CUNEO - Federico Guglielmo Leutrum, il barone tedesco che salvò Cuneo

Il 27 giugno 1692 nasceva il condottiero che guidò l’assedio del 1744. Si dice che il ‘baron Litron’ fosse un donnaiolo e un gran bevitore: ma non è (del tutto) vero…

Andrea Cascioli 27/06/2019 20:57

Scomparsa la caserma intitolatagli nell’Ottocento, a ricordarci del ‘baron Litron’, al secolo Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum, resta solamente una via nel centro storico di Cuneo. Per generazioni di cuneesi, però, quello del generale tedesco è stato uno dei nomi “familiari come parole domestiche”, come Shakespeare fa dire del suo Enrico V nel monologo della battaglia di San Crispino.
 
Leutrum non ha avuto cantori famosi quanto il Bardo di Stratford-upon-Avon, ma l’affetto e la riconoscenza della gente per cui aveva combattuto si sono tramandati nei secoli, anche attraverso i versi di una delle più famose ballate popolari piemontesi, intitolata appunto ‘Baron Litron’: “Baron Litron l'é spirà adess, tiro 'l fià longh tuti ij Fransèis!” recita una delle strofe, ovvero “il Baron Litron è spirato adesso, tirano un lungo sospiro tutti i francesi”. E avevano buone ragioni per farlo, quel 16 maggio 1755, gli arcinemici transalpini che di quanto aveva fatto sui campi di battaglia il condottiero ben si ricordavano.
 
Andiamo con ordine. Federico Leutrum di Ertingen, per usare la forma italianizzata, nacque il 27 giugno 1692 nel castello di Karlhausen a Dürrn, città dell’odierno Baden-Württemberg, da una famiglia di baroni protestanti. Al servizio dei Savoia giunge in giovane età sulle orme del fratellastro Karl Magnus, già distintosi come compagno d’armi del principe Eugenio nell’assedio di Torino del 1706, dove perderà un occhio. È lui a volere che il fratello minore venga inquadrato nel reggimento tedesco del generale Schulemberg, con il grado di capitano: ha appena 14 anni. La sua brillante carriera, incominciata sotto Vittorio Amedeo II, proseguirà con il nuovo re Carlo Emanuele III, che nel 1744 lo nomina maggior generale e lo vuole come governatore militare di Cuneo, sebbene la scelta di uno straniero susciti scandalo.
 
Il fiuto del sovrano si rivelerà eccellente, anche se il 15 agosto 1744, quando il barone entra in città, tutto fa presagire il peggio per le sorti del regno piemontese. La guerra per la successione al trono austriaco oppone la nuova imperatrice Maria Teresa, cui sono alleati i Savoia, alle armate franco-spagnole dei Borbone che conquistano Demonte solo due giorni dopo e si preparano a dilagare nella pianura padana. La piazzaforte di Cuneo è l’unico ostacolo all’invasione, ma la lotta appare davvero disperata. Leutrum dispone di 3098 militari divisi in otto reggimenti, compresi quelli svizzeri. A questi vanno aggiunti un migliaio di volontari reclutati tra la popolazione civile di Cuneo, che all’epoca conta circa 12mila abitanti. Dal canto loro, gli assedianti comandati dal francese principe di Conti e dall’infante di Spagna arriveranno a schierare fino a 45mila uomini davanti alle mura, gli spagnoli dal lato del Gesso e i francesi dallo Stura.
 
Nonostante l’esito della battaglia sembri già segnato, il governatore si conquista la fedeltà dei suoi fin dal primo giorno. Dal balcone del Municipio pronuncia alla cittadinanza un discorso in perfetto piemontese: “Gent ‘d Coni! Quando sotto una tenda io leggevo le pagine gloriose della storia del Piemonte e v’incontravo quelle che narrano i prodigi di resistenza e di valore operati dai Cuneesi, mi dicevo: ‘Ecco una gente che farebbe per me!’. Ora mi lusingo che quando mi avrete conosciuto più da vicino, direte voi pure: ‘Ecco l’om ca fa për noi!’”.
 
Non sono parole a vuoto, quelle dell’uomo che si proclama “tedesco di nascita e piemontese di cuore”, perché la sua instancabile attività nel mese che precede l’assedio conquista i cuori. Non serve agitare più del dovuto il ‘pugno di ferro’, se è vero, come scrive Camillo Fresia nell’opuscolo ‘Baron Litron dalla storia alla leggenda’, che fino al giorno della battaglia di Madonna dell’Olmo le ‘potenze’ (cioè le forche) innalzate in città per dissuadere dalla diserzione restano inoperose. La prima bomba cade su Cuneo il 15 settembre. Pochi giorni dopo il nemico alza il tiro, cannoneggiando non più i soli bastioni ma l’abitato, con la speranza di indurre la popolazione terrorizzata a chiedere la resa. Un messo francese domanda al barone, come gesto di cortesia, di rendere noto dove sia il suo alloggiamento, così da risparmiarlo dalle cannonate: “Andate a riferire al principe di Conti che il mio alloggio è sui bastioni!” risponde il fiero tedesco.
 
Tra cannoni e mortai, 276 bocche da fuoco vomitano senza tregua i loro proiettili. In una sola notte ne cadranno 130. I rifornimenti sono bloccati e un morbo fa strage tra le bestie da macello. Ma il 30 settembre giunge notizia che il re muove da Saluzzo su Cuneo con 25mila armati. I franco-spagnoli li intercettano a Madonna dell’Olmo e li respingono, ma è una vittoria di Pirro. Logorati nei rifornimenti dalla guerriglia nelle valli e fiaccati dalle malattie, dalle diserzioni e dalla resistenza dei cuneesi, gli assedianti sono per giunta divisi “tra Francesi, vanitosi, spavaldi, gonfi d’esagerato orgoglio, com’è nella loro immutabile natura, e Spagnoli, gelosi della loro dignità, pronti a rispondere con sodi argomenti alle burbanzose pretese d’una superiorità inesistente”, per dirla con le parole di Fresia. Il 22 ottobre l’assedio è tolto: i borbonici contano 6529 morti contro gli appena 717 degli assediati.
 
Il trionfatore Leutrum è nominato governatore perpetuo della città e della provincia. Solo due anni più tardi torna a dar prova delle sue virtù di stratega liberando dai franco-spagnoli Asti, Alessandria e Valenza. Il 16 maggio 1755, provato da dure fatiche, si spegne a quasi 63 anni in quella che è ormai la sua Cuneo.
 
Attorno alla sua memoria aleggia la diceria, coltivata dai cuneesi con affetto, che sia stato in vita un portentoso bevitore e amatore. È vera solo a metà, se diamo retta a quanto sostiene il cronista Fresia che respinge con sdegno le voci sulla propensione per l’alcol: ‘Litron’ sarebbe solo la storpiatura del nome tedesco, perché il ‘litro’ come misura per il vino è ancora ignoto nel Settecento (si usava infatti la ‘pinta’). Quanto alla fama di donnaiolo impenitente, quella è ben meritata, ma i registri parrocchiali dell’epoca testimoniano che Leutrum - al contrario di molti nobiluomini contemporanei - riconobbe tutti i figli avuti da varie donne cuneesi e provvide a sostenere economicamente gli uni e le altre.
 
Sul letto di morte il barone rifiutò di battezzarsi cattolico affermando “non merita stima colui che non persevera nell’esercizio di sua religione”. Chiese quindi di essere sepolto tra i valdesi di Luserna, nel tempietto del Ciabas di Angrogna dove la sua tomba andrà perduta fino al 1925, quando la Società Storica Subalpina ne curerà il recupero. Nel 1939, ricorda ancora Fresia che pubblica il suo opuscolo solo due anni dopo, una delegazione di fascisti condotta dal podestà di Cuneo in visita a Monaco offre in dono al borgomastro bavarese un busto di Federico Guglielmo Leutrum, celebrando in tal modo “l’affiancata volontà dei popoli tedesco e italiano”. Ma questa sarà davvero un’altra storia.

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