesso, non si può rispondere. Cuneo e Milano si stanno confrontando: è possibile che alla fine una delle due procure decida di trasmettere all’altra gli atti e tutto finisca lì, o meglio, che continui nel luogo competente ad indagare per territorio. Qualora invece il procuratore aggiunto milanese Eugenio Fusco e i suoi colleghi cuneesi non riuscissero a mettersi d’accordo, si aprirà un conflitto di competenza, nel momento in cui gli inquirenti lombardi o piemontesi formalizzeranno la richiesta di trasmissione degli atti. A quel punto, sarà la procura generale della Cassazione a decidere tra Milano e Cuneo.
 
A norma di legge, la titolarità spetta a chi ha giurisdizione sul luogo in cui è stato conseguito l’“ingiusto profitto con altrui danno” di cui parla l’articolo 640 del codice penale, quello che disciplina il reato di truffa. Si tratta di capire se questo luogo sia Fossano - perché il pandoro della discordia era commercializzato dalla Balocco, che qui ha sede - oppure Milano, da dove Chiara Ferragni ha scritto i post su Instagram nei quali dava ad intendere che l’acquisto servisse “per sostenere l’ospedale regina Margherita di Torino”. Insomma, “pesa” di più, quanto a eventuale rilevanza penale, l’iscrizione “Chiara Ferragni e Balocco sostengono l’Ospedale Regina Margherita di Torino” sulla scatola del prodotto, o la campagna pubblicitaria imbastita a valle? Nel primo caso, sarebbero gli inquirenti cuneesi ad avere la “primazia” sui colleghi milanesi: in fin dei conti, si fa osservare, le vendite le ha incassate Balocco, mentre Ferragni ha avuto un cachet. D’altro canto - e anche questo sarà molto rilevante, se si arriverà a processo - Balocco una donazione all’ospedale pediatrico l’aveva davvero fatta, sebbene diversi mesi prima, e i suoi dirigenti avevano almeno qualche dubbio sull’opportunità di quel battage “solidaristico” voluto dagli emissari di Ferragni.
 
A monte di tutto questo c’è comunque da rispondere, in punta di diritto, alla domanda fondamentale: la truffa c’è o non c’è? Il codice penale richiede tassativamente che l’“ingiusto profitto” sia conseguito “con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore”. Su quali siano questi “artifizi o raggiri” pubblici ministeri e avvocati si scornano fin dall’alba dei tempi, anzi dei codici: è per l’appunto il tema di qualunque processo per truffa, da quelli in cui si discute del mattone nella scatola di scarpe fino agli schemi milionari. Si può ritenere che fosse in sé un artificio truffaldino, il fatto di affermare che Chiara Ferragni e Balocco sostenessero l’ospedale “finanziando l’acquisto di un nuovo macchinario che permetterà di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing”? Se la risposta che i titolari delle indagini daranno fosse sì, la questione approderà alle aule. Bisognerà stabilire, però, se saranno quelle milanesi o quelle affacciate su piazza Galimberti.

Notizie interessanti:

Vedi altro