FOSSANO - Viadotto di Fossano, esce dall’inchiesta sul crollo il presidente del consorzio costruttore

All’udienza preliminare del 19 novembre ci saranno sette indagati per disastro colposo. Dagli esposti di alcuni di loro sui mancati controlli è partita una seconda inchiesta

Andrea Cascioli 06/07/2019 18:57

 
Esce dall’inchiesta sul crollo del viadotto di Fossano il geometra Carlo Deodato, presidente del consorzio che si aggiudicò l’appalto Anas che comprendeva la costruzione del cavalcavia al chilometro 61,3 della statale 231.
 
Deodato era stato indicato in un primo tempo come direttore tecnico del cantiere, ma i successivi accertamenti hanno consentito di appurare che aveva operato soltanto come rappresentante legale. Pertanto, a seguito della memoria difensiva presentata dagli avvocati Adalberto Pasi e Giulio Magliano, il pm Pier Attilio Stea ha formulato la domanda di archiviazione, accolta dal gip Emanuela Dufour.
 
La Procura di Cuneo aveva inizialmente emesso dodici avvisi di garanzia per disastro colposo, ma alla chiusura delle indagini preliminari sono state formulate otto richieste di rinvio a giudizio, con l’archiviazione delle posizioni dei quattro componenti della commissione di collaudo dell’Anas.
 
Dopo l’uscita di scena di Deodato, restano sette gli indagati che compariranno in udienza preliminare a Cuneo davanti al gup Alberto Boetti, il prossimo 19 novembre. Si tratta di due dipendenti della Ingegner Franco Spa che fornì i conci (prefabbricati in cemento) per la costruzione dello svincolo, Mauro Forni e Roger Rossi, insieme al responsabile di cantiere Massimo Croce e al capocantiere Mauro Tutinelli, operanti per conto della Grassetto spa, e a tre funzionari dell’Anas: il direttore dei lavori Angelo Adamo e i suoi coadiutori Marco Sibiglia e Carlo Collivasone.
 
Dagli esposti presentati da alcuni degli indagati, che hanno segnalato la mancanza di controlli pur “in presenza di chiari segni di perdite e usure”, è partita una seconda inchiesta da parte della Procura di Cuneo. L’ipotesi della pubblica accusa è che ci sia stata negligenza e imperizia nelle operazioni di iniezione della boiacca nelle guaine dei cavi di precompressione che servivano da sostegno e collegamento strutturale tra i componenti del cavalcavia. In seguito a questi errori - e all’omesso controllo di chi avrebbe dovuto sovraintendere all’esecuzione dei lavori - si sarebbe verificato un indebolimento strutturale nelle parti dei cavi rimaste scoperte, con un progressivo logoramento fino al crollo del 18 aprile 2017.
 
I lavori per la realizzazione della tangenziale di Fossano furono assegnati dall’Anas il 26 luglio 1990 insieme a un pacchetto di opere legate alle Colombiadi di Genova 1992. Ad aggiudicarsi l’appalto, finanziato con 40 miliardi di lire, fu un’associazione temporanea di imprese la cui capogruppo era la Itinera Costruzioni Generali Spa, società facente capo all’imprenditore alessandrino Marcellino Gavio.
 
Il primo lotto fu completato nel 1993, poi, dopo una lunga sospensione per la carenza di finanziamenti statali, a fine anni Novanta è stato terminato anche il secondo lotto. Nel frattempo dalle indagini della Procura di Roma emerse che per l’assegnazione dei lavori erano stati pagati circa 2 miliardi di lire, pari al 5% del valore dell’appalto, all’allora ministro dei Lavori Pubblici, il democristiano Giovanni Prandini.
 
Il gruppo Gavio si stava espandendo in quegli anni a livello nazionale dopo aver rilevato le concessioni autostradali della Torino-Milano, della Milano-Serravalle, del terzo valico dell’alta velocità e del nuovo progetto per la Asti-Cuneo. All’impresa costruttrice l’allora direttore generale dell’Anas Antonio Crespo avrebbe formulato per conto del ministro la richiesta di versare una tangente per ottenere i lavori.
 
L’ex ministro fu condannato in primo grado nel 2001 a sei anni e mezzo, insieme a Crespo e al consigliere comunale romano Lorenzo Cesa, all’epoca fedelissimo di Prandini e in seguito segretario nazionale dell’Udc. La sentenza venne poi annullata dalla Cassazione per una violazione commessa dal Tribunale dei ministri e dopo un non luogo a procedere da parte del gip di Roma la vicenda si chiuse con la prescrizione nel 2005.
 
Nel 2010 Prandini è stato comunque condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 5 milioni di euro per abuso di potere. Il potente funzionario della Dc bresciana, quattro volte ministro tra il 1987 e il 1992 e parlamentare per ventidue anni fino al 1994, nonché padre dell’attuale presidente nazionale di Coldiretti, è morto lo scorso anno dopo lunga malattia. Di lui si ricordano le cene prenatalizie con oltre duemila invitati tra amici e militanti democristiani, che il politico rallegrava ingaggiando comici e personalità televisive di successo: nel 1989, per la cifra di 20 milioni, vi prese parte anche un giovane Beppe Grillo.

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