FOSSANO - Addio a Luciana De Marchi, la bambina che lotto contrò Stalin nel nome del padre

A 98 anni si è spenta a Fossano, dopo una vita spesa tra Russia e Italia. Dedicò ogni energia a riabilitare il nome del papà Gino, comunista e vittima delle purghe

in foto: Luciana De Marchi ricevuta al Quirinale da Giorgio Napolitano

Andrea Cascioli 18/03/2022 15:00

È morta a Fossano nella giornata di ieri, giovedì 17 marzo, la 98enne Luciana De Marchi. Aveva solo tredici anni, il 3 giugno 1938, quando il papà Gino venne condannato a morte da un tribunale sovietico e fucilato nel poligono di Butovo, alla periferia di Mosca.
 
Lo avevano arrestato gli agenti della NKVD meno di un anno prima, nel periodo più terribile di quelle che passeranno alla storia come le “grandi purghe” staliniane. Sotto la minaccia di ritorsioni verso la moglie e la figlia, De Marchi aveva reso una falsa confessione nella quale ammetteva di essere una “spia fascista”. Non c’era niente di vero, anzi i trascorsi dell’esule 36enne testimoniavano una vita di sacrifici per l’ideologia comunista, la stessa in nome della quale sarebbe stato condannato a morte.
 
Gino De Marchi era nato a Fossano il 19 maggio 1902 e aveva lasciato la Granda a quattordici anni per lavorare in fabbrica come operaio, a Torino. Giovanissimo si iscrisse al Partito Socialista, mettendosi in mostra nei consigli di fabbrica e nelle lotte degli operai Fiat. In questo periodo di fermento rivoluzionario, quello dell’occupazione delle fabbriche e del biennio rosso, frequenterà la redazione del giornale L’Ordine Nuovo, stringendo amicizia con Antonio Gramsci e aderendo insieme a lui al neonato Partito Comunista d’Italia, dopo la scissione di Livorno del 1921. In veste di dirigente della federazione giovanile del Pcd’I, nello stesso anno, partecipò come delegato italiano al Congresso della gioventù comunista di Mosca.
 
Subito dopo il suo arrivo in Unione Sovietica, però, venne arrestato una prima volta dalla polizia sovietica e internato in un campo di lavoro. Le successive ricerche, condotte dalla figlia Luciana insieme allo storico Gabriele Nissim e documentate nel libro Una bambina contro Stalin, hanno dimostrato come la sua partecipazione al Congresso fosse stato un espediente, da parte del Pcd’I, per inviare in Urss un elemento che il partito considerava già allora un “traditore”, poi espulso. All’origine dei sospetti un vecchio arresto di Gino da parte dei carabinieri, quando si trovava in Italia. Torchiato dai militari che minacciavano fra l’altro di rivalersi su sua madre, il giovane aveva rivelato la presenza di un deposito di armi clandestino a Fossano.
 
A salvarlo da conseguenze più gravi in Unione Sovietica fu l’intervento di Gramsci, grazie al quale Gino ottenne di essere inviato al confino, dove conobbe e sposò una ragazza russa figlia di un ex ufficiale zarista, Vera Kornilova. Da lei, nel 1924, avrà la figlia Luciana. Sempre con l’aiuto dell’intellettuale sardo, De Marchi riuscì a lavorare come regista per la Mostech’film, una società moscovita di produzione cinematografica che realizzava documentari di propaganda sull’edificazione del socialismo. Ma l’avvento al potere di Stalin e lo scatenarsi dell’ondata di repressione negli anni Trenta travolgerà anche lui e la sua famiglia: nel 1937, quando viene arrestato una seconda volta, Gramsci è già morto dopo lunga detenzione in patria e nessun altro comunista italiano si spende per salvarlo.
 
Il nome di Gino De Marchi verrà riabilitato ufficialmente in Unione Sovietica nel 1956, durante la destalinizzazione. Solo nel 1996, però, dagli archivi russi è emersa la prova documentale che il fossanese non era morto di peritonite in un gulag, come sostennero le autorità all’epoca. Oggi il suo passaggio sulla terra è ricordato da una lapide apposta nel cimitero monumentale di Levashovo, nei pressi di San Pietroburgo. A Fossano, nel 2004, gli è stata intitolata una via nell’area dell’ex fornace, con l’iscrizione “Poeta, regista, uomo politico, vittima dello stalinismo”. La strada sorge non troppo distante da quella dedicata a Giovanni Germanetto, un altro comunista fossanese che fu esule a Mosca.
 
L’intitolazione è stata forse la vittoria più grande di Luciana, impegnatasi per oltre mezzo secolo a ricercare e testimoniare la verità su ciò che davvero era accaduto a suo padre. Dopo la dissoluzione dell’Urss era tornata a Fossano, in una casa del borgo Vecchio, ritirandosi tra i ricordi di famiglia e i cimeli della carriera di attrice: amica del regista Nikita Michalkov, recitò nel film “Italiani brava gente”, girato in Russia. Nel 2007 era stata ricevuta al Quirinale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A Fossano vive anche sua figlia Svetlana, madre di Pietro, Gina e Maria.
 
I funerali di Luciana De Marchi saranno celebrati sabato alle 15 nella chiesa di San Filippo.

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