SAN MICHELE MONDOVÌ - A processo per un cumulo di letame non rimosso, il giudice lo assolve

Il 40enne, titolare di un rifugio per animali a San Michele Mondovì, era accusato di non aver adempiuto alle prescrizioni del sindaco: “Non era un’emergenza sanitaria”

a.c. 10/03/2021 19:20

 
Verteva su una presunta “emergenza sanitaria”, di natura ben diversa da quella che il mondo intero sta vivendo da oltre un anno, il procedimento penale a carico di F.S. per inosservanza di un provvedimento dell’autorità.
 
L’uomo, un 40enne originario di Rho nel Milanese ma residente da alcuni anni a San Michele Mondovì, era accusato di non aver rimosso entro i termini previsti un cumulo di letame di tre metri cubi collocato su un terreno di sua proprietà. Nella borgata Castello F.S. gestisce insieme alla moglie S.A. il “Nuovo Rifugio Emma”, un ricovero per animali che ospita 27 cani, 12 gatti, 4 tartarughe, una pecora e - per l’appunto - un cavallo. Prima di questa vicenda, il centro era già stato oggetto di varie segnalazioni all’autorità da parte degli altri abitanti della frazione, che lamentavano i latrati continui dei cani e le cattive condizioni igieniche del luogo. Le lamentele erano iniziate nei primi mesi del 2018, subito dopo che la coppia si era trasferita con la propria folta “tribù” di quattro zampe bisognosi al seguito.
 
A seguito di un sopralluogo congiunto tra carabinieri forestali, funzionari Asl e vigili urbani nel gennaio 2019 era stato ingiunto al proprietario di rimuovere entro 48 ore il letame e di provvedere in 60 giorni a mettere a norma il sistema fognario. Stando ai rilievi eseguiti, il cumulo si trovava a una distanza dall’abitazione della coppia inferiore rispetto a quella prevista dalla legge. Nel marzo successivo il sindaco di San Michele, Domenico Michelotti, aveva emanato un’apposita ordinanza. Ma ancora in novembre l’Asl aveva constatato che il letame non era stato completamente rimosso.
 
Il pubblico ministero Anna Maria Clemente ha chiesto la condanna a un mese per l’imputato, ritenendone provata la colpevolezza. L’avvocato Fabrizio Bruno di Clarafond, difensore di F.S., ha invece sostenuto che l’ordinanza sindacale fosse viziata all’origine da una mancanza di presupposti: “Non si può ritenere che un cumulo di letame di tre metri cubi costituisca un’’emergenza sanitaria’. Insussistente è anche il riferimento all’interesse pubblico o a un imminente pregiudizio per la salute della comunità locale”. Il cavallo, ha sottolineato inoltre il legale, non era di proprietà dello stesso F.S. ma era stato affidato in custodia al figlio della sua compagna, a seguito di un sequestro giudiziario.
 
Il giudice Fabrizio Labate ha infine pronunciato un verdetto di assoluzione per particolare tenuità del fatto.

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