VIOLA - Incidente mortale al bike park di Viola, un teste accusa: “Quel salto era pericoloso”

È la prima volta che il gestore di un impianto di downhill viene chiamato a rispondere di omicidio colposo. Andrea Pastor, 38 anni, morì dopo aver colpito una rampa

Immagine di repertorio

Andrea Cascioli 23/04/2024 17:35

È il momento della difesa nel processo che vede imputato l’imprenditore cebano F.R., gestore del complesso “Porta della Neve” e del bike park di Viola St Grée. L’accusa è di omicidio colposo: la Procura ritiene che vi siano state negligenze nella sicurezza del tracciato, all’origine della morte del 38enne Andrea Pastor. Vigile del fuoco di Pigna, nell’Imperiese, grande sportivo, sposato e padre di due figli, Pastor era insieme a una comitiva di amici arrivati dalla Liguria il 3 ottobre del 2021.
 
La tragedia si consumò quasi al fondo della pista “Saltimbanco”, considerata la più difficile. Nell’affrontare un salto da una rampa di legno, il mountain biker mancò l’atterraggio e andò a sbattere contro il bordo della rampa di arrivo. Nulla da fare, purtroppo, per salvagli la vita, malgrado l’immediato intervento di un’infermiera che stava passeggiando nelle vicinanze insieme al marito. Dopo il massaggio cardiaco, praticato sia da lei che dai soccorritori del 118, non era rimasto altro che dichiarare il decesso del 38enne. In Italia è la prima volta che si affronta un processo per un incidente mortale di questo genere. Il downhill è una specialità del mountain biking che si svolge in discesa su terreni sconnessi, spesso con salti, pietraie e ostacoli. Una disciplina che richiede buone capacità e può comportare qualche rischio.
 
Lo ha confermato nell’ultima udienza Tommaso Francardo, campione italiano di enduro nel 2022 e corridore esperto anche nel downhill. Frequentatore abituale di Viola, Francardo ricorda di aver affrontato alcune volte la pista “Saltimbanco”, che è il tracciato più recente: il salto dalla rampa, sostiene, è “di medio-basso livello”, alla portata di un ciclista allenato. Era visibile, in ogni caso, da altri punti della pista, in particolare dalla seggiovia. Il professionista ha precisato di aver affrontato “ostacoli analoghi” in altri impianti, come nella vicina San Giacomo di Roburent, dove però il salto finisce sul terreno e non su una seconda rampa di legno.
 
In aula ha reso la sua versione anche un giovane di Pigna, amico di Pastor, che non era insieme a lui quel giorno ma aveva subito un incidente sullo stesso salto, solo pochi mesi prima: “Faccio anche motocross, quindi sono abituato ad affrontare i salti. Ma su una pista amatoriale non dovrebbero esserci ‘buchi’, solo tratti percorribili. I miei amici concordavano sul fatto che fosse un salto un po’ pericoloso”. Frenando in modo brusco, ha riferito, lui era riuscito ad attutire la caduta e a non farsi troppo male: “Ne ho parlato solo con gli amici, ma dopo quello che è successo ad Andrea l’ho raccontato al padre della mia compagna, che era a Viola quel giorno. Ho pensato che avrei potuto esserci io al suo posto”.
 
Opinione non dissimile da quella fornita nell’udienza precedente dal perito di parte civile, secondo il quale “opportune e più idonee protezioni” contro lo spigolo della rampa, non protetto dai materassi, avrebbero potuto salvare la vita al ciclista.

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