SAVIGLIANO - L’ex re dei ladri in tribunale a Cuneo: mise a segno un furto di gioielli da 300mila euro a Savigliano

L’ideatore del colpo del secolo al World Diamond Center di Anversa (100 milioni di bottino) ha deposto nel processo contro un presunto complice

Un'immagine recente di Leonardo Notarbartolo

Andrea Cascioli 22/12/2020 18:15

Ruota attorno alla presenza di un fantomatico “quarto uomo” l’ultimo atto della vicenda processuale per il colpo da 300mila euro messo a segno nel 2016 a Savigliano.
 
Per quella vicenda sono già stati individuati tutti i componenti della banda a cominciare dal più famoso di loro, Leonardo Notarbartolo. Nato a Palermo nel 1952 e trapiantato a Torino, Notarbartolo è noto alle cronache per essere stato artefice nel 2003 di uno dei furti più arditi degli ultimi decenni al World Diamond Center di Anversa: bottino stimato in oltre 100 milioni di euro, mai ritrovati. Tradito da uno scontrino, il capo del misterioso quartetto che venne ribattezzato “la scuola di Torino” ha poi scontato sei anni di carcere per il colpo del secolo.
 
Ma le sue vicissitudini con la giustizia non erano finite. Nel 2016 ad arrestarlo sono stati i carabinieri di Savigliano, su mandato del sostituto procuratore Carla Longo: gli inquirenti in quell’occasione lo avevano individuato come dominus della “banda del satellitare”, un gruppo di malviventi protagonista di due furti di gioielli - ai danni di altrettanti rappresentanti di preziosi - per un valore di circa 600mila euro. Il primo a essere colpito, nel gennaio di quell’anno, era stato un agente di commercio vicentino, di passaggio nella Granda. Si era fermato a mangiare a Savigliano e una volta uscito dal ristorante non aveva più ritrovato la sua auto. Nel baule c’erano un campionario di merce del valore di circa 300mila euro, assegni di pagamento per 6 o 7mila euro e un revolver Smith & Wesson regolarmente denunciato.
 
Stessa scena si era ripetuta un mese dopo davanti al Casinò di Sanremo: il tempo di prendere un caffè e la Mercedes di un rappresentante era già scomparsa con le due casseforti che trasportava, contenenti 11 kg di oreficeria. Il terzo colpo, il 1 marzo successivo, era andato a monte solo per caso: questa volta l’obiettivo designato, un orefice fiorentino di Pontassieve, si era accorto che qualcosa sporgeva dal paraurti della macchina. Era un rilevatore satellitare Gps, stessa tecnica utilizzata a Savigliano e a Sanremo. La vittima del tentato furto aveva anche fotografato l’auto sconosciuta notata più volte sotto casa sua, ma ad inguaiare i ladri ha contribuito in modo decisivo la testimonianza di un operaio che lavorava presso un cantiere a Pianfei.
 
Quest’ultimo, insospettito dai frequenti passaggi di un’automobile nella zona, ne aveva segnato il numero di targa. Proprio da quelle parti soggiornava il rappresentante che sarebbe stato derubato a Savigliano e questo indizio, insieme al fotogramma di una telecamera che immortalava Notarbartolo, aveva fornito una traccia decisiva per arrivare all’arresto del re dei ladri e dei suoi presunti complici: il figlio Marco, allora 38enne (poi scagionato), il 63enne Stefano Aliano con suo fratello minore Donato (61 anni) e il 56enne Antonio Defeudis. Defeudis, più volte arrestato per fatti analoghi a partire dal 1977, è anche il solo che non abbia patteggiato la pena e per questo il suo processo è tuttora in corso a Cuneo.
 
Notarbartolo, tuttavia, afferma oggi di non averlo mai conosciuto. Sia nel colpo di Savigliano che in quello di Sanremo, l’unico complice coinvolto nei preparativi sarebbe stato l’amico Stefano Aliano: “All’epoca ero un po’ ‘sderenato’, senza una lira in tasca. Grazie a lui ho avuto l’opportunità di accedere a una specie di finanziamento per affrontare le spese degli appostamenti che realizzavo prima dei furti”. “Il procedimento è normale, per uno come me: arrivo in una città, cammino, guardo le oreficerie e noto se c’è qualcuno che attira l’attenzione. Da quel momento comincio a pedinarlo” ha aggiunto il pluripregiudicato torinese: “Questi furti potrei farli anche da solo, ma ho bisogno di qualcuno che controlli se la persona ritorna all’auto, se qualcuno si avvicina, se mi possono aggredire: quando i carabinieri fanno un pedinamento hanno bisogno di tre o quattro macchine, a me ne basta una”.
 
Incurante delle contestazioni del pubblico ministero, che gli ricordava le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, il capo della “banda del satellitare” ha sostenuto di non avere idea di chi potesse essere il quarto componente del gruppo: “Stefano Aliano mi propose di dividere tutto per quattro: io ho accettato, era un contratto. Ma non so chi fossero gli altri, può anche darsi che il quarto uomo non sia mai esistito”.
 
Un mistero in più, nella lunga carriera dell’Arsenio Lupin italiano. Il prossimo 22 marzo si terrà l’atto conclusivo del processo.

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