CUNEO - Come i milanesi rifondarono Cuneo: Uberto di Ozino e la rinascita della città

Nel 1230 le armate della Lega Lombarda propiziarono la ricostruzione della “villa”, di fatto abbandonata un ventennio prima. Il legame con Milano è tuttora ricordato

Andrea Cascioli 15/08/2023 19:30

Chi ha memoria per le curiosità della cronaca minore ricorderà forse un fatto accaduto nell’inverno del 2009, quando il comune di Milano si trovò a far fronte a un’ondata di maltempo con una cinquantina di centimetri di coltre nevosa, senza poter contare sui mezzi spargisale.
 
Tra non poche polemiche la giunta Moratti cercò di metterci una toppa annunciando l’imminente arrivo del “sale da Cuneo”. Una piccola “vendetta” della vituperata provincia sulla metropoli? Forse più un favore restituito, sempre in proporzione, se ci si ricorda che la città dei sette assedi ha un debito di gratitudine di non poco conto nei confronti del capoluogo lombardo.
 
È noto dalle cronache che la fondazione di Cuneo data al 23 giugno 1198. Meglio sarebbe affermare quella è la data in cui, per la prima volta, la neonata villa compare in un documento ufficiale: parliamo del trattato stipulato nell’odierno borgo fossanese di Romanisio tra la città di Asti e i tre consoli di Cuneo, Peire Rogna, Berardo di Valgrana e Pepino di Vignolo. Il documento viene siglato per gli astigiani dal podestà Alberto di Fontana, alla presenza dell’abate di San Dalmazzo. All’epoca quello sul pizzo tra Stura e Gesso è appena un villaggio, formatosi attorno a una cappella denominata Santa Maria del Bosco, per opera di vari gruppi di popolani e piccoli feudatari accorsi dai paesi circostanti.
 
Tra l’incudine e il martello: Cuneo e le precarie alleanze con Asti e Saluzzo
 
Questo esodo di famiglie dal contado, per giunta verso una città che non ha tardato a cercare la protezione degli astigiani, non può lasciare indifferente il vicino marchesato di Saluzzo. Qui ci si preoccupa, con buone ragioni, dell’espansione di un comune nemico verso l’imbocco delle valli alpine che conducono alla Francia. Al vescovo di Asti sono soggetti i territori che vanno dalla valle Gesso alla destra orografica dello Stura fino al Monregalese. Nello stesso 1198, inoltre, la Repubblica astigiana ha promosso - oltre alla fondazione di Cuneo - anche quelle di due “ville nove” collocate in posizione strategica, ovvero Costigliole e Mondovì. Sono ragioni sufficienti per indurre il marchese Manfredo II di Saluzzo a stipulare con i signori del Monferrato e di Busca e con il comune di Alba un’alleanza in chiave anti-astigiana. L’intesa viene siglata il 18 maggio 1200 ed è il preludio a un’offensiva scatenata proprio contro il piccolo avamposto sul picium Cunei: non si sa se le armate dei Del Vasto e degli alleati abbiano effettivamente marciato sull’altipiano, dove già sul finire del 1197 l’esercito di Asti si era accampato per saccheggiare i vicini abitati di Caraglio, Vignolo, Bernezzo, Brusaporcello, Boves e Quaranta, tutte località soggette ai marchesi di Saluzzo e di Busca.
 
Quel che è certo è che in tale occasione Asti non accorse in difesa degli alleati, come pure si era impegnata a fare. L’11 novembre dello stesso anno 1200, nei prati di San Benigno di Caranta, si firma la pace tra le parti in conflitto. Anche questo documento è importante, perché è la prima volta che si dà menzione ufficiale del diritto all’esistenza di un “comune Cunei”, non più di un semplice aggregato di “homines, consules et rectores de Picio Cuney” come in precedenza. La differenza è sostanziale, nota lo storico Piero Camilla, dal momento che “Cuneo, trattando da pari a pari con l’ex signore dei suoi uomini, dimostra di non ritenerlo più tale: il marchese, stipulando patti con il nuovo comune, dimostra di non sentirsi più signore di quegli uomini, sui quali tenta ancora, specie per le terre tuttora da loro possedute entro il marchesato, di avere alcuni diritti. Non c’è più un signore che impone un diritto legittimo al suddito, ma ci sono due contraenti che, su un piano di parità, liberamente stipulano dei patti, cui si impegnano a sottostare”.
 
