CAVALLERMAGGIORE - Trent’anni di carcere per l’assassino di Andrea Lucaj

L’albanese, vittima di un agguato in stile mafioso, fu ucciso nel 2017 a Cavallermaggiore. Condannato un connazionale che si era reso latitante: ma i complici restano ignoti

Andrea Cascioli 25/09/2019 16:00

Ci sono voluti due anni di indagini per arrivare alla condanna per omicidio premeditato di Alfred Rrasa, oggi 23enne, ritenuto responsabile dell’assassinio di Andrea Lucaj.
 
La vittima, un albanese di 30 anni residente a Rufina in provincia di Firenze, venne freddata a Cavallermaggiore in un parcheggio lungo la provinciale per Torino la notte del 26 giugno 2017: un’autentica esecuzione in stile mafioso, come emerso fin dai primi rilievi sulla scena.
 
Lucaj era arrivato in auto accompagnato da un connazionale residente a Ciriè, nel Torinese. Nelle immagini catturate dalle telecamere esterne di esercizi commerciali adiacenti, si vedeva una figura non identificabile già presente sul posto: all’arrivo di Lucaj e del suo accompagnatore, altri due soggetti erano sopraggiunti e ne era scaturita una sparatoria durata circa un minuto.
 
L’obiettivo designato dell’agguato era spirato in pochi istanti, attinto da almeno quattro colpi di cui due mortali. Il passeggero se l’era cavata invece con ferite minime. Secondo la perizia balistica, a sparare erano stati due killer, uno armato di pistola calibro 38 e l’altro di un’arma lunga a canne sovrapposte: l’uomo con il fucile aveva sparato di fianco alla portiera del guidatore, l’altro era entrato sul sedile posteriore centrandolo alla testa e alla schiena.
 
Il superstite aveva dichiarato in seguito di essere stato contattato in giornata dall’amico Lucaj, il quale gli aveva annunciato che sarebbe arrivato da Firenze per incontrare un certo Alfred Rrasa con il quale aveva avuto una discussione, e gli aveva chiesto di accompagnarlo. I due si erano recati all’appuntamento senza portare con sé alcuna arma da fuoco: il solo Lucaj aveva un coltello che sarebbe poi stato ritrovato nei paraggi.
 
L’elemento chiave nelle indagini, guidate dal procuratore aggiunto Gabriella Viglione e dal pm Carla Longo, è il cellulare di Lucaj, un iPhone 7 recuperato dagli inquirenti nell’auto crivellata di proiettili. Non è però stato facile accedere ai dati contenuti nel telefonino, protetti da sistemi di sicurezza a impronte digitali: per riuscirci, la Procura di Cuneo si è rivolta a una società israeliana operante in Germania.
 
Chiamate e messaggi hanno fornito prove schiaccianti a sostegno dell’ipotesi che Lucaj fosse stato attirato in trappola da Rrasa. I contatti tra i due si susseguivano per l’intero arco della giornata e confermavano che a indicare il luogo dell’appuntamento era stato proprio Rrasa. Quest’ultimo risultava residente a Padova e, al pari di Lucaj, non aveva collegamenti apparenti con il Piemonte, se non per la presenza di alcuni parenti a Verzuolo.
 
In seguito a un mandato di cattura spiccato dalle autorità italiane, Rrasa era stato arrestato nel gennaio 2018 alla frontiera albanese. È occorso un anno di lavoro ai magistrati per ottenere l’estradizione dall’Albania, da dove l’imputato è stato trasferito nel gennaio scorso. Le successive comparazioni tra il Dna rinvenuto nell’auto di un suo parente e alcune tracce di sangue lasciate sul luogo del delitto hanno fornito un ulteriore riscontro alle accuse.
 
Secondo quanto dichiarato da Rrasa, il motivo del ‘chiarimento’ tra i due era legato a una discussione sulla fidanzata di Lucaj, che in precedenza era stata la ragazza di Rrasa. Un movente passionale di cui tuttavia gli inquirenti dubitano, ritenendo piuttosto che all’origine dell’omicidio ci siano questioni legate al traffico di droga.
 
Sia la vittima che l’imputato erano immigrati irregolari in Italia, senza precedenti penali di rilievo e senza lavoro, che tuttavia avevano nelle loro disponibilità auto e beni di lusso. Da una perquisizione effettuata nell’abitazione che Lucaj condivideva con un altro albanese erano inoltre emersi un’arma detenuta illegalmente e una documentazione che farebbe pensare a conteggi relativi allo smercio di stupefacenti.
 
Il 23enne Alfred Rrasa ha ottenuto il giudizio con rito abbreviato dato che i fatti si erano svolti prima dell’entrata in vigore del ddl 925 di quest’anno, che esclude questa possibilità per i delitti punibili con l’ergastolo. La Procura ha chiesto comunque l’ergastolo contestando l’omicidio e il tentato omicidio nonché la detenzione e porto d’armi. La giudice Emanuela Dufour ha emesso una condanna a 30 anni di carcere.
 
Permane il mistero su chi fossero i complici in quella notte di sangue. Rrasa li ha indicati come i veri autori dell’omicidio, sostenendo che sarebbero stati loro a organizzare l’agguato e a coinvolgerlo con la minaccia, ma si è rifiutato di rivelare elementi utili a identificarli.

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