RACCONIGI - Ubriaco e manesco con la moglie, l’aveva minacciata con un paio di forbici

L’uomo, residente a Racconigi, è stato condannato per maltrattamenti. “Mia zia voleva andarsene, ma temeva per le bambine e perché senza lavoro” dice la nipote

Andrea Cascioli 14/12/2023 14:58

“Quando non beve è una bravissima persona, la zia però mi aveva detto che da ubriaco diventava aggressivo e voleva sempre tenere la musica alta, anche alle due di notte”: nelle parole della nipote della persona offesa, una donna rumena madre di due figlie piccole, c’è l’origine delle continue liti che avevano funestato la vita familiare quando tutti insieme vivevano a Racconigi.
 
Finché lei ha deciso che era ora di dire basta, anche a costo di ricominciare tutto da capo, senza un lavoro e con due bambine da crescere. La decisione di denunciare il marito per maltrattamenti, lesioni e minacce sarebbe arrivata solo a gennaio del 2021, dopo l’episodio più grave. L’uomo, in quell’occasione, l’aveva afferrata per il collo durante un litigio e aveva minacciato sia lei che la nipote con un paio di forbici: “Ci diceva ‘voi due non arrivate a casa, stasera morite’” ha ricordato ancora la testimone. L’ennesima discussione provocata dai problemi di lui con l’alcol: “Mia zia avrebbe voluto chiedere aiuto, ma aveva paura per le bambine e perché non aveva un lavoro”. Quel mattino lui avrebbe dovuto accompagnare una delle figlie a una visita medica ma non l’aveva fatto, nemmeno si era presentato a lavoro.
 
“Sono rimasto addormentato. Poi sono andato a pesca con mio padre tutto il giorno” ha spiegato in aula l’accusato, per giustificare la sua assenza: “L’alcol? Avevo bevuto qualcosa, dopo pranzo”. A parlare di liti continue e dell’abitudine di lui ad alzare troppo spesso il gomito, però, sono anche i suoi parenti: il fratello, la cugina che viveva nell’alloggio di fianco. Così come uno dei carabinieri intervenuti per riportare la calma, quel giorno di gennaio, ricorda che la signora aveva evidenti segni rossi sul collo. “Ci siamo spintonati a vicenda” ha ammesso l’imputato, negando tuttavia di aver afferrato per la gola l’ex moglie: “Le forbici? Gliele ho strappate dalle mani e le ho buttate, non l’avrei mai minacciata”.
 
Parole che non hanno convinto il sostituto procuratore Francesca Lombardi, che per l’imputato aveva chiesto una condanna a tre anni e due mesi di carcere: “Un dato salta agli occhi. L’ex moglie viene descritta da lui come ‘una che sapeva il fatto suo’ e che ogni tanto andava ‘tenuta a bada’. Significativo dell’idea che aveva di lei”. In sede di incidente probatorio l’autrice della querela aveva parlato anche di altre violenze, subite quando lui prendeva una sbornia: “In quelle occasioni era oggetto di spintoni e maltrattamenti, oppure lui prendeva a rompere le suppellettili di casa e le impediva di uscire per chiedere aiuto”. Episodi circostanziati, secondo l’accusa, così come lo è quello da cui è poi scaturita la denuncia: “La decisione di chiudere, di chiedere l’intervento delle forza dell’ordine e magari di denunciare, arriva spesso al termine di un percorso tutt’altro che immediato e tempestivo. Specie nei contesti in cui sono inseriti figli minori”.
 
“Non si può negare che vi fosse una relazione conflittuale tra i coniugi, con discussioni e insulti reciproci” ha premesso l’avvocato Maddalena Re, difensore dell’imputato: “Non possiamo tuttavia ricondurla alla fattispecie dei maltrattamenti. Non c’è prova che vi fossero comportamenti violenti abituali e la donna ha detto di non aver mai temuto né per se stessa né per le figlie”. I testi, ha aggiunto il legale, “non hanno parlato di vere e proprie aggressioni ma di discussioni familiari”, compresa la nipote che era presente all’ultima lite: “Parla di fatti accaduti nell’arco di cinque minuti, ma è inverosimile”. Ulteriori presunte discrepanze sono state evidenziate riguardo alle dichiarazioni della persona offesa, tra la denuncia e il successivo incidente probatorio davanti al gip.
 
I giudici hanno comunque ritenuto accertate le responsabilità dell’imputato, condannandolo alla pena di tre anni, cinque mesi e quindici giorni di reclusione.

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