Il trattato è firmato per il comune di Cuneo dai quattro consoli Guglielmo Guercio, Anselmo Collapan, Enrico Guastaldi e Guglielmo Manive. Vi si stabilisce tra l’altro che gli uomini di Quaranta - la borgata “madre” di Cuneo nei pressi dell’attuale San Benigno, che verrà poi distrutta da un’incursione di mercenari bretoni nel 1376 - si impegnano a rinnovare i giuramenti di fedeltà verso il marchese di Saluzzo e a pagargli le imposte sui terreni. Saluzzo e Cuneo, inoltre, si impongono condizioni di reciproco aiuto in caso di guerra. Quanto valgano in concreto queste promesse è facile immaginarlo, in un contesto nel quale la neonata città seguita ad essere vaso di coccio tra i vasi di ferro del marchesato saluzzese e della repubblica astense. L’autonomia del libero comune viene meno infatti già nel 1202, quando Cuneo si pone di nuovo sotto la protezione di Asti sostituendo all’autorità dei suoi consoli quella di un podestà esterno: il primo tra loro è Ardizzone Beltramo. Nuove nubi si addensano il 3 settembre 1204: nella cattedrale di San Lorenzo ad Alba si forma una nuova lega tra i marchesi di Monferrato, Saluzzo, Busca, Ceva, Clavesana e la famiglia Del Carretto. Lo scopo dichiarato è muovere guerra ad Asti e ai suoi alleati di Cuneo e Vico, ovvero Monteregale. Anche di questo conflitto non si sa nulla se non che la pace venne conclusa nella primavera del 1206 e che anche in questa occasione Asti abbandonò i cuneesi al loro destino. Arriviamo infine al 1 maggio 1210, quando un documento attesta che l’esercito di una rinnovata coalizione marchesale si è accampato attorno a Cuneo. È questo, forse, il primo vero assedio subito dalla città che nei secoli successivi si costruirà una ben meritata fama di inespugnabilità militare. La piazzaforte dell’epoca però è ancora troppo sguarnita per resistere e così l’abitato viene saccheggiato e i suoi abitanti scacciati: troveranno rifugio, perlopiù, a Borgo San Dalmazzo e a Savigliano. Ad appena dodici anni dalla fondazione Cuneo cessa di fatto di esistere, tanto che nei due decenni successivi nessun documento vi farà cenno. Stessa sorte subisce nel 1211 anche Monteregale, l’odierna Mondovì, schiacciata a sua volta dalla rivincita del feudalesimo sulle libertà comunali.
 
Beninteso, non proprio tutti gli abitanti abbandonano il pizzo tra i due fiumi. Tra le macerie, ricorda lo storico Giovanni Cerutti, rimane almeno un sacerdote, il prete della chiesetta di San Giacomo che è stato dei primi edifici di culto edificati nella villa. Questo prete muore nel 1211 e il centro urbano è ormai così depopolato che non si trova nemmeno un artigiano in grado di realizzare un’iscrizione sulla sua lapide tombale. Uno dei pochi cuneesi rimasti, allora, decide di incidere come meglio più la sua dedica su una pietra di fiume: “MCCXI ic in no(m)i(n)e D(omini) n(ost)ri Ih(es)u Chr(ist)i p(res)b(ite)r e(cclesi)e S(an)c(ti) Iacobi” è quel che vi si legge. Ovvero “1211 qui nel nome del Signore nostro Gesù Cristo il prete della chiesa di San Giacomo”. L’iscrizione è oggi conservata presso il Museo civico e rappresenta la più antica testimonianza materiale legata alla città di Cuneo.
 
La “seconda fondazione” della città durante la campagna del 1230
 
Mandiamo avanti il nastro di un ventennio, come si è detto, perché è a questo punto che entrano in scena i milanesi. L’opposizione tra la Lega Lombarda e l’impero è storia nota e varrà la pena di riepilogarla qui solo per sommi capi. Già dal 1167 presso il monastero bergamasco di Pontida un’alleanza tra i rappresentanti di ventidue comuni, tra cui Milano, Bologna, Mantova, Brescia, Verona, Padova, Vicenza, Treviso, Modena e Ferrara, è insorta con il sostegno di papa Alessandro III contro l’autorità degli Hohenstaufen e dei loro alleati italici. L’esercito di Federico Barbarossa viene sconfitto a Legnano il 29 maggio 1176 e con la pace di Costanza, firmata nel 1183, l’imperatore si trova costretto a concedere larga autonomia ai comuni. In questo periodo si incomincia a parlare di guelfi e ghibellini per designare rispettivamente i sostenitori della primazia spirituale del papato sull’impero e i fautori dell’ordine imperiale.
 
