CUNEO - Il glam rock di Lucio Corsi è atterrato sul palco del NUoVO

Una chiacchierata prima del soundcheck con un artista unico, imprevedibile e fiabesco. All'ombra di "quelle nuvole normali che sono bellissime"

Francesca Barbero 04/08/2023 13:35

Incontro Lucio Corsi nel primo pomeriggio di venerdì 28 luglio. In quell'area dove un tempo sorgeva il Nuvolari Libera Tribù, come ricordano ancora la vecchia insegna incorniciata dagli alberi e il nome del nuovo spazio. Sono passate poco più di ventiquattr'ore dal messaggio vocale in cui mi veniva comunicato che il cantautore maremmano sarebbe stato disponibile per fare un'intervista. Tempo speso a riascoltare i suoi dischi, a cullare o assecondare - a seconda del momento - la mia agitazione, a chiedermi cosa avrei potuto domandare l'indomani, in venti minuti, all'artista più interessante del panorama musicale alternativo italiano.
 
Attimi passati nell'incredulità, di fronte a un gioco del caso capace di superare ogni aspettativa dal momento che avevo richiesto solo di poter fare qualche fotografia durante il soundcheck. Arrivo in anticipo. Il tempo di prendere un caffè, di ambientarmi e di allentare la tensione guardandomi intorno, orientando lo sguardo verso il palco, rassicurata dalla presenza felina di Felix The Cat, gatto di murales che ha preso vita da una bomboletta spray, vicino all'ingresso. Poi Lucio Corsi arriva. Intravedo la sua figura esile, e i suoi capelli lunghi e liscissimi, da lontano. Si avvicina. Indossa una t-shirt bianca con Gatto Silvestro, jeans scuri e un paio di stivali neri eleganti col tacco. Lo stesso look di fine concerto quando, smessi i panni della creatura glam rock atterrata sul palco una sera di fine luglio, lo si vedrà sfrecciare per il NUoVO sopra un monopattino, lo stesso destriero su cui si era lanciato in corse e acrobazie già nel pomeriggio, prima di improvvisare una partita notturna di basket con tutta la band. I tiri a canestro pomeridiani, di riscaldamento, finivano quando il tour manager sequestrava il pallone (“Ragazzi basta, ora dobbiamo finire il soundcheck”) e riportava all'ordine il gruppo di amici che suona insieme dai tempi del liceo. Quella band prog in cui Lucio desiderava tanto entrare, come dirà la sera nel live scherzando poi sul fatto di esserci riuscito, la band che ha ancora quell'organo Hammond che “prima o poi sarebbe bello riuscire a portare sul palco”.
 
Quando finalmente me lo trovo di fronte ci sediamo a un tavolino all'ombra di un albero, davanti a quei campi da padel che adesso contraddistinguono il luogo. Lì dove, un tempo, c'era il vecchio palco del Nuvo. Un leggero venticello scuote le fronde degli alberi e nel cielo ci sono le nuvole. Ma quelle che non assomigliano a nulla, "quelle nuvole normali che sono bellissime", come mi dirà il cantautore tra poco. Mi tolgo gli occhiali da sole, Lucio Corsi si accende una sigaretta e iniziamo la nostra chiacchierata. Vorrei fotografare il suo sguardo interessato e immerso nei pensieri, la gestualità della mano che scosta i capelli dal volto e dell'altra che muove la sigaretta nell'aria prima di portarla alla bocca. Ma sopratutto il momento in cui, tra le fronde dell'albero, appare un raggio di sole che va a accarezzare in un cerchio di luce l'occhio destro, quello sopra il neo. Attimi che la mia macchina fotografica osserva poggiata sul tavolino.
 
Quando l'intervista sarà pubblicata le due ore e mezza di live saranno già finite da giorni. Terminata la sua performance, la creatura glam rock, atterrata una notte di luglio al NUoVO, se ne sarà già andata. In viaggio verso un altro palco, sui cui portare l'anima dell'alieno con le labbra rosse e il volto dipinto di bianco, l'anima del fanciullo e del rocker. Un tempo, negli anni del Nuvolari Libera Tribù, qui abitava un Genius Loci capace di creare un'atmosfera che avvicinava pubblico e artisti in maniera unica. Fin'ora, quello spirito che custodisce il luogo, era rimasto nascosto in qualche anfratto segreto, ma pare che nella data cuneese di Lucio Corsi sia uscito di nuovo allo scoperto, in una nuova e ottima forma. Cercatelo al prossimo concerto. Magari si mostrerà ancora.
 
Quando ho saputo che ti avrei intervistato, ho passato il pomeriggio nella mansarda in cui vivo a riascoltare i tuoi dischi e a domandarmi cosa avrei potuto chiedere a Lucio Corsi. In poco tempo. Un amico mi ha raccontato di averti intravisto, durante il soundcheck di una data del tour, coricato sul palco ad accarezzare le corde delle tue chitarre. Mi ha detto che sembravi provare del vero affetto per loro, come se gli volessi bene. Ecco, oggi io volevo solamente assistere al soundcheck e fermare quella scena con la mia macchina fotografica, se mai si fosse ripetuta (indico la reflex poggiata sul tavolino mentre gli dico che anch'io ho un rapporto intenso con lei, ndr).
“Gli strumenti musicali sono importanti... Sono affascinanti... E ci permettono di fare quello che ci piace. E poi io amo la musica degli anni '70 (ma anche degli anni '60 e '80), che viene definita del passato, ma che io ritengo comunque contemporanea. Ci soffermiamo sulle nostre vite che durano ottant'anni di media e siamo troppo legati alla nostra concezione di tempo ma, in realtà, se pensi alla storia del mondo e dell'universo, la musica degli anni '70 è contemporanea e si parla di oggi comunque, in qualche modo. In quegli anni lo strumento era un simbolo e spesso andavi a un concerto non solo per vedere chi cantava e chi suonava ma anche per vedere quel tipo di strumento lì. Andavi a sentire Emerson Lake & Palmer perché avevano l'organo Hammond oppure Neil Young e la sua Les Paul nera. Ognuno aveva il suo strumento, che, appunto, era il suo simbolo. È un aspetto che mi ha sempre rapito, per questo ci tengo. E poi sono cresciuto suonando, perciò sono appassionato di musica ma anche di tecnica, di strumenti, di chitarre. Da piccolo compravo le riviste come Guitar Club. Sì, ci tengo ai miei strumenti”.
 
