FOSSANO - Sparatoria a Fossano, accuse di tentato omicidio per padre e figlio albanesi

Nel novembre del 2015 a una banale lite in un locale del centro era poi seguito uno scambio di colpi d’arma da fuoco, con due feriti

a.c. 09/10/2019 20:14

 
Si conoscevano bene i due giovani protagonisti della sparatoria avvenuta a Fossano nella notte tra il 28 e il 29 novembre 2015, per la quale uno dei due, T.G., titolare di un’officina meccanica, ha già patteggiato due anni e otto mesi per lesioni gravi.  
 
L’altro, R.K., di nazionalità albanese, deve ora rispondere insieme a suo padre A.K. di tentato omicidio. Nel processo, incominciato stamane a Cuneo, i testimoni della Procura hanno ricostruito la vicenda. Tutto sarebbe nato da un banale diverbio tra i due ragazzi all’uscita di un locale nel pieno centro di Fossano: a una battuta di R.K., giudicata troppo pesante, T.G. avrebbe reagito mettendogli una mano sulla spalla e invitandolo a smettere.
 
Ne era nata una prima colluttazione tra i due, estesa agli amici dell’albanese. Nel corso della baruffa anche la ragazza di T.G. era stata raggiunta da un pugno alla nuca, prima che la coppia si allontanasse in auto insieme alla sorella di lei e al suo fidanzato. I quattro erano tornati alla sala giochi gestita all’epoca dalla madre di T.G., ma durante il tragitto quest’ultimo era stato chiamato al cellulare dal padre di R.K., che lavorava con suo padre in un’impresa edile e che tutti in famiglia conoscevano bene: l’uomo avrebbe sollecitato un chiarimento sulla questione. Dopo aver lasciato la fidanzata e gli altri alla sala giochi, T.G. si era recato all’appuntamento armato, incrociando all’altezza dell’Unifarma un gruppo di sei persone, tra le quali aveva riconosciuto i due imputati e il fratello minore di R.K.: il giovane, accompagnato solo da un suo conoscente, sarebbe stato pestato da quattro di loro a cominciare da A.K., che gli si era avvicinato con un tubo di metallo in mano.
 
L’uomo, costituitosi come parte offesa nel processo, afferma di aver estratto la pistola e sparato alcuni colpi in aria per convincere i suoi aggressori ad allontanarsi. Solo dopo avrebbe colpito R.K. alla gamba e sarebbe tornato in auto, venendo a sua volta raggiunto da un proiettile al volto: T.G. sostiene di aver sentito A.K. dire al figlio in albanese di prendere l’arma dallo sportello dell’auto, ma non ha visto con chiarezza chi gli ha sparato. La madre di T.G. e gli altri testimoni confermano di averlo visto tornare in sala giochi dopo circa un quarto d’ora, coperto di sangue e con tre dita fratturate: prima di svenire aveva farfugliato poche parole, indicando A.K. come responsabile del suo ferimento. Entrambi, in ogni caso, si sarebbero recati a quell’appuntamento con una pistola a portata di mano.
 
A pesare sulla ricostruzione di T.G. in merito è soprattutto il fatto che prima di uscire dalla sala giochi si era premurato di staccare l’impianto di videoregistrazione del locale, a suo dire per evitare che la madre venisse a conoscenza del fatto che era armato o che il locale potesse subirne le conseguenze sul piano giudiziario. T.G. sostiene di aver oscurato le telecamere in prima persona, mentre la fidanzata racconta di averlo fatto lei su indicazione del ragazzo. Tutti i presenti, comunque, affermano di non sapere quali intenzioni avesse il giovane e di non aver notato che T.G. fosse uscito dalla sala giochi con una pistola.
 
Nella prossima udienza, fissata al 1 aprile 2020, verranno ascoltati insieme all’ultimo testimone d’accusa i consulenti tecnici del pm Attilio Offman e quelli delle difese.

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