FOSSANO - Sparatoria a Fossano, padre e figlio albanesi a processo per tentato omicidio

Il ferito è un 30enne italiano che si era recato armato all’appuntamento dopo una rissa. Anche i due imputati erano stati colpiti da proiettili

a.c. 30/11/2020 18:22

 
Sarebbe stato un duello in piena regola quello avvenuto nella notte del 29 novembre 2015 a Fossano fra un trentenne italiano, T.G., e i cittadini albanesi A.K. e R.K., rispettivamente padre e figlio.
 
Tutto nasce da un banale diverbio tra i due ragazzi all’uscita di un locale nel pieno centro di Fossano: a una battuta di R.K., giudicata troppo pesante, T.G. avrebbe reagito mettendogli una mano sulla spalla e invitandolo a smettere. Ne era nata una prima colluttazione tra i due, estesa agli amici dell’albanese. A seguito della baruffa, una volta ritornato presso la sala giochi di proprietà della madre, T.G. sarebbe stato contattato al telefono da A.K., padre del giovane con cui aveva litigato poco prima e suo conoscente personale. Al “chiarimento” sollecitato da quest’ultimo T.G. si era recato armato della sua pistola, incrociando all’altezza dell’Unifarma di via Mondovì un gruppo di sei persone, tra le quali aveva riconosciuto i due imputati e il fratello minore di R.K.: il giovane, accompagnato solo da un suo conoscente, ha raccontato di essere stato pestato da quattro di loro a cominciare da A.K., che gli si era avvicinato con un tubo di metallo in mano.
 
Solo a quel punto T.G. avrebbe estratto la pistola e sparato alcuni colpi in aria per allontanare gli aggressori. Uno dei proiettili aveva comunque ferito R.K. alla gamba di rimbalzo, mentre un altro - sparato ad altezza d'uomo, secondo i riscontri degli inquirenti - aveva scheggiato il femore del padre. Tornato in auto, lo stesso T.G. era stato attinto da un proiettile alla mascella: il ferito sostiene di aver sentito A.K. dire al figlio in albanese di prendere l’arma dallo sportello dell’auto, ma non ha visto con chiarezza chi gli abbia sparato. Sua madre e altri testimoni, nella scorsa udienza del processo, hanno confermato di averlo visto tornare in sala giochi dopo circa un quarto d’ora, coperto di sangue e con tre dita fratturate: prima di svenire aveva farfugliato poche parole, indicando A.K. come responsabile del suo ferimento.
 
Per il sanguinoso diverbio di quella sera il giovane fossanese ha patteggiato una condanna a due anni e otto mesi e si è costituito come parte civile contro i suoi presunti aggressori. In tribunale sono stati ascoltati anche i periti balistici, al fine di appurare l’esatta dinamica dei fatti. Il proiettile che ha ferito alla mascella T.G. non è mai stato ritrovato sulla scena: il consulente della Procura, dottor Conti, sostiene che il colpo sparato contro di lui possa avergli trapassato la mandibola ed essere uscito dalla sua bocca. Secondo il dottor Boscarini, nominato dalla difesa, è impossibile che la frattura alla mano di T.G. sia stata causata da un tentativo di disarmarlo, mentre è probabile che sia l'esito di una rissa.
 
I due imputati, difesi dall’avvocato Alberto Summa, sostengono di non aver mai impugnato una pistola quella sera e sottolineano il fatto che nemmeno lo stesso T.G. abbia saputo indicare con certezza il presunto autore del suo ferimento. Il prossimo 3 marzo il collegio giudicante ascolterà i testimoni della difesa.

Notizie interessanti:

Vedi altro