CUNEO - Tagliò la gola a un connazionale in corso Giolitti, condannato un somalo

Il 37enne era stato fermato dai carabinieri dopo l’alterco sanguinoso: aveva in mano una bottiglia rotta. I giudici hanno riconosciuto il tentato omicidio

a.c. 03/11/2021 20:05

 
Si è chiuso con la condanna a cinque anni di carcere il processo a carico di un 37enne somalo, Mustafa Hassan, condannato per il tentato omicidio di un connazionale avvenuto a Cuneo il 13 luglio dello scorso anno.
 
Una pattuglia di carabinieri di passaggio aveva diviso i due immigrati mentre si stavano azzuffando su una panchina di corso Giolitti, nel tratto più prossimo a piazza Europa. Nel separarli, i militari avevano notato che l’altro uomo, un 32enne, aveva un taglio profondo sul collo: “Un pezzo di pelle penzolava dall’orecchio, abbiamo chiamato subito il 118 anche perché a terra c’era molto sangue” ha raccontato uno degli operanti intervenuti. Hassan in quel momento impugnava il collo di bottiglia insanguinato con cui presumibilmente era stato ferito il suo rivale: era stato perciò subito disarmato e arrestato.
 
Dall’istruttoria a suo carico è emerso che all’origine del sanguinoso alterco ci sarebbe stata una denuncia della quale il 32enne riteneva responsabile l’altro uomo: “Ha derubato un mio coinquilino e quando il responsabile dell’alloggio mi ha chiesto di identificarlo gli ho dato il suo nominativo” ha spiegato Hassan in aula. Era stato proprio quell’episodio, ha aggiunto, a causare l’interruzione dei rapporti prima amichevoli tra i due. Il 37enne, incensurato, è in Italia dal 2008 e ha riferito di aver sempre lavorato. Dopo aver lasciato il suo ultimo impiego a Tarantasca si era trasferito con altri africani in un alloggio messo a disposizione dalla cooperativa Momo a Cuneo, mantenendosi con i suoi risparmi e con il reddito di cittadinanza.
 
Quel giorno, secondo la sua ricostruzione, i due si erano incrociati alla mensa della Caritas: “Mi ha raggiunto in corso Nizza e mi ha tirato un pugno, ci siamo azzuffati. Poi le rispettive compagnie ci hanno divisi e io sono andato a bere una birra. Mentre mi dirigevo verso la stazione è venuto verso di me con una pietra in mano, al che ho impugnato la bottiglia”. A provocare la rottura della bottiglia sarebbe stato proprio l’urto con quel sasso di cui, tuttavia, non è stata trovata traccia sul luogo del reato. Per il ferito, subito ricoverato in ospedale, la prognosi iniziale era stata di venti giorni: fortunatamente il taglio di circa due centimetri non aveva reciso la carotide. Il paziente era poi stato dimesso il giorno successivo.
 
A carico dell’accusato il procuratore capo Onelio Dodero ha proceduto per tentato omicidio. Una scelta ribadita durante la requisitoria, dal momento che “per il tentato omicidio non si chiede che sussista una volontà di uccidere, è sufficiente la consapevolezza di mettere in atto un’azione idonea a mettere a rischio la vita della vittima”. Il rappresentante della Procura si è soffermato sul fatto che solo la parola dell’imputato avvalorava la ricostruzione da lui offerta, comunque insufficiente per poter parlare di eccesso di legittima difesa. Per Hassan era stata quindi chiesta una condanna a quattro anni e otto mesi di reclusione.
 
L’avvocato Davide Calvi, difensore del somalo, ha sottolineato la discrepanza tra il dato medico-legale e il racconto della parte offesa: “La lesione è stata cagionata da una posizione frontale, cosa che dà credibilità alla versione dell’imputato e non a quella della parte offesa che dice di essere stato colpito alle spalle”. Dalla difesa è giunto in particolare l’appello a considerare le circostanze dell’aggressione: “Hassan ha lavorato per undici anni e non ha mai commesso un reato, anzi ha subito dei torti venendo sfruttato come lavoratore. Ma quando ha voluto chiedere giustizia si è rivolto ai sindacati, senza illegalità. L’acredine della persona offesa è motivata dal fatto che Hassan è testimone di un processo per furto dove lui è imputato”.

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