MONDOVÌ - Crac Monte Regale, tutti assolti per la bancarotta del pastificio di Mondovì

L’azienda, erede della storica Gazzola, fallì nel 2012 lasciando a casa 116 dipendenti. Scagionati i sei imputati: tra loro ex amministratori, sindaci e fornitori

a.c. 28/09/2021 12:12

 
Alla fine è stata la perizia disposta dal tribunale a scagionare dalle accuse sei imputati per il crac del pastificio Monte Regale di Mondovì. Sul banco degli imputati erano finiti i marchigiani Giuseppe e Roberto Andreani, già membri del consiglio di amministrazione, con l’accusa di bancarotta fraudolenta documentale. Insieme a loro due ex membri del collegio sindacale, S.F. e M.C., accusati di bancarotta semplice per non aver vigilato sulla gestione. Il titolare della S.M.A. srl (Società Molini Asti), R.M., doveva rispondere di concorso in bancarotta preferenziale in quanto fornitore e socio della Monte Regale srl. Infine il commercialista P.C.R., che attestò la fattibilità del progetto di concordato preventivo dell’azienda.
 
Agli amministratori dell’azienda si contestava anche di aver organizzato una vendita simulata di circa 5mila tonnellate di paste alimentari a uso zootecnico, a un prezzo dieci volte inferiore a quello di mercato, provocando un buco da sette milioni di euro. Il dissesto della Monte Regale seguì di un anno quello del pastificio Andreani snr di Montecassiano (Mc), che ne deteneva il 74%. L’azienda, erede del pastificio Gazzola di via Cuneo, era entrata in profonda crisi negli anni Duemila e dopo vari cambi di proprietà aveva dichiarato il fallimento nel 2012, lasciando a casa 116 dipendenti. Per la vicenda l’ex amministratore delegato ha patteggiato una condanna, mentre altri imputati hanno scelto di andare a dibattimento.
 
Il consulente tecnico nominato dal tribunale ha però sostenuto la legittimità sia dell’iscrizione di un credito sopravvenuto da 6,4 milioni di euro, sia della richiesta di concordato preventivo avallata dal commercialista. Operazioni compiute per consentire alla Monte Regale, già minata dal dissesto precedente, di restare a galla. All’approssimarsi del fallimento, il consiglio di amministrazione aveva stipulato un contratto d’affitto da cinque anni con il gruppo Pasta Sì: uno stabilimento dal valore stimato di almeno 25 milioni veniva ceduto per 80mila euro l’anno al solo fine di garantirne l’operatività. Questa la situazione che il curatore fallimentare si era in seguito trovato a gestire. Nel periodo della crisi definitiva emergeva anche la posizione dell’astigiano R.M., uno storico fornitore subentrato come socio di minoranza e divenuto infine il finanziatore quasi unico del pastificio: anche per lui il sostituto procuratore Pier Attilio Stea ha chiesto l’assoluzione.
 
Più complessa la vicenda dello smaltimento delle 5mila tonnellate di pasta già inscatolata della quale la Barilla, committente del pastificio monregalese, aveva preteso il ritiro dal mercato perché contaminata dalla presenza di una microtossina. Il prodotto fallato era stato ceduto per lo smaltimento a una piccola impresa agricola di Chiusa Pesio. Secondo la Procura e gli stessi presunti acquirenti, però, gli scarti non sarebbero mai stati ritirati ma rivenduti sottobanco sui mercati esteri: “Se si sono fatte carte false sullo smaltimento del ‘rifiuto’ - ha sottolineato il rappresentante dell’accusa - bisogna però chiedersi chi sia stato: l’operazione era stata gestita da Mondovì, non da Macerata. Agli Andreani si può contestare tutt’al più di non aver vigilato sulle attività, ma è un profilo colposo che attiene alla ‘mala gestio’”.
 
I giudici del collegio presieduto da Marco Toscano hanno ritenuto insussistenti le principali accuse a carico degli imputati. Altri capi d’imputazione sono stati dichiarati prescritti.

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