ARGENTERA - Turbativa d’asta e peculato, tre anni e quattro mesi per l’ex sindaco di Argentera Arnaldo Giavelli

Ribaltata in appello la sentenza di primo grado anche per la moglie dell’ex primo cittadino. Il processo scaturiva dall’inchiesta “Valle Pulita” della Finanza

in foto: l'ex sindaco di Argentera Arnaldo Giavelli

Andrea Cascioli 17/11/2021 10:51

Tre anni e quattro mesi per turbativa d’asta e peculato, assoluzione per l’abuso d’ufficio: questa la sentenza emessa dai giudici della Corte d’Appello di Torino nel processo all’ex sindaco di Argentera Arnaldo Giavelli.
 
Insieme a lui era imputata la moglie, Elisa Degioanni, titolare dell’azienda Alpi Costruzioni srl con la quale aveva partecipato - vincendoli - ad alcuni appalti indetti dal comune nel periodo in cui Giavelli era in carica. Per Degioanni, assolta in primo grado, la condanna è pari a un anno di reclusione per il reato di turbativa d’asta, con pena sospesa. L’inchiesta a carico di Giavelli e di sua moglie era stata avviata con l’operazione ‘Valle pulita’ dal Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Cuneo. Sotto la lente degli inquirenti in particolare due gare d’appalto che secondo la Procura erano state truccate, in modo da favorire l’associazione temporanea di imprese messa in piedi dalla moglie e dal suocero dell’ex amministratore.
 
I fatti risalgono al periodo tra il 2014 e il 2016 e riguardano in un caso il finanziamento, per circa un milione di euro, ottenuto dal comune nell’ambito del programma ‘Seimila campanili’, nell’altro il restauro conservativo del municipio di Argentera. A far emergere i presunti illeciti nel maggio 2016 erano state le indagini condotte sulla ditta Massano srl di Montanera, che aveva partecipato all’appalto ‘Seimila campanili’: un documento sequestrato nella sede dell’azienda avvalorava, secondo l’accusa, l’ipotesi che Giavelli invitasse solo determinate imprese agli appalti, indicando le modalità di partecipazione e la percentuale di ribasso, in modo da favorire la ditta di famiglia. Per effetto della legge Severino, Giavelli era decaduto dalla carica di sindaco che aveva rivestito tra il 1999 e il 2009 e poi di nuovo tra il 2014 e il 2016, dopo la parentesi di Daniele Tallone.
 
In primo grado il tribunale di Cuneo aveva assolto l’ex sindaco per le ipotesi di turbativa d’asta e peculato, condannandolo invece a un anno e sei mesi per abuso d’ufficio. Quest’ultima imputazione scaturiva da un procedimento parallelo, poi accorpato al filone principale d’indagine, riguardante la realizzazione di una pista ciclistica per il downhill ad Argentera. La sentenza d’appello ha ribaltato il verdetto precedente anche riguardo a questa vicenda: “Per tutta una serie di abusi d’ufficio e per altre ipotesi di peculato non c’è stata neanche l’impugnazione da parte della Procura” sottolinea l’avvocato Paolo Botasso, che insieme al collega Paolo Scaparone difendeva il principale imputato (Elisa Degioanni è stata assistita invece da Paolo Adriano e Stefano Campanello). La Procura aveva rinunciato anche ad appellare la sentenza assolutoria nei confronti di due coimputati, il suocero di Giavelli Sergio Degioanni e l’imprenditrice Fernanda Comba.
 
“Siamo rimasti un po’ scioccati dalla sentenza, anche se avevamo già avuto modo di notare che in istruttoria la Corte d’Appello ha valorizzato gli aspetti ambientali più che quelli giuridici” spiega Botasso. I difensori hanno insistito dal canto loro nell’affermare “la legittimità e la regolarità delle procedure di gara”. L’accusa di peculato riguardava in particolare una serie di prelievi di gasolio dalla cisterna per il rifornimento dei mezzi del comune: “Sembrava fossimo diventati una stazione di servizio” aveva osservato l’ex segretario comunale Ettorre, prima coindagato e poi grande accusatore del sindaco. Anche su questo punto la difesa ha obiettato che l’imputato avrebbe in realtà cercato di prevenire possibili abusi: “Il registro dei prelievi venne a suo tempo introdotto proprio dal sindaco Giavelli, poi cancellato dal successore Tallone e di nuovo ripristinato da Giavelli. Si parla di meno di mille euro di gasolio in un anno, utilizzati per recarsi a svolgere attività istituzionali: il procuratore generale non ha considerato il fatto che Argentera è isolata e che non ci sono né pompe di benzina né mezzi comunali a disposizione”.
 
Scontato, per entrambe le difese, il ricorso in Cassazione una volta che saranno pubblicate le motivazioni della sentenza, per la quale i giudici si sono riservati sessanta giorni di tempo. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta di provvisionale avanzata dall’amministrazione comunale di Argentera, costituitasi parte civile con l’avvocato Gabriella Turco: solo se la condanna venisse confermata anche nell’ultimo grado di giudizio gli imputati dovranno corrispondere un risarcimento, da quantificarsi in separata sede. Nel 2017 il comune di Argentera finì in default, avendo accumulato un debito di 835mila euro: suddividendolo per gli appena 78 residenti si arrivava alla cifra stratosferica di 10.700 euro di debito pro capite, superiore perfino all’indebitamento per residente di Roma.

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