BAGNASCO - Falso nel reddito di cittadinanza: condannata una 21enne di origine marocchina

La giovane aveva attestato di risiedere in Italia da almeno dieci anni, ma non era vero. La difesa: “Non capisce l’italiano, ha risposto con il traduttore automatico”

a.c. 13/01/2022 19:11

È costata una condanna penale a una 21enne residente nel Monregalese, di origini marocchine, la falsa dichiarazione prodotta nel 2018 all’Inps per ottenere il reddito di cittadinanza.
 
La segnalazione nei confronti di F.S. era arrivata da una funzionaria del comune di Bagnasco, dove la giovane si era trasferita dopo un periodo trascorso a Priero. La ragazza all’epoca era munita di un regolare permesso di soggiorno, ottenuto tramite ricongiungimento familiare. Il problema però riguardava un altro dei requisiti specifici richiesti per l’accesso al beneficio, quello che impone un periodo di residenza continuativa in Italia di almeno dieci anni. L’ingresso nel Paese di F.S., stando agli atti, risaliva a marzo 2015.
 
La dipendente comunale aveva quindi domandato alla diretta interessata di giustificare l’anomalia: “Ho ricevuto una mail dove F.S. mi diceva di essere in procinto di preparare gli esami di maturità. Essendo una studentessa disoccupata e senza altro reddito, in condizioni economiche difficili, chiedeva che le venisse mantenuto il reddito di cittadinanza”. Circa la carenza di requisiti, però, era stata lei stessa a confermare in una successiva telefonata di essersi stabilita in Italia per la prima volta nel 2015, all’età di 15 anni. L’amministrazione comunale aveva dunque fatto partire la segnalazione all’autorità giudiziaria.
 
Il procuratore Alessandro Bombardiere ha rilevato nella requisitoria la sussistenza del reato contestato, il falso ideologico. Rispondendo alla mail, la richiedente “aveva mostrato piena consapevolezza di aver dichiarato il falso”. Inoltre i tratti della firma sulla dichiarazione inviata all’Inps, prodotta tra gli atti processuali, corrisponderebbero a quelli della carta d’identità.
 
A questa osservazione, oltre che alla richiesta di pena formulata dalla Procura, si è opposta l’avvocato Ileana Marmi, difensore della giovane: “Non è possibile rilevare che i tratti della firma corrispondano, perché non è leggibile”. Il legale ha rimarcato il fatto che “l’imputata, stando a quanto affermato dalla funzionaria, non ha una padronanza della lingua italiana tale da comprendere tutti gli atti. Questo emerge anche dalla mail di risposta, che appare essere una semplice traduzione dall’arabo all’italiano effettuata con Google Translate o con altro traduttore automatico”. Secondo l’avvocato, di produrre il certificato di residenza storica avrebbe dovuto incaricarsi il Caf al momento di inoltrare la domanda: “L’imputata non ha mai negato di essere entrata in Italia solo nel 2015, dunque non era consapevole del falso”
 
Diverso il parere del giudice Emanuela Dufour, la quale attenendosi alle richieste formulate dall’accusa ha condannato F.S. alla pena di sei mesi di detenzione.

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