Il 2 marzo del 1226 a Moiso, nel Mantovano, sorge una seconda Lega Lombarda di cui ancora una volta è capofila la libera Milano. In Piemonte si uniscono all’alleanza comunale Vercelli e Alessandria, seguite poi da Pinerolo e Alba. Restano invece fedeli all’impero Asti e Chieri, il conte Tommaso I di Savoia e i marchesi del Monferrato, di Saluzzo, di Busca e del Carretto. Una poderosa armata lombarda attraversa i territori piemontesi nell’estate del 1230 per soccorrere Alessandria e si dirige su Asti, mettendone a ferro e fuoco il contado. Un gruppo di armati al comando del milanese Oberto o Uberto di Ozino si spinge più in là, fino alla confluenza tra Gesso e Stura dove sorge quella che dev’essere ormai divenuta una sorta di “ghost town” ante-litteram. Il suo scopo è convincere i profughi cuneesi dei paesi circostanti a ricostruire la loro città. Oberto riesce a farsi nominare podestà di Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Savigliano ma l’anno successivo, mentre cinge d’assedio il castello di Roccavione, viene giustiziato dopo essere caduto nelle mani dall’esercito inviato dal conte di Savoia e dai marchesi di Saluzzo e del Monferrato.
 
Un legame spirituale nel nome di Sant’Ambrogio e San Dalmazzo
 
Il suo scopo, ad ogni modo, dev’essere stato in qualche modo raggiunto, se è vero che proprio in quel periodo Cuneo ritorna all’onor del mondo e che nel 1232 i suoi abitanti parteciperanno anche alla ricostruzione della devastata Monteregale. Le armate milanesi si fermeranno per qualche tempo a difesa della città, ponendo il loro accampamento tra la vecchia stazione ferroviaria e le Basse di San Sebastiano: per questo l’area sarà nota anche in seguito con l’appellativo di Campus Mediolanensium (campo di Milano). Il loro contributo alla “seconda fondazione” di Cuneo è ricordato da monsignor Alfonso Maria Riberi, insigne archeologo e storiografo cuneese, che nel 1937 aveva proposto di intitolare una strada o una piazza cittadina al condottiero Oberto di Ozino. Il presbitero lamenta il fatto che le intitolazioni comunali dell’epoca non andassero più in là del Cinquecento, “come se la nostra storia cominciasse solo da quel secolo”: “Dedicando ora una piazza da Uberto di Ozino noi risaliamo al 1230 e ricordiamo uno dei più antichi, dei più grandi, dei più autentici, dei più puri nostri eroi. E consacriamo insieme la memoria dei lunghi e cordiali rapporti tra Cuneo e Milano, con l’erezione del nostro Sant’Ambrogio”.
 
In effetti il legame tra il capoluogo della Granda e la “capitale morale” d’Italia tocca anche gli aspetti devozionali. È ben noto che la presenza milanese a Cuneo propiziò l’edificazione di una chiesa dedicata al santo patrono della città della Madonnina, ovvero Sant’Ambrogio in via Roma. Meno noto è invece che a Milano, nei pressi della porta Comasina medievale, fu costruito un oratorio degli Umiliati dedicato a San Dalmazzo di Pedona. La circostanza è all’origine della denominazione dell’attuale via San Dalmazio. L’oratorio fu soppresso nel 1786 e demolito per far posto a una costruzione che diventerà più tardi proprietà del Banco Ambrosiano, fondato nel 1896 in un palazzo attiguo. Il Banco affida nel 1938 l’incarico per la costruzione della nuova sede che costeggia buona parte della via. Nei primi anni Ottanta del secolo scorso, questo palazzo diventerà ben noto alle cronache per le vicende legate al crack finanziario dell’istituto bancario sotto la presidenza di Roberto Calvi e al tragico e controverso suicidio della sua segretaria.

Notizie interessanti:

Vedi altro