Era finito a processo con l’accusa di omissione di soccorso, dopo che un amico, ospite in casa sua a Mondovì, si era allontanato insanguinato dall’abitazione di corso Statuto. Alcuni passanti lo avevano trovato a qualche centinaio di metri di distanza, in via Morozzo della Rocca, allertando i soccorsi. Con l’ambulanza sono arrivati anche i carabinieri, che hanno interrogato e infine denunciato F.A., rifugiato africano, ospite con la famiglia della cooperativa Valdocco. Proprio il timore di perdere l’alloggio, secondo l’accusa, avrebbe distolto l’uomo dal chiamare subito il 118: le regole abitative, molto stringenti, non consentivano infatti di ricevere ospiti. Lui si è presentato in tribunale, davanti al giudice Marco Toscano, e ha smentito questa ricostruzione: “Volevo chiamare l’ambulanza, ma lui è scappato. Gli avevo proposto di restare e non ha voluto aspettare”. L’ospite si era infortunato cadendo nel bagno di casa, contro una porta a vetri. F.A. si era adoperato, sostiene il suo difensore, anzitutto per evitare che il figlio piccolo potesse tagliarsi a sua volta con le schegge. Poi avrebbe cercato di raggiungere l’amico sotto casa, senza però trovarlo: “Mi risulta avesse qualche problema mentale, come hanno dichiarato i suoi amici” ha poi detto l’imputato. Per il pubblico ministero Gianluigi Datta ce n’era comunque abbastanza per una richiesta di condanna, quantificata in due mesi di reclusione: “Parla lui stesso della problematica che fa capire perché non si sia adoperato affinché venisse soccorso: perché altrimenti si sarebbe appurato che era ospite abusivo dell’abitazione e lui era preoccupato dell’eventualità di perderla”. L’avvocato Fabrizio Di Vito, patrono di parte civile, ha sottolineato come l’imputato fosse “più preoccupato per le conseguenze del suo comportamento che non delle reali condizioni di salute dell’amico”: l’eventuale instabilità mentale di quest’ultimo, sostiene, sarebbe stato un motivo in più per non lasciarlo solo. Del resto, ha aggiunto il legale, il ferito “è stato ritrovato su una panchina con addosso del fogliame, praticamente semicosciente, e con una ferita sotto l’ascella. Non sarebbe riuscito a spostarsi da solo fino lì”. “Si è trovato tra l’incudine e il martello” ha riconosciuto l’avvocato Alessandro Galia, difensore dell’accusato, osservando però che ad innescare la vicenda fosse stato l’allontanamento volontario dell’infortunato: “Quando si è allontanato da casa non era in situazione fisica di estrema gravità, infatti è stato ritrovato a circa 400 metri di distanza. I testimoni dicono di averlo incontrato in centro a Mondovì e che però aveva rifiutato le offerte di soccorso, allontanandosi anche da loro: loro, fortunatamente, hanno poi chiamato i soccorsi”. Tutto ciò mentre F.A., a suo dire, “lo va a cercare per tutta Mondovì. Avrebbe potuto starsene tranquillamente in casa se l’obiettivo era solo quello di allontanarlo”. Il processo si è concluso con l’assoluzione perché il fatto non sussiste.