CASTELMAGNO - Un anno fa la tragedia di Castelmagno: “Fu errore umano, nessuna responsabilità esterna”

Nel Land Rover precipitato da una scarpata morirono cinque ragazzi. Malgrado le polemiche sulla sicurezza della strada del monte Crocette, l’inchiesta è archiviata

Andrea Cascioli 11/08/2021 17:25

 
Era la notte delle stelle, San Lorenzo, poco dopo la mezzanotte del 12 agosto 2020. Le prime notizie, ancora incerte, arriveranno prima dell’alba: si parla di un tremendo incidente avvenuto a Castelmagno, con cinque giovani vittime. Ragazzini, si scoprirà con il passare delle ore: sono i fratelli Nicolò ed Elia Martini, 17 e 14 anni, da San Sebastiano di Fossano, Camilla Bessone, 16 anni, di Cuneo, Samuele Gribaudo, 14 anni, anche lui cuneese di San Benigno, e il 24enne di Savigliano Marco Appendino, l’unico maggiorenne, alla guida del Land Rover Defender precipitato per oltre 100 metri da una scarpata a 1800 metri di quota.
 
Tutti amici tra loro, conosciutisi sulle montagne della valle Grana dove quella sera si erano organizzati per andare a vedere le stelle cadenti. Partendo da borgata Chiotti si erano diretti all’Alpe Chastlar, lungo la strada che passa sopra al santuario e porta al monte Crocette. Al ritorno una sbandata fatale in una curva a gomito. Il fuoristrada finisce a destra, rotola nel dirupo e si ferma su un avvallamento della montagna, poco prima di un altro burrone. A bordo del mezzo, omologato per sei persone, viaggiavano in realtà in nove. Oltre alle cinque vittime ci sono la sorella maggiore di Samuele, Anna, e la sua coetanea 17enne Chiara Tomatis, di Morozzo, che se la caveranno con ferite lievi e uno spaventoso ricordo. Ma anche altri due ragazzi ricoverati in gravi condizioni: il 17enne verzuolese Danilo Gribaudo e il 24enne di Savigliano Marco Mogna. Quest’ultimo, il miglior amico di “Appo”, è uscito dall’ospedale solo a maggio scorso: non cammina più, ma aveva rischiato di rimanere tetraplegico e oggi dice di sentirsi fortunato per aver evitato il peggio.
 
“Sarebbe bastato un cartello” dichiarerà il sindaco Alberto Bianco, insegnante di scuola, distrutto all’idea che in un solo attimo Castelmagno abbia potuto perdere metà della sua popolazione giovanile: appena quindici giorni prima, racconterà, qualcuno aveva scattato una foto con la gente della frazione Chiotti riunita. C’erano tutti, anche i “ragazzi delle stelle”. La tragedia è troppo grande per non interrogare le coscienze. Tanto più che giusto un mese prima dell’incidente i rappresentanti dei comuni di montagna si erano riuniti al rifugio Fauniera per denunciare le solite mancanze ignorate dalla politica: strade dissestate, barriere di sicurezza assenti anche nei punti più pericolosi, segnaletica spesso insufficiente. “Questo è un comune di 54 abitanti che ha 25-30 chilometri di strade da tenere in ordine con pochissimi trasferimenti dallo Stato” dice il primo cittadino di Castelmagno, senza eccedere nelle polemiche, all’indomani del disastro.
 
Eppure la Procura di Cuneo non crede all’idea che una semplice barriera o un cartello in più prima della curva avrebbero potuto salvare le vite di Samuele, Nicolò, Elia, Camilla e Marco. Nessun segno di frenata prima della caduta, nessuna traccia di alcol o droga nel corpo del guidatore. “È stato un errore umano” spiega il sostituto procuratore Alberto Braghin, titolare dell’inchiesta, che dopo le perizie e la consulenza tecnica ha deciso di archiviare il fascicolo aperto contro ignoti.
 
Non c’è nulla, insomma, che possa giustificare ciò che a un anno di distanza rimane impossibile da comprendere, o almeno fornire un bersaglio all’indignazione popolare: il risentimento verso qualcuno o qualcosa sarebbe più facile da gestire, rispetto allo smarrimento della coscienza in mille domande senza risposta. Invece, per chi resta, non c’è altro che un muto “perché?”, da consegnare al vento della montagna.

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