Quindi hai un rapporto molto personale con loro.
“Sì. Ho una chitarra elettrica da tanti anni che è sempre la stessa, la Les Paul nera, presa da piccolo proprio perché ero fan di Neil Young. Lei è stata il primo strumento buono che ho potuto comprare. Poi ho una vecchia Gibson Hummingbird del '74 come acustica, che mi fa strano che abbia più anni di me ma è anche bello. Serve qualcuno di più maturo che ti guidi in qualche modo, no? (sorride, ndr). Lei è più esperta di me e dicono che sia stata di Dodi Battaglia, incredibile, chissà! E poi c'è il mio pianoforte. Una cosa affascinante degli strumenti musicali è la loro bravura a starsene zitti. Forse la cosa più difficile da imparare da uno strumento è proprio la capacità di rimanere in silenzio tranquillamente. Loro lo sanno fare benissimo. Siamo noi che non ne siamo capaci”.
 
Come quell'uomo triste che ha imparato dal suo pianoforte a rimanere in silenzio, come canti in Orme.
“Sì”.
 
Ieri pomeriggio alcune canzoni le ho riascoltate lavando i piatti.  A un certo punto ho alzato la testa e ho visto il ragno che vive sopra la finestra della cucina – sotto dal suo punto di vista (Lucio sorride, ndr) - danzare nella sua ragnatela illuminata dal sole. Sembrava uscito dal mondo parallelo delle tue canzoni, dove gli animali sono umani più degli uomini e gli oggetti inanimati prendono vita, da quell'universo che il cantastorie del Bestiario Musicale e delle favole surreali di Cosa Faremo da Grandi e la creatura glam rock de La Gente che sogna mette in luce con semplicità e poesia. La capacità di creare con l'immaginazione un mondo altro, "un mondo senza difetti" (Astronave Giradisco, ndr), dove si sta bene, ce l'hanno solo i veri artisti, i pazzi o i bambini.
“Quest'altro tipo di mondo è innanzitutto una questione di divertimento. A me diverte cercare di spostare il punto di vista, cercare un'altra angolazione delle cose – come se avessi una telecamera - e vederle in qualche altro modo. Per puro divertimento, per non annoiarmi quando mi guardo intorno e cercare un po' di frizzantezza nelle cose anche normali. Altrimenti diventa tutto pesante. Invece, questa possibilità c'è e nella musica, secondo me, non bisogna narrare il mondo così com'è. Penso sia uno spreco quando una canzone ti parla della vita che hai e della vita vera. Che poi non è una questione di falsità ma di menzogna. Io amo le bugie, e ne servirebbero di più soprattutto nelle forme di espressione. Nella musica bisogna cercare di cambiare questo mondo, di migliorarlo, di peggiorarlo, di ricrearlo. Agire sulle cose e non raccontarle così come sono. Se no che palle e che spreco. Le canzoni ci devono dare un'altra possibilità, un'altra opportunità. un'altra vita. Ci devono portare in altri tempi, in altri panni. Quando ascolto musica, se la musica mi trasmette e mi fa provare queste sensazioni sono i momenti in cui sto meglio e in cui amo di più le canzoni”.
 
Quindi le canzoni sono un viaggio?
“Sì, sono un teletrasporto, qualcosa di magico che ti porta via. Quelle che amo di più mi fanno quell'effetto lì”.
 
Qual è la canzone che ami di più?
“Una in assoluto non te la so dire. Ne ho alcune. Da Alle prese con una verde milonga di Paolo Conte a Jokerman di Bob Dylan (Dylan anni '80 è bellissimo). Ma ce ne sono tante altre”.
 
Tornando alla mansarda, lì c'è un abbaino da cui puoi vedere le nuvole che si spostano, che cambiano forma mentre attraversano il cielo mosse dal vento. Mi capita di entrare in bagno solo per osservare le nuvole da quella finestra e sentire il vento quando soffia. Il vento, che ”no,  non non era un freno ma una spinta” (Trieste, ndr), e le nuvole sono un elemento costante del tuo immaginario da sogno.
“Per quanto riguarda il vento, ho cercato di rivalutare la sua figura perché, sì, è affascinante ma al tempo stesso odioso”.
 
Odioso?
“Sì, a me mette agitazione. Quando c'è il vento sono davvero molto più agitato. Tu non ti senti come se ci fosse uno che ti prende e ti scuote le spalle, così? (mentre me lo domanda mima l'azione, ndr)?
 
No, io lo adoro.
“No, ma è bello! Riconosco il suo fascino e per questo motivo, anche in Trieste, ho cercato di dare un'altra visione a quell'elemento che comunque mi agita. Proprio perché ci tