FOSSANO - Denunciato per una foto dall’ex comandante della Penitenziaria: il giudice lo assolve

La querela contro una guardia carceraria di Fossano partiva da un’immagine inviata su Whatsapp ai colleghi

a.c. 08/02/2020 12:24


Un innocuo scherzo tra colleghi, secondo il giudizio della difesa. Un’offesa al prestigio della carica, ribatte l’accusa. Si parla di un fotomontaggio inviato su Whatsapp, ‘pietra dello scandalo’ in una causa per diffamazione promossa dall’ex comandante della Polizia Penitenziaria di Fossano.
 
L’immagine incriminata ritraeva il volto di Eraclio Stefano Seda, a capo degli agenti carcerari nella città degli Acaja fino al settembre 2018, ‘impresso’ sul cranio di un uomo in una sorta di radiografia. La didascalia precisava anche di chi si trattasse, facendo nome e cognome di un agente in servizio nella stessa casa di reclusione. A diffondere l’effige ritoccata sarebbe stato l’assistente capo C.A., un altro dei subordinati di Seda a quel tempo: “Forse quell’immagine non l’ho nemmeno creata io, ma ricevuta da altri. In ogni caso, l’avevo inviata solo a uno dei miei colleghi, non ad altri” si è giustificato davanti al giudice.
 
Ad ogni modo pare che quello scherzo in confidenza non ci avesse messo molto a finire sulla bocca di tutti, o comunque di molti, nell’ambiente delle guardie penitenziarie. E il comandante Seda non aveva per nulla apprezzato l’ironia: “In trentasei anni di servizio era la prima volta che un fatto del genere minava la mia credibilità. Il nostro è un corpo di polizia militarmente organizzato, devono essere mantenuti una certa forma e un certo distacco” ha spiegato l’autore della denuncia.
 
Nel corso del dibattimento, in realtà, non si è capito davvero se si trattasse più di una velata accusa di nepotismo rivolta al comandante o di una frecciata al collega considerato troppo accondiscendente. Quest’ultimo, quando aveva saputo di essere stato chiamato in causa assieme al suo superiore, non se l’era presa troppo: “Credo si volesse suggerire che nei miei pensieri c’era posto solo per il mio superiore. Era uno scherzo ricorrente tra noi, c’era chi si riferiva a Seda indicandolo come mio ‘zio’ anziché con il grado”.
 
La parte offesa ha parlato di pesanti ripercussioni sia nell’ambiente lavorativo che nella vita personale a seguito di queste accuse. Nell’agosto dello stesso anno, il comandante era stato fatto oggetto di un duro comunicato del sindacato OSAPP, che denunciava all’amministrazione penitenziaria “gravissimi atteggiamenti illeciti e discriminatori del comandante di reparto”. Una presa di posizione da cui si erano comunque dissociati con fermezza altri agenti e sigle sindacali come la FNS Cisl.
 
Le denunce sindacali in realtà sono di poco precedenti, non successive, alla data della querela. Per questo la difesa ha parlato di “un tentativo di mettere a tacere l’OSAPP” promuovendo una causa strumentale. Non la pensa così la pubblica accusa, che ha chiesto la condanna a quattro mesi per C.A.: “Il tono scherzoso non impedisce l’integrazione del reato. Il fotomontaggio, suscettibile di essere visto da più persone, ha procurato ripercussioni sul piano professionale minando la serenità dell’ambiente”. Alle medesime conclusioni è giunta la parte civile, affermando che “forse non c’era volontà di offesa ma c’era la coscienza di comunicare con più persone un contenuto denigratorio”.
 
“Pensare che l’autorità del comandante possa scomparire a seguito di una foto in cui compare in divisa, senza contrassegni particolari o espressioni ingiuriose, non ha senso” ha sostenuto invece la difesa, derubricando il tutto a “un linguaggio da caserma che è tipico di tutte le ‘comunità confinate’”.
 
Il giudice Elisabetta Meinardi, dopo una breve camera di consiglio, ha pronunciato un verdetto di assoluzione con formula piena.

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