MONDOVÌ - ‘Dalla Cina un traffico di carne umana’: in due a giudizio per un giro di escort a Mondovì

L’operazione ‘Mamma Mia’ aveva interrotto un via vai di prostitute gestito dalle centrali di Chinatown a Milano

a.c. 17/09/2019 17:14


Gli uomini della Squadra Mobile l’avevano chiamata operazione ‘Mamma Mia’, con riferimento a un’espressione ricorrente nelle telefonate tra due immigrate irregolari cinesi, ritenute essere a capo di un giro di prostituzione a Mondovì, e il loro ‘factotum’ italiano.

Nel marzo del 2016 le indagini avevano portato all’arresto dei tre e al sequestro di due appartamenti in via Bona e via Rinchiuso, dove secondo gli inquirenti si prostituivano in pianta stabile almeno tre ragazze cinesi e, in maniera occasionale, anche le due presunte maitresse, la 36enne J.L. detta Lisa e la 53enne Y.W. detta Cinzia. Entrambe erano finite agli arresti domiciliari, mentre per il pensionato 65enne che le aiutava, D.V.S., si erano aperte le porte del carcere. L’uomo, pregiudicato per reati contro il patrimonio, era stato accusato dalla Procura di sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento insieme a ‘Cinzia’, mentre per ‘Lisa’ l’imputazione in un diverso procedimento è di induzione alla prostituzione.

Tutti e tre sono residenti nel Milanese, da dove le cinesi avrebbero gestito gli appuntamenti e le turnazioni delle prostitute inviate a Mondovì. Il pensionato invece faceva la spola tra Milano e la Granda occupandosi di tutte le questioni riguardanti gli affitti, le utenze e le spese di gestione, oltre agli annunci su un sito di escort. Il giro d’affari, secondo la Polizia, doveva ammontare a circa 4-5mila euro al mese.

A mettere in allerta le forze dell’ordine era stata nel 2015 una telefonata intercettata alla sorella di Y.W., già coinvolta in un'altra vicenda di sfruttamento della prostituzione a Mondovì. La successiva richiesta di intervento di un residente, insospettito dal continuo via vai di sconosciuti, aveva fatto scattare l’operazione.

Dopo la chiusura dell’istruttoria, il procuratore Pier Attilio Stea ha fatto il punto su quanto emerso nel corso del processo, ricordando come questi episodi siano parte di traffici molto più ampi: “La Cina in questo momento esporta carne umana, gestita in rotazione continua dai centri di via Sarpi a Milano”.

Il pubblico ministero distingue in modo netto la posizione della presunta tenutaria dei due bordelli da quella del suo intermediario, per il quale è stata chiesta una pena di due anni: quest’ultimo è persona in condizioni di indigenza pressoché assoluta e con gravi problemi di salute, che stando alle intercettazioni litigava per spuntare di volta in volta un compenso di dieci o venti euro per i suoi servizi. Il suo stesso avvocato, chiedendone l’assoluzione, lo ha definito un soggetto che “ha in fondo all’anima la personalità del ‘bauscia’ ma, per il vero, è un disperato che vive di elemosine, anche in riferimento a questa situazione”.

Ben diversa invece, secondo l’accusa, la posizione di Y.W., per la quale sono stati chiesti quattro anni di carcere e l’espulsione dall’Italia in quanto clandestina. La sua difesa tuttavia contesta il fatto che l’intera operazione si basi su accertamenti telefonici, a seguito dei quali non sarebbero state messe in atto né intercettazioni ambientali né identificazioni dei clienti.

Il tribunale collegiale, dopo essersi riunito in camera di consiglio, ha rimandato la sentenza al prossimo 5 novembre e disposto che venga prima risentito l’ispettore capo Andrea Montagnana, teste chiave nel processo.

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