DRONERO - Dentro il mausoleo di Lenin: il corpo immortale della Rivoluzione

Ezio Mauro indaga il mistero del leader sovietico tra storia, ideologia e mito, trasformando un’inchiesta in un viaggio tra i segreti più inconfessabili della Russia

Monica Martini 08/11/2025 11:33

Ezio Mauro, decano del giornalismo italiano, ex direttore di La Stampa e Repubblica, da anni si interroga sulla figura di Vladimir Il'ič Ul'janov, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lenin. Il protagonista della grande rivoluzione russa, che a partire dal 1917 portò al rovesciamento dell'Impero e alla creazione dapprima della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e, nel 1922, dell'Unione Sovietica, si è consacrato negli anni come simbolo dell'intero Paese. La sua figura è infatti riuscita ad attraversare l'intero secolo, arrivando fino ai giorni nostri, anche grazie al mausoleo che conserva la reliquia del suo corpo, definito da Mauro uno “scrigno di segreti, di misteri, di significati”. È dalla volontà di capire come una semplice tomba possa rappresentare un punto di riferimento per un popolo che nasce “Il segreto di Lenin”, un’indagine giornalistica, con uno stile romanzesco ed evocativo, in cui Mauro trasporta il lettore in una trama ricca di non detti che nasconde tutta quella parte del passato sovietico mai riportata nei libri di storia. Il reading, portato in scena dall’autore affiancato da Massimiliano Briarava, che si è occupato dell’adattamento e della selezione musicale, parte dal 27 gennaio 1924, la giornata dei funerali di Lenin. Una celebrazione che rese immortale l'ideale e il corpo del primo ministro. Le letture indagano la morte, la malattia, l’imbalsamazione e la tomba del leader sovietico: un corpo diventato strumento politico e oggetto di culto. Gli spettatori vengono catapultati verso la realtà di trent'anni prima, dove tutto iniziò, a poco a poco arrivando fino “al punto d'ingresso della rivoluzione, una porta bianca, dove Vladimir si ferma sulla soglia del mondo nuovo, dalla quale entra senza bussare. Irriconoscibile, parrucca grigia, sopracciglia bionde, occhiali con la montatura massiccia, un fazzoletto che fascia la testa sotto un berretto floscio. Niente pizzo, barba e baffi; mentre barcolla per fingersi ubriaco: eccolo nella città sottosopra il 6 novembre 1917 nell'anticamera russa del potere”. Vladimir Il'ič Ul'janov è pronto a guidare il Paese e a diventare uno dei più grandi leader che la storia, non solo russa ma mondiale, abbia mai visto. Banditismo, ideologia, politica, superstizione, scienza si fondano così grazie a voci, testimonianze e indiscrezioni riportate dai due interpreti, che cercano di ricostruire l'affermazione del potere sovietico, arrivando fino al presente di Putin. È infatti sulla Russia di ieri e di oggi, sulle sue continuità e sulle sue fratture, che Mauro si interroga osservando la forza che dal passato un uomo riesce a esercitare nel presente. Il mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa è più di un sepolcro: è il cuore pulsante di un'epopea che ha plasmato il ventesimo secolo. Nella fissità del granito rosso, “la mummia di Lenin” continua a conservare storie, simboli e misteri che la Russia contemporanea non ha ancora sciolto, circa l'uomo che dirottò la storia e fece della rivoluzione un'idea eterna. Sulla malattia, la morte e l’imbalsamazione di Lenin non si sono dissolti - dopo più di un secolo - i nodi e i dubbi: la vera causa del malessere che ha logorato Vladimir negli ultimi anni della sua vita è ancora tenuta segreta. Infatti, nonostante fosse il segreto di Stato dovesse in teoria venir meno dopo 75 anni dalla morte, il diario dei medici sequestrato dall’Nkvd non è mai stato reso pubblico. Di fatto è stata la nipote di Lenin, ancora in vita nel 1999, a prorogare la rivelazione fino al centesimo anno. Tuttavia dopo il gennaio dell’anno scorso, trascorso il centenario della morte di Lenin, questi testi sono rimasti inaccessibili. L’indagine di tipo giornalistico cerca così di colmare il vuoto, andando a ricercare le ragioni che potrebbero celarsi dietro alla necessità di mantenere segreta la vera patologia che ha portato alla morte il leader russo. Su questo tema, nel corso del tempo, si è detto di tutto. Definita dallo stesso Lenin come “una nevrastenia senza rimedio”, secondo il professor Felix Klemperer, che lo aveva visitato, la causa del male era da ricondurre a uno dei proiettili sparati dall’attentatrice Fanja Kaplan. Rimasto nel corpo di Lenin per quattro anni, avrebbe continuato lentamente ad avvelenarlo con il rilascio di piombo, fonte di stanchezza improvvisa, nervosismo, mal di testa continui. L’autopsia ufficiale, però - condotta sotto un doppio controllo, sanitario e politico - negherà questa ipotesi, certificando nel verbale che la causa di morte fu una “aterosclerosi arteriosa”. Il popolo, invece, è convinto che Lenin fosse malato di sifilide, e che l’abbia contratta da una prostituta parigina negli anni dell’esilio: “C'è un'altra ferita, Inessa Armand, la rivoluzionaria francese con gli occhi verdi, che ha vissuto accanto a Lenin e alla moglie Nadežda, l'unica donna tra le rivoluzionarie a cui Vladimir dava del tu, l'unica che amò”. In quella tensione fra il corpo e malattia, fra la verità medica e la narrazione ideologica, si apre la crepa che Ezio Mauro esplora nel suo scritto: il punto in cui l’uomo muore, ma il simbolo non svanisce. Una salma imbalsamata capace di fermare nel tempo la figura del leader sovietico e che la porta a fare i conti con l’eternità. Con la scelta dell'imbalsamazione e il relativo culto della personalità, Lenin continua a morire sotto gli occhi del popolo, confermando il passaggio dalla gerarchia di potere bolscevica a una vera e propria dinastia sovietica. All'epoca la sua immagine divenì proprietà di Stalin, trasformandolo così in custode del mito. Non era servita a nulla la negazione del titolo di erede legittimo contenuta nel testamento di Lenin, dove se ne chiedeva esplicitamente la rimozione dal ruolo di segretario generale, denunciandone il carattere brutale e il pericolo che rappresentava per il partito. Con la costruzione del mausoleo sulla piazza Rossa si finge solo di rispettare le volontà di Lenin, in realtà tradite. Imbalsamato, esposto, divinizzato: non più l’uomo reale, ma la sua effigie eterna, cristallizzata nella pietra e nel mito. Proprio mentre la sua volontà viene negata, la sua memoria è sacralizzata; nel momento stesso in cui se ne tradisce il pensiero, lo si trasforma in icona intoccabile. Così nasce il paradosso del potere sovietico: l’adorazione del fondatore coincide con l’inizio del suo oblio.

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