FOSSANO - Caso Cospito, l’Onu bacchetta l’Italia. L’anarchico scrive dal carcere: “Pronto a morire, non è un ricatto”

Nella lettera manoscritta l’ispiratore della Fai rivendica le azioni terroristiche e si dice “convinto che la mia morte porrà un intoppo al regime del 41 bis”

Redazione 03/03/2023 15:25

Interviene l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani nella vicenda giudiziaria di Alfredo Cospito, l’anarchico in attesa di giudizio definitivo per le bombe alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano, in sciopero della fame dal 20 ottobre scorso contro il regime detentivo del 41 bis.
 
L’organismo delle Nazioni Unite ha inviato allo Stato italiano una richiesta di applicazione di misure temporanee cautelative in merito alla detenzione del 55enne. Il documento è stato notificato alla rappresentanza del governo italiano a Ginevra e all’avvocato Flavio Rossi Albertini, che subito dopo il rigetto del ricorso per Cospito in Cassazione aveva inoltrato una comunicazione individuale alla Commissione Diritti Umani, denunciando le condizioni di detenzione del proprio assistito. Le misure urgenti richieste, ricordano in un comunicato l’avvocato Rossi Albertini e il presidente della onlus “A buon diritto” Luigi Manconi, “vengono adottate dal Comitato quando sussiste il rischio imminente per la tutela dei diritti essenziali della persona e al fine di evitare danni irreparabili al ricorrente nelle more della decisione finale del Comitato. Il danno irreparabile sarebbe ad esempio la morte di Alfredo Cospito durante la detenzione”.
 
Nel frattempo è stato reso noto il testo integrale della lettera che Cospito ha inviato a gennaio dal carcere di Opera, dove è rientrato lo scorso 27 febbraio dopo un periodo di ricovero nel padiglione per detenuti dell’ospedale San Paolo. Nella missiva, un manoscritto di due pagine, l’ispiratore della Federazione Anarchica Informale si dice “pronto a morire per far conoscere al mondo cosa è veramente il 41 bis”, ricordando che “750 persone lo subiscono senza fiatare, mostrificati di continuo dai mass media”: “La mia lotta contro il 41 bis - spiega - è una lotta individuale da anarchico, non faccio e non ricevo ricatti. Semplicemente non posso vivere in un regime disumano come quello del 41 bis, dove non posso leggere liberamente quello che voglio, libri, giornali, periodici anarchici, riviste d’arte e scientifiche e di letteratura e storia. L’unica possibilità che ho di uscire è quella di rinnegare la mia anarchia e vendermi qualcuno da mettere al posto mio”.
 
“Se l’obiettivo dello Stato italiano - annuncia - è quello di farmi ‘dissociare’ dalle azioni degli anarchici fuori, sappia che io ricatti non ne subisco”. “Non mi sono mai ‘associato’ ad alcuno e quindi non posso ‘dissociarmi’ da alcuno, l’affinità è un’altra cosa” continua il testo, con un’assunzione di responsabilità riguardo alle azioni terroristiche: “Ho sempre rivendicato con orgoglio le mie azioni (anche nei tribunali, per questo mi trovo qui) e mai criticato quelle degli altri compagni, tanto meno quindi in una situazione come quella in cui mi trovo”. Il detenuto respinge la tesi, più volte affacciatasi in questi mesi anche alla luce dei rapporti di polizia, che la sua campagna possa essere stata orchestrata con esponenti della criminalità organizzata in carcere: “Il più grande insulto per un anarchico è quello di essere accusato di dare o ricevere ordini. Quando ero al regime di alta sorveglianza avevo comunque la censura, e non ho mai spedito ‘pizzini’ ma articoli per giornali e riviste anarchiche. E soprattutto ero libero di ricevere liberi e riviste e scrivere libri, leggere quello che volevo, insomma mi era permesso di evolvere, vivere”.
 
In merito alla sua sottoposizione al carcere duro (Cospito è insieme a tre esponenti delle Nuove brigate rosse l’unico detenuto politico ristretto al 41 bis, ndr), il terrorista afferma: “Non so le reali motivazioni o le manovre politiche che ci sono dietro, il perché qualcuno mi abbia usato come ‘polpetta avvelenata’ in questo regime. Era abbastanza difficile non prevedere quali sarebbero state le mie reazioni davanti a questa ‘non vita’”. “Sono convinto - conclude - che la mia morte porrà un intoppo a questo regime e che i 750 che lo subiscono da decenni possano vivere una vita degna di essere vissuta, qualunque cosa abbiano fatto. Amo la vita, sono un uomo felice e non vorrei scambiare la mia vita con quella di qualcun altro. E proprio perché la amo non posso accettare questa non vita senza speranza”.

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