CUNEO - Il Generale boia: settantotto anni fa la sanguinosa ritirata delle truppe tedesche dal Piemonte

Mentre in molte zone d'Italia già si festeggiava la Liberazione, la Granda continuava a contare i morti lasciati alle spalle dagli uomini del comandante Theo-Helmut Lieb

Federico Mellano 29/04/2023 08:32

La Liberazione nella nostra Provincia arrivò tardi: mentre in molte zone d’Italia si festeggiava, da noi si contavano ancora i morti. Fino al 1° maggio, le colonne naziste in ritirata lasciarono dietro di loro una lunga scia di sangue che provocò, solo in Piemonte, la morte di circa 300 persone, in gran parte civili.
 
I crimini di guerra nazisti in Italia, a lungo nascosti per la “ragion di Stato”, riaffiorarono in massa negli anni Novanta, con l’apertura dell’armadio della vergogna, definito così dal cronista Franco Giustolisi, per via della sua posizione - con le ante rivolte contro un muro. Vennero così a galla una montagna di fascicoli, con i nomi e i cognomi dei boia nazisti e fascisti che, tra il ’43 e il ’45, misero a morte circa 80 mila civili italiani. Tra i nomi, quello di Theo-Helmut Lieb, comandante della 34ª divisione di fanteria corazzata “Brandeburgo”. Lieb era un generale duro e brutale, e si sarebbe fatto conoscere nella nostra Provincia per i suoi metodi.
 
Gli uomini di Lieb si presentarono ai cuneesi dall’estate del 1944, e intensificarono la loro presenza quando i comandi germanici decisero di rinforzare la linea costiera ligure e l’entroterra in seguito allo sbarco alleato in Provenza. Le truppe tedesche di due divisioni - la 34ª e la 148ª - erano coadiuvate da due divisioni italiane della Rsi, la Monterosa e la Littorio, e da alcuni reparti di controguerriglia fascisti schierati nella lotta contro i partigiani. Tra questi ultimi, si “distinguevano” i Cacciatori degli Appennini, un gruppo antipartigiano nato nell’aprile del 1944 e costituto definitivamente come raggruppamento il 3 settembre 1944. I Cacciatori, comandati dal colonnello Aurelio Languasco, gareggiavano con i soldati di Lieb in fanatismo e crudeltà. Personaggio particolarmente controverso, odiato dai partigiani e esaltato in modo quasi messianico dai neofascisti, tanto da essere presentato all’inizio degli anni settanta al Senato nelle liste del Movimento sociale italiano a Roma, Languasco fu definito, insieme ai suoi uomini, un vero e proprio flagello, tanto da essere ritenuto dall’allora vescovo di Alba, monsignor Luigi Maria Grassi, uno dei principali responsabili de “la tortura di Alba e dell’Albese”. Sotto il comando del generale tedesco, il colonnello fascista stabilì il proprio comando al castello dei Pallavicino a Ceva, da dove diresse le operazioni di controguerriglia. 
 
Il “sodalizio” tra Languasco e Lieb ebbe come conseguenze massicci rastrellamenti sull’alta Langa, con stragi e devastazioni. Nel novembre del 1944 ben 20 mila uomini comprendenti reparti della Wehrmacht, Cacciatori, Brigate nere di Cuneo e Savona, SS e “Marò” della San Marco effettuarono un’operazione contro i partigiani, in particolare mirante ad annientare 1ª divisione Langhe, del comandante Mauri. Da lì una serie di violenze coinvolse tutto il Monregalese e la zona dell’alta Langa.
 
Dal 27 aprile 1945 le truppe tedesche e fasciste iniziarono la ritirata. Un secondo “round” di stragi e crimini di guerra stava per interessare le zone interessate dal movimento delle truppe. Erano i cosiddetti Endphaseverbrechen, i crimini della fase finale. Tutta l’Europa, negli ultimi giorni del conflitto, fu infatti interessata da questo fenomeno: una recrudescenza di violenza da parte dei nazisti, che non solo non accettavano la perdita imminente della guerra, ma che volevano a tutti i costi portare a termine la propria battaglia personale contro tutti coloro che venivano considerati nemici esistenziali.
 
Il 26 aprile i soldati di Lieb uccisero almeno 20 persone a Narzole, il 27 assassinarono quattro persone a Borgo San Dalmazzo. Ma fu tra il 28 e il 29, in concomitanza con la fase più acuta della ritirata che si verificano i massacri più efferati. I tedeschi sterminarono l’intera famiglia Prato a Vicoforte, uccisero sei persone a Mondovì e quindici a Genola. A Genola, in particolare, è la modalità delle uccisioni ad essere stata particolarmente efferata. Per vendicare la morte di un soldato tedesco, Lieb ordinò che undici persone scelte a caso - Lorenzo Boglio, Pietro Borra, Defendente Capello, Giovanni Gassi, Sebastiano Mana, Francesco Marengo, Mondino Giacomo Marengo, Giovanni Battista Olivero, Marco Picco e Giovanni Battista Prato - fossero murate in un cascinale in via Fossano e bruciate vive.
 
Negli stessi giorni a Collegno e Grugliasco i tedeschi uccisero 67 persone, tra cui un sacerdote. A Santhià, nel Vercellese, 48 persone furono uccise il primo maggio.
 
Nel dopoguerra Lieb scontò appena due anni di prigionia. Ancora meno ne fece Languasco, che aveva ricevuto la Croce di ferro da Lieb in persona: fu scarcerato nel 1948, dopo un processo avvenuto nel novembre del 1947.

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