MONTEZEMOLO - Nessuna frode nell’accoglienza: assolti i gestori di undici CAS della Granda

Anche la Procura ha ritenuto insussistenti le accuse di truffa allo Stato e caporalato. Le difese: “Era un’emergenza, c’erano 3500 richiedenti asilo in provincia”

Andrea Cascioli 12/02/2024 19:05

Era nata da un esposto anonimo l’indagine che ha portato a processo quattro titolari di cooperative coinvolte nella gestione dell’accoglienza tra il 2015 e il 2018, nel periodo più caldo dell’emergenza sbarchi. Gravi le accuse a loro carico: sfruttamento della manodopera e frode ai danni dello Stato, per un ammontare di 317mila euro.
 
Soldi che secondo la Guardia di Finanza di Mondovì le tre cooperative, ovvero la Immacolata 1892, Casa dell’Immacolata e Il Tulipano, avevano percepito in maniera indebita, segnando più volte le presenze degli stessi immigrati in diversi centri di accoglienza (CAS). Undici quelli gestiti dal gruppo, in particolare la Immacolata 1892 aveva stabilito tre CAS a Ceva, uno a Valdieri, uno a Montezemolo e due a Borgo San Dalmazzo, mentre alla coop Il Tulipano facevano capo quelli di Levaldigi, Bene Vagienna e Monterosso Grana e alla Casa dell’Immacolata il centro di Belvedere Langhe. L’inchiesta era stata denominata “Lino” dal soprannome del principale indagato, Eligio Accame, direttore della Casa dell’Immacolata e referente dell’intero gruppo nei rapporti con la Prefettura. A lui, in particolare, le fiamme gialle imputavano di aver utilizzato il lavoro degli ospiti dei CAS per ristrutturare una cascina di sua proprietà a Pietra Ligure, nel Savonese.
 
Le varie ipotesi accusatorie sono via via cadute nel corso dell’istruttoria, tanto che lo stesso rappresentante della Procura le ha ritenute alla fine insussistenti: “Difetta la prova dell’indebito arricchimento delle cooperative in danno dell’ente pubblico” ha concluso il sostituto procuratore Francesco Lucadello, chiedendo l’assoluzione per tutte le imputazioni. Nelle udienze numerosi testimoni hanno portato alla luce gli aspetti complessi del lavoro svolto dal gruppo di cooperative torinesi, già da tempo attive nel sociale, a cui la stessa Prefettura di Cuneo aveva chiesto aiuto per fronteggiare l’afflusso di richiedenti asilo: “Allora c’è stata un’invasione, oggi è niente in confronto” ha ricordato Accame, offrendo, oltre all’esame in aula, una dettagliata memoria difensiva. A Monterosso Grana, ad esempio, il CAS locale si era scontrato con un’iniziale diffidenza di cittadini e amministrazione, poi venuta meno dopo il recupero dell’ex albergo “A la Posta”: alla fine il Comune aveva perfino concesso i suoi spazi per i corsi. A Belvedere Langhe, dove erano presenti solo donne, c’era stata qualche frizione presto risolta, come ha raccontato l’ex sindaco Gualtiero Revelli: “Quando sono arrivati non ero molto contento, in un paese di nemmeno 500 abitanti avere trenta profughi non è molto bello, per un sindaco”.
 
“Molti si rifiutavano addirittura di imparare l’italiano, nonostante l’insegnante fosse lì: era necessario inserire un po’ di tutto” ha riferito un ex dipendente. Per questo i gestori dei centri, oltre ai corsi di lingua e alle ore con i mediatori culturali, avevano proposto corsi di informatica, di elicicoltura o di giardinaggio e costruzione a secco, come nel caso di Pietra Ligure. A Savigliano era stato avviato un corso di cucina e servizio di sala, con certificazione HACCP, ristrutturando un ex ristorante: tutti investimenti privati, senza interventi da parte della Prefettura. “È emerso che tutti ricevessero il pocket money e ad alcuni veniva data una retribuzione aggiuntiva per lo svolgimento dei corsi” ha confermato il pubblico ministero, così come a tutti erano garantiti vitto e alloggio, indumenti e prodotti per l’igiene. Quanto al lavoro svolto, “non si sono rilevate prove delle condizioni di sfruttamento che la giurisprudenza pone come indici per dimostrare il caporalato”.
 
“La vicenda è frutto di una serie di equivoci” ha sostenuto l’avvocato Isabella Nacci, difensore di Gabriella Brajkovic, responsabile dell’Immacolata 1892. Equivoci protratti, secondo i legali, fin dall’ispezione condotta nel dicembre 2017 nel CAS di Montezemolo, che aveva dato avvio agli accertamenti: i dieci ospiti del centro non erano presenti perché, spiegano gli imputati, si attendevano forti nevicate e si era deciso di trasferirli in via provvisoria a Ceva. “Le cooperative - ha aggiunto l’avvocato - hanno fatto di tutto per evitare che chiedessero l’elemosina o che le migranti andassero a prostituirsi, come inizialmente era capitato a Belvedere. Hanno realizzato tantissimi corsi non richiesti dal bando, il tutto a loro spese, cosa che altri soggetti non hanno fatto”. “L’elenco delle attività svolto da queste cooperative è impressionante” ha sottolineato anche l’avvocato Vittorio Sommacal, difensore di Lino Accame e Gianpaolo Massano: a Pietra Ligure, appunto, era stato allestito un corso di costruzione di muri a secco. “Sull’immobile di proprietà di Accame - ha precisato - non è stata fatta nessuna attività di ristrutturazione o miglioria da parte dei migranti”. In quel periodo, ha ricordato il legale, un flusso di circa 3.500 richiedenti asilo in provincia veniva gestito da tre sole persone in Prefettura: “La comunicazione era necessariamente sbrigativa e la normativa emergenziale”. Alle conclusioni si è associata l’avvocato Romina Bassi per la posizione di Chiara Bellomo, coinvolta in modo molto marginale e per un periodo di tempo limitato.
 
Il giudice Giovanni Mocci ha infine assolto tutti gli imputati per insussistenza dei fatti.

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