SAVIGLIANO - Savigliano, bastonate alla figlia 14enne che non rientrava a casa: condannato un 38enne maghrebino

La ragazzina vive da oltre un anno in comunità. Nel suo racconto un quadro di abusi e violenza: “Si arrabbiava per come mi vestivo e perché ho amici maschi”

a.c. 12/02/2021 19:46

 
Quella sera era tornata tardi, verso le ventidue, dopo che i genitori l’avevano cercata per tutto il pomeriggio. Rientrata in camera assieme a un’amica era stata raggiunta dal padre, furioso per il suo comportamento: “Ha preso un manico di scopa e mi ha colpita più e più volte. Avevo lividi sulle gambe, sulla schiena, sulle braccia. Il giorno dopo a scuola un’insegnante se n’è accorta e lo ha segnalato”.
 
A raccontare le violenze subite, in lacrime, è una giovane italo-marocchina di Savigliano, che aveva all’epoca quattordici anni. Da oltre un anno l’adolescente vive in una comunità protetta, dopo la denuncia contro il genitore per abuso dei mezzi di correzione: l’episodio più grave, quello delle bastonate, risale al maggio del 2018, ma il contesto familiare degradato preoccupava già da tempo i servizi sociali che avevano preso in carico sia lei che i fratelli più piccoli, i quali vivono tuttora insieme al padre e alla madre. Nel picchiarla di fronte alla sua amica, l’uomo l’avrebbe insultata dandole della poco di buono, perché era andata al doposcuola senza avvisarlo: “Mi diceva che non meritavo di vivere e che dovevo tagliarmi le vene, era un riferimento al fatto che avevo già praticato atti di autolesionismo e che ero stata in cura a causa dei problemi in famiglia. Quelle parole mi fecero molto male”.
 
Non era la prima volta che la giovane si allontanava dall’abitazione, a fronte delle incomprensioni con il papà che spesso sfociavano nelle botte: “Non ce la facevo a restare in quella casa. A volte trascorrevo fuori anche la notte per la paura di tornare e inventavo scuse”. Diversi gli episodi gravi riferiti al giudice: “Una volta avevo avuto problemi temporanei di vista perché mio padre mi aveva lanciato un telefonino nell’occhio: in ospedale c’era anche mia madre e io ho negato di aver subito violenze. Un’altra volta mi diede un pugno nell’occhio provocandomi un gonfiore”. Anche gli altri figli e la moglie sarebbero stati oggetto delle prepotenze fisiche del capofamiglia: “Spesso mia madre si metteva in mezzo e veniva a sua volta picchiata. Una volta si è ferita sbattendo contro un vetro e i carabinieri le avevano proposto di andare in ospedale, ma lei ha rifiutato”. I contrasti più forti, comunque, erano quelli con la figlia maggiore, anche a causa delle divergenze religiose: “Io purtroppo non credo e abbiamo litigato su questo. Ma lui si arrabbiava anche solo per come mi vestivo o perché frequentavo amici maschi”.
 
Il pubblico ministero Raffaele Delpui ha parlato di una tensione anche generazionale tra l’uomo e sua figlia: “Quando ha concepito la figlia aveva appena diciotto anni e ha scelto di educarla in modo tradizionale”. Lo stesso autolesionismo della ragazzina si configurerebbe come “conseguenza delle condotte eccessive del padre in un contesto di debolezza adolescenziale. La frase ‘non meriti di vivere, dovresti tagliarti le vene’ pesa come una bastonata”. A carico dell’imputato, già gravato da precedenti per spaccio e furto, il rappresentante della Procura aveva chiesto il massimo della pena prevista per questo reato: sei mesi. L’avvocato Davide Ambrassa ha invitato per contro a contestualizzare i fatti all’interno di una vicenda “ben diversa da quanto potrebbe apparire”: “Il mio cliente - ha affermato il difensore - non è un mostro, né il genere di musulmano che bastona la figlia perché mette la gonna corta: è un padre disperato che non sapeva come trattare con una ragazza definita ‘fortemente manipolativa’ e ‘ingestibile’ anche dai servizi sociali”.
 
Il giudice Sandro Cavallo ha riconosciuto la colpevolezza dell’imputato, condannandolo a quattro mesi di reclusione.

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