CUNEO - Violenza sulle donne, più denunce dopo il caso Cecchettin: a Cuneo cinquanta “codici rossi” al mese

Il procuratore Dodero: “La nuova legge? Ci impone troppa burocrazia. Bene che si denunci, ma attenti ai casi strumentali: il carcere lo chiediamo solo quando serve”

Andrea Cascioli 13/01/2024 10:55

Oscillano tra le quaranta e le cinquanta le notizie di reato, catalogate come “codice rosso”, che ogni mese approdano al primo piano del Tribunale di Cuneo, negli uffici della Procura. Vi rientrano quelle denunce che fanno scattare un campanello d’allarme, perché sono la spia di un possibile quadro di violenze in famiglia, che nei casi più tragici sfocia nell’omicidio.
 
I più comuni sono i maltrattamenti in famiglia, gli atti persecutori (stalking), le lesioni personali, la minaccia, la violenza privata, il cosiddetto revenge porn. Oltre, ovviamente, ai reati più gravi: violenza sessuale, induzione al matrimonio, procurato aborto, sfregi, mutilazione degli organi sessuali femminili, tentato omicidio e omicidio. Tutte fattispecie che dal 2019 il legislatore ha riunito nella normativa del “codice rosso”, assegnandogli una priorità nei corridoi giudiziari: come succede nelle corsie dell’ospedale, appunto.
 
E proprio come in ospedale anche in Procura si passa per il “triage”, spiega il procuratore capo Onelio Dodero: “Talvolta è molto complicato: bisogna avere la capacità di cogliere da una semplice denuncia, semmai seguita dal verbale di interrogatorio, se la situazione descritta sia episodica, o se sia sintomo di violenze pregresse e soprattutto di violenze future”. Perché in quella pila di fascicoli c’è davvero di tutto. Ci sono situazioni di pericolo estremo, minacce latenti che potrebbero esplodere da un momento all’altro. Ma all’opposto ci sono anche denunce strumentali, perfino inventate di sana pianta, magari mentre due coniugi sono in causa per la separazione e l’affidamento dei figli. Da un lato esiste il rischio di sottovalutare, di ignorare la possibilità che l’occhio nero di oggi domani diventi una coltellata fatale. Dall’altro quello, altrettanto presente, di mandare in galera o a processo per anni un innocente, con tutto ciò che comporta, specie per chi ha figli.
 
“In qualunque ufficio giudiziario l’errore valutativo è dietro la porta” ammette Dodero. Tanto più perché questi procedimenti “sono di per sé molto delicati e offrono una casistica amplissima”. E sono anche in aumento, dal 2019 e ancor più dallo scorso novembre, quando dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin il parlamento ha approvato un ampliamento della normativa sui reati da “codice rosso”. “Progressivamente abbiamo notato che i fascicoli diventavano sempre più numerosi. A livello mensile costituiscono ora il maggior numero di notizie di reato” dice il procuratore: tanto per dare un’idea, per ogni dieci segnalazioni di reati economici o contro la pubblica amministrazione, ce ne sono quattro volte tante nell’ambito familiare e affettivo. Per questo il gruppo di tutela delle fasce deboli a Cuneo conta ben cinque magistrati su dieci in servizio (quattro donne e un uomo). A coordinarlo è lo stesso Dodero, sulla cui scrivania passano tutti i fascicoli: “Ce ne sono parecchi, come è giusto che sia. Sono in aumento le denunce per maltrattamenti e stalking, come per le ‘semplici’ lesioni”.
 
Nonostante l’aumento dei casi, le archiviazioni restano, in proporzione, analoghe a quelle degli altri ambiti: un 40%, in media. “Il fenomeno delle denunce totalmente infondate e delle remissioni di querela non ha avuto un aumento a fronte dell’ultima normativa” assicura l’ex magistrato antimafia. Semmai, ci sono altri aspetti che andrebbero valutati: “Quello che notiamo, e dovrebbe portare a una riflessione al di là dell’ambito giudiziario, è che malgrado le misure cautelari adottabili e l’alto rischio di finire in carcere, i fenomeni estremi non si fermano”.
 
 
Cambia la norma: “Bene la flagranza differita, ma il lavoro è appesantito”
 
La legge approvata il 24 novembre scorso ha riformato la disciplina dei reati consumati o tentati a danno di coniugi, ex coniugi, conviventi, persone che sono state legate da relazione sentimentale e prossimi congiunti. In particolare, le procure devono rendere conto della loro attività su criteri più stringenti. Alla norma che già imponeva di sentire entro tre giorni la persona offesa, se n’è affiancata un’altra. Affida al pm il compito di valutare, entro trenta giorni dall’iscrizione nel registro, se a carico di un indagato sussistano indizi tali da dover richiedere una misura cautelare, dal divieto di avvicinamento fino all’incarcerazione. Se l’inquirente fa richiesta, il gip ha a sua volta venti giorni di tempo per rispondere sì o no.
 
“Anche prima dell’introduzione del ‘codice rosso’ - chiarisce il capo della Procura - a Cuneo era molto difficile che la persona offesa non venisse sentita entro tre giorni. Questo perché la maggioranza di tali procedimenti sono qualificati di per sé dall’urgenza”. Può capitare però che ci sia la necessità oggettiva di ritardare l’interrogatorio. Ora tutto questo dev’essere motivato, così come l’eventuale scelta di non richiedere misure: ai vari uffici si impone di inviare report ogni tre mesi, con riepiloghi esaustivi. “Questi flussi comunicativi, - continua Dodero - questo dare costantemente conto degli adempimenti, è oggettivamente un aggravio importante, perché già il carico dei reati è assai rilevante”: insomma, troppa burocrazia.
 
Promossa, invece, la scelta di introdurre l’arresto in flagranza differita per stalking, se gli atti persecutori sono ripresi da video o foto: “È una norma opportuna”. Fermo restando che, almeno a Cuneo, l’approccio rimane orientato alla prudenza: “Il nostro primo intervento, nell’ambito delle richieste cautelari, non è il carcere, se non dove lo si ritenga inevitabile o a fronte di violazioni di altri provvedimenti”.
 
 
Stalker e maltrattatori sono ovunque: “Servono più scuole che carceri”
 
“Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo” recita uno degli incipit più famosi della letteratura, quello dell’Anna Karenina di Lev Tolstoj. Vale anche per le persone, uomini in massima parte, che commettono violenze familiari e di genere. È un fenomeno trasversale, conferma il magistrato: “Riguarda qualunque strato sociale, magari con più violenza fisica in quelli dove c’è povertà culturale e con più violenza psicologica dove non c’è”. I maltrattamenti tendono a riguardare uomini più maturi, mentre lo stalking e le minacce sono diffusi nelle fasce giovanili: ma il dato è variabile. Come lo è quello che riguarda la provenienza di stalker e maltrattatori: “Possono essere italiani e piemontesi da generazioni, come persone provenienti dalle varie comunità immigrate. Semmai in alcune di esse c’è minore propensione a denunciare. Ma ho visto casi non sporadici in cui, tra nostri connazionali, le denunce sono arrivate dopo vent’anni di soprusi”.
 
Del resto questi fenomeni hanno radici storiche e culturali: “Nella società ci sono valori che andrebbero rivissuti criticamente. Se il messaggio che ricevi, o che puoi ricavare da ciò che ti circonda, è che qualcuno è inferiore a te, crescerai con questo germe. Quando mi occupavo di mafia, ho capito che più che costruire tante carceri, bisogna costruire tante scuole: vale anche per questo fenomeno”.

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