SAVIGLIANO - Si chiude con un’assoluzione il processo alla “banda del satellitare”

Scagionato un pluripregiudicato per il colpo da 300mila euro a Savigliano. Ora Leonardo Notarbartolo, l’Arsenio Lupin italiano, rischia una nuova incriminazione

in foto: Leonardo Notarbartolo, il capo della "banda del satellitare"

Andrea Cascioli 20/05/2021 18:26

 
Non era Antonio Defeudis il misterioso quarto uomo della “banda del satellitare”, il gruppo di esperti criminali che nel gennaio di cinque anni fa derubarono un rappresentante di gioielli vicentino, di passaggio a Savigliano, di circa 300mila euro in pietre preziose.
 
Il pluripregiudicato Defeudis, oggi 61enne, era ritenuto dalla Procura di Cuneo un complice nell’operazione ideata e diretta da Leonardo Notarbartolo, l’Arsenio Lupin italiano noto per essere stato artefice nel 2003 del furto da 100 milioni di euro al World Diamond Center di Anversa, in Belgio: un’impresa che i giornali raccontarono come il colpo del secolo e che è costata al torinese di origini palermitane sei anni di carcere. Tornato in Italia, Notarbartolo si era messo “in affari” con i fratelli Stefano e Donato Aliano che gli avevano fornito i finanziamenti e il supporto necessario.
 
Il piano era semplice: si trattava di individuare una buona preda, piazzare un rilevatore Gps sotto alla sua auto e seguirne gli spostamenti per poi agire indisturbati al momento opportuno. Operazione che era andata a buon fine a Savigliano, quando i ladri avevano aspettato che il loro bersaglio si fermasse a mangiare in un ristorante e gli avevano portato via due casseforti piene di oro e gioielli, assegni e un revolver Smith&Wesson. L’automobile era stata poi ritrovata, senza un graffio, a Cavallermaggiore. Un furto-fotocopia era stato commesso un mese più tardi davanti al Casinò di Sanremo, dove Notarbartolo e soci si erano serviti di un flessibile per aprire una Mercedes contenente 11 kg di oreficeria. Era invece fallito il tentativo di “alleggerire” un orefice fiorentino di Pontassieve, insospettito dai frequenti passaggi di un’auto sconosciuta davanti a casa sua e accortosi del rilevatore satellitare.
 
Tutti i componenti della banda erano finiti in manette grazie alla testimonianza decisiva di un operaio che aveva consegnato agli inquirenti il numero di targa di una macchina notata più volte a Pianfei, dove il rappresentante di gioielli derubato a Savigliano aveva soggiornato poco prima. Di fronte al sostituto procuratore Carla Longo Notarbartolo aveva ammesso le sue responsabilità, patteggiando la pena di due anni e riconoscendo di essere stato aiutato dai fratelli Aliano. Non aveva però né confermato né smentito il ruolo di Defeudis: in aula ha affermato di essere cosciente che il bottino dei due colpi (dal valore complessivo di 600mila euro) sarebbe stato diviso in quattro, ma di non sapere chi fosse il quarto uomo con il quale solo i suoi complici erano stati in contatto. La Procura di Cuneo ha ritenuto di poter individuare in questa figura il Defeudis, anch’egli fornito di un pedigree criminale di tutto rispetto: arrestato una prima volta nel 1977 per una tentata rapina alle Poste centrali di Torino, aveva proseguito la sua carriera tra Svizzera, Germania e Italia fino all’ultimo arresto in flagranza nel gennaio 2019, insieme agli altri componenti di una banda che si apprestava ad assaltare l’ufficio postale di Casale Monferrato.
 
Tuttavia, le intercettazioni telefoniche a carico degli Aliano e i riconoscimenti in base ai dati antropometrici rilevati dalle telecamere non sono stati sufficienti per il giudice Giovanni Mocci, il quale ha assolto l’imputato con formula dubitativa. Di fronte al tribunale di Cuneo potrebbe però tornare a comparire proprio Notarbartolo: il giudice infatti ha disposto l’invio degli atti in Procura perché venga vagliata l’ipotesi di procedere nei suoi confronti per falsa testimonianza.

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