SAVIGLIANO - Furti di gioielli, a processo un complice di chi ideò il ‘colpo del secolo’

Piazzavano Gps sotto le auto dei rappresentanti di preziosi per derubarli: la ‘mente’ era Leonardo Notarbartolo, autore del colpo da 100 milioni al World Diamond Center di Anversa

Andrea Cascioli 26/10/2019 12:06

Come nei migliori polizieschi, a inguaiare i criminali è stato un testimone scomodo. Un operaio che stava realizzando alcuni scavi per un acquedotto a Pianfei, e che aveva visto passare avanti e indietro più volte la stessa macchina. Strano, su una strada così isolata. Talmente strano da indurlo a segnare il numero di targa.
 
Più tardi la sua precauzione si sarebbe rivelata fondamentale per arrivare a incastrare gli autori di due furti da 600mila euro in gioielli, ai danni di due rappresentanti di preziosi. Il primo a essere colpito, nel gennaio 2016, era stato un agente di commercio vicentino, di passaggio nella Granda. Si era fermato a mangiare a Savigliano e una volta uscito dal ristorante non aveva più ritrovato la sua auto.
 
Nel baule c’erano un campionario di merce del valore di circa 300mila euro, assegni di pagamento per 6 o 7mila euro e un revolver Smith & Wesson regolarmente denunciato. Tutto scomparso, anche se poi i Carabinieri avevano rintracciato la berlina a Cavallermaggiore e gliel’avevano restituita senza un graffio: perché i ladri sapevano il fatto loro, e invece di scassinarla l’avevano aperta senza problemi con un mazzo di chiavi clonate. Stessa scena un mese dopo, questa volta davanti al Casinò di Sanremo. Vittima un rappresentante di gioielli di Arezzo, in auto due casseforti con 11 chilogrammi di oreficeria, pari ad altri 300mila euro in moneta sonante. Il tempo di prendere un caffè e la Mercedes era già scomparsa: l’avrebbero rivista in un garage a poca distanza da lì, ma con il vano interno tagliato da un flessibile.
 
Il terzo colpo, il 1 marzo successivo, era andato a monte solo per caso: questa volta l’obiettivo designato, un orefice fiorentino di Pontassieve, si era accorto che qualcosa sporgeva dal paraurti della macchina. Era un rilevatore satellitare Gps, stessa tecnica utilizzata a Savigliano e a Sanremo. Un po’ alla volta gli inquirenti erano riusciti a rimettere assieme i pezzi: c’era la testimonianza della vittima del tentato furto, che oltre a consegnare il Gps ai Carabinieri aveva fotografato l’auto guidata da uno sconosciuto da lui più volte notato sotto casa sua. E c’era il numero di targa segnato dall’operaio di Pianfei: l’aveva riportato alle forze dell’ordine subito dopo aver saputo che un cliente dell’hotel vicino al cantiere in cui lavorava era stato derubato dell'auto e di tutti i gioielli a Savigliano. Anche il direttore dell’albergo aveva notato qualcosa di sospetto: due sconosciuti che avevano chiesto informazioni per una stanza, subito dopo l’arrivo del rappresentante, ma poi non si erano fatti più vivi. La prova regina sarebbe arrivata infine dalle immagini di una telecamera che aveva colto i lineamenti di un’autentica celebrità della malavita: Leonardo Notarbartolo, 64enne torinese di origini siciliane, l’Arsenio Lupin italiano noto alle cronache di tutto il mondo come ideatore del furto da oltre 100 milioni di euro in diamanti e pietre preziose nel caveau del World Diamond Center di Anversa, in Belgio.
 
Era la notte tra il 15 e il 16 febbraio 2003 quando Notarbartolo, insieme ai complici, espugnò la fortezza del commercio europeo di diamanti, uno dei luoghi più sorvegliati del pianeta. Nessuno sa a quanto ammontasse il bottino, mai più ritrovato, né se sia vera la storia di un furto commissionato da un mercante ebreo che il re dei ladri ha raccontato in seguito. Sta di fatto che il colpo si colloca di diritto tra le azioni criminali più audaci di sempre: un piano messo in atto “senza armi, senza odio, senza violenza”, come raccomandava il leggendario Albert Spaggiari.
 
Per i furti della “banda del satellitare” Notarbartolo è finito ai domiciliari nell’aprile del 2016, quando l’operazione condotta dai Carabinieri di Savigliano e coordinata dal pm Carla Longo ha consentito di individuare anche i presunti complici: il figlio Marco, allora 38enne, insieme al 61enne Donato Aliano, al 63enne Stefano Aliano e al 56enne Antonio Defeudis, unico a finire in carcere. Defeudis è anche il solo che non abbia patteggiato la pena e per questo il suo processo è tuttora in corso a Cuneo. Anche lui ha una carriera criminale di tutto rispetto, incominciata nel lontano 1977 con una tentata rapina alle Poste centrali di Torino e proseguita in Svizzera e in Germania. Pochi mesi fa l’ultimo arresto, in flagranza, insieme al pentito di ‘ndrangheta Vincenzo Pavia e ad altri tre componenti di una banda che progettava di assaltare l’ufficio postale di Casale Monferrato: la mattina dell’11 febbraio gli uomini della Squadra Mobile di Torino li hanno anticipati, facendo scattare le manette ai polsi di Defeudis. Proprio nel giorno del suo 59esimo compleanno.
 
Il processo nella Granda intanto va avanti. Nella prossima udienza, fissata al 6 febbraio 2020, a salire sul banco dei testimoni saranno i suoi stessi coimputati.

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