MONDOVÌ - Attentato incendiario a un villino di Pogliola, tre anni di carcere per due egiziani

Avevano appiccato il fuoco nel portico di un’abitazione intestata a un loro connazionale, per una vendetta legata alla compravendita di un locale a Mondovì

a.c. 10/10/2019 13:52

 
Tre anni di carcere per i due esecutori materiali dell’incendio che nella notte del 5 novembre scorso rischiò di distruggere l’abitazione di un cittadino egiziano a Pogliola, frazione di Mondovì.  
 
Lo ha deciso il giudice Marcello Pisanu accogliendo la richiesta di pena formulata dal pubblico ministero Attilio Offman al termine della requisitoria. I due condannati, A.A. e A.I., sono anch’essi immigrati egiziani e avrebbero agito su impulso di un loro connazionale, K.H., che ha già patteggiato la pena per la medesima imputazione di incendio doloso. La persona offesa, assistita dall’avvocato Fabrizio Di Vito, è un imprenditore 46enne residente a Mondovì che gestisce una cooperativa di servizi e un minimarket. Nel villino a lui intestato viveva uno dei due figli, che solo per un caso fortuito non si trovava all’interno dell’abitazione al momento dell’attentato.
 
Stando alla sua testimonianza, si sarebbe trattato di una ‘spedizione’ ordita da K.H., con la complicità degli altri due uomini, per punirlo nel ruolo di presunto intermediario che avrebbe assunto nella compravendita di una kebabberia a Mondovì. L’ideatore del disegno criminoso e suo fratello erano di fatto i proprietari del locale che avevano però intestato a un prestanome: quest’ultimo, a sua volta, aveva ceduto l’esercizio a un altro gestore, trasferendosi in Germania con il ricavato. I due fratelli, membri di un numeroso clan familiare con base a Torino, accusavano l’imprenditore di aver agevolato l’’inganno’ nei loro confronti, incassando anche una certa somma. Per questo avrebbero minacciato più volte il connazionale, sia prima che dopo l’incendio, sebbene quest’ultimo negasse di aver preso parte all'affare.
 
La sera del 5 novembre 2018, K.H. e i suoi due complici, incensurati, erano stati fermati in flagranza da una volante dei Carabinieri che transitava lungo la statale. Insospettiti dalle fiamme, divampate nel portico dell’abitazione proprio mentre imperversava un violento nubifragio, i militari avevano inseguito i tre, che dopo essere rientrati in fretta nell’auto avevano percorso alcune centinaia di metri. Il fuoco era stato domato grazie al tempestivo intervento di due mezzi dei Vigili del Fuoco, subito allertati dalle forze dell’ordine. Sebbene i danni al villino fossero minimi, il rogo aveva provocato una perdita di materiali da lavoro quantificabile in circa 80mila euro. Durante il processo l’accusa ha inoltre rimarcato la presenza di un serbatoio di Gpl a pochi metri di distanza dalle fiamme, a riprova della scarsa considerazione verso le possibili e peggiori conseguenze dell’atto.
 
Di un’”assoluta insensibilità ai valori umani” da parte degli imputati ha parlato anche l’avvocato Di Vito per la parte civile, sottolineando come i tre avessero messo in atto il loro piano nonostante le luci in casa fossero accese: per quanto ne sapevano, quindi, il loro gesto avrebbe davvero potuto mettere a rischio la vita di qualcuno. A pesare sul giudizio finale è stato infine il comportamento processuale dei due egiziani, che non hanno chiesto di accedere a riti alternativi e non si sono mai presentati in udienza nel corso del procedimento.

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