CUNEO - Ultime condanne agli albanesi della ‘banda dell’ariete’

Il sodalizio criminale guidato da due fratelli si era reso responsabile fino al 2012 di oltre 50 ‘spaccate’ notturne nei bar con auto rubate, truffe e ricettazioni

a.c. 12/12/2019 17:54

 
Quando li avevano arrestati nell’ottobre 2012, dopo sei mesi di complesse indagini con intercettazioni telefoniche e ambientali e pedinamenti tramite Gps, i carabinieri del Reparto Operativo di Cuneo li avevano ribattezzati la ‘banda dell’ariete’. Gli ‘arieti’ in questione erano in realtà automobili di ignari cittadini che i malviventi rubavano per poi sfondare porte e saracinesche dei bar in mezza provincia e appropriarsi del denaro contenuti nei videopoker. Le auto - perlopiù Ford Escort e Fiat Punto - venivano in genere abbandonate nelle campagne dopo ogni ‘spaccata’.
 
A gestire il sodalizio due fratelli albanesi pluripregiudicati, l’allora 31enne V.Q. e il 34enne S.Q., assieme ai quali si alternavano nei furti vari connazionali attivi negli ambienti criminali del Saluzzese e del Saviglianese. La giostraia 28enne P.F., residente a Villafranca Piemonte (To) e moglie di V.Q., faceva sovente da autista. Sarebbero state proprio le sue frequentazioni a mettere i militari dell’Arma sulle tracce del gruppo, dopo i primi colpi messi a segno a Morozzo e Cherasco e poi ancora a Saluzzo, Caraglio, Busca, Tarantasca, Savigliano e altre 26 località tra la provincia Granda e il Torinese.
 
Una cinquantina in tutto gli episodi contestati all’epoca dalla Procura di Mondovì. Oltre alle ‘spaccate’ e al furto di 21 autovetture, alla ‘banda dell’ariete’ erano stati addebitati anche l’asportazione di 200 litri di gasolio da un escavatore a Genola (primo reato attribuibile con certezza ai due fratelli e ai loro complici), una serie di truffe con assegni rubati e un furto in abitazione.
 
Gran parte delle posizioni sono state definite nel corso degli anni con riti alternativi. La scelta della ‘donna del capo’ di patteggiare e rendere testimonianza contro gli ex complici ha aiutato non poco gli inquirenti e stamani, davanti al tribunale di Cuneo, si è chiuso l’ultimo atto della vicenda processuale a carico di V.Q., dei presunti sodali E.P. (nato nel 1991 e residente a Caraglio) e V.T. (classe 1981, residente a Moretta) e di G.C., il ricettatore italiano della banda.
 
Quest’ultimo, un 51enne nativo di Palermo e residente a Saluzzo, era ritenuto dalla Procura il ‘terminale’ dei furti perché si occupava di rivendere la merce rubata e forniva le garanzie per le truffe. A suo carico anche un’imputazione per furto in abitazione: circuendo un disabile con la promessa di un incontro galante con una ragazza, G.C. era riuscito ad allontanare il giovane da casa sua e svaligiarla.
 
Il pubblico ministero Alessandro Borgotallo ha sottolineato come, sebbene il procedimento valutasse posizioni ormai marginali, quella posta in essere dai fratelli V.Q. e S.Q. “è un’associazione a delinquere clamorosa che solo per cause procedimentali è sfociata in questo ‘spezzatino’ e in capi di imputazione ulteriormente ridotti dalle scelte di riti alternativi”. Una complessa istruttoria che il pm aveva seguito prima ancora dell’accorpamento del tribunale di Mondovì e che ha portato a termine chiedendo condanne tra i 4 e i 6 anni per i quattro imputati.
 
Il giudice Alice Di Maio ha confermato le responsabilità con la sola eccezione di V.T., che doveva rispondere di concorso in truffa e ricettazione. Per il capo della banda V.Q., ora detenuto in Albania, è arrivata la condanna a quattro anni e due mesi, mentre E.P. è stato condannato a tre anni e dieci mesi di carcere per gli stessi furti aggravati. Pena ancor più severa quella di cinque anni e dieci mesi comminata a G.C., ritenuto responsabile del furto in abitazione e di episodi di ricettazione.

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