MONTEZEMOLO - Processo ai centri di accoglienza, la parola agli imputati: “Eravamo invasi, ma oggi i rifugiati lavorano”

Lino Accame e gli altri imputati si difendono dall’accusa di aver percepito indebiti compensi dalla prefettura: oltre 300mila euro secondo la procura

Andrea Cascioli 02/10/2023 12:50

“Allora c’è stata un’invasione, oggi è niente in confronto. Ci è stato chiesto l’inserimento attraverso i comuni con i lavori socialmente utili e possibilmente di mettere i richiedenti asilo in condizione di trovare un posto di lavoro, togliendoli dai centri di assistenza”: chi parla è Eligio Accame detto Lino, finito a processo a Cuneo per il suo ruolo apicale nelle tre cooperative accusate di aver percepito indebiti compensi dallo Stato.
 
Al centro della vicenda giudiziaria c’è l’attività di undici centri d’accoglienza straordinari (CAS) in varie località della provincia Granda: la Immacolata 1892 gestiva tre CAS a Ceva, uno a Valdieri, uno a Montezemolo e due a Borgo San Dalmazzo, mentre alla coop Il Tulipano facevano capo quelli di Levaldigi, Bene Vagienna e Monterosso Grana e alla Casa dell’Immacolata il centro di Belvedere Langhe. Il savonese Accame, oggi 75enne, era la persona che coordinava l’attività del gruppo, anche nei rapporti con la prefettura: “A fronte dell’emergenza, tra fine 2015 e inizio 2016 ci chiesero di organizzare l’accoglienza. Attrezzammo il primo centro a Ceva, in una struttura vicina alla stazione che prima ospitava pazienti psichiatrici”.
 
La prefettura imponeva aggiornamenti giornalieri sulle presenze degli immigrati nei centri. Per questo i vari CAS si erano organizzati: i responsabili fotografavano ogni giorno i registri firmati e inviavano le immagini alla sede centrale di Torino, da dove veniva inviato un unico report a Cuneo. “La presenza - spiega Accame - implicava che per almeno un minuto al giorno la persona fosse stata nel CAS: paradossalmente, si sarebbe potuto firmare a mezzanotte e un minuto e tornare a mezzanotte del giorno dopo”. I centri, in ogni caso, dovevano fornire autorizzazioni per le assenze fino a 72 ore, mentre quelle più lunghe potevano essere giustificate solo alla prefettura: “Erano censite anche le presenze fisiche ai pasti e ai corsi. Abbiamo subito moltissime ispezioni, tutte a sorpresa, a meno che i funzionari non volessero incontrare un responsabile”.
 
Proprio da un’ispezione in uno dei CAS, nel dicembre 2017, è nata l’inchiesta della Guardia di Finanza di Mondovì che vede Accame sul banco degli accusati insieme ad altri tre amministratori delle cooperative: Gabriella Brajkovic, Chiara Bellomo e Giampaolo Massano. L’accusa contesta a tutti loro di aver “gonfiato” i rimborsi previsti per ciascun ospite, per un ammontare complessivo di 317mila euro. Dai CAS in cui venivano segnati come presenti, gli immigrati sarebbero stati “arbitrariamente trasferiti in Liguria per svolgere attività lavorative in campo edilizio e cura e manutenzione del verde” con “compensi al di fuori di ogni norma di legge, senza autorizzazioni o contratti”. Durante il sopralluogo a Montezemolo, in particolare, era emerso che al posto degli immigrati che sarebbero dovuti essere presenti ce n’erano altri: “Ci siamo accorti che questa ‘rotazione’ avveniva in tutti i CAS della stessa cooperativa” ha riferito il luogotenente delle fiamme gialle Maurizio Leo.
 
Alle contestazioni Accame ha risposto giustificando le assenze a Montezemolo con un problema legato al meteo: “In quei giorni c’era emergenza neve, tant’è che non riuscimmo nemmeno a portare una mamma con due bambini a Belvedere Langhe: la prefettura ci autorizzò a tenere i profughi, provvisoriamente, in un alloggio di Borgo San Dalmazzo. Ma i migranti di Montezemolo non erano spariti, otto erano a Pietra Ligure per un corso di pulizia dei sentieri e un altro gruppo a Ceva a fare un corso di informatica”. A Pietra Ligure, nel Savonese, gli immigrati erano ospitati in un fabbricato rurale di proprietà della società Albafin e riconducibile allo stesso Accame, il quale nega qualunque ipotesi di sfruttamento: i terreni su cui lavoravano i richiedenti asilo, precisa, “erano tutti di proprietà comunale e oggi sono aperti al pubblico”. All’inaugurazione dei sentieri presenziarono il sindaco e vari amministratori ed esponenti politici: tutto alla luce del sole, insomma. Ma non solo: “A chi aveva lavorato alla sistemazione dei sentieri abbiamo dato un premio di partecipazione, in aggiunta al pocket money”. Sui risultati di quelle attività Accame traccia un bilancio positivo: “Penso che oltre il 90% dei ragazzi che abbiamo ospitato nei nostri CAS in provincia di Cuneo abbiano tuttora un’occupazione”.
 
Il 26 ottobre si terrà la prossima udienza del processo, con l’audizione di vari testi della difesa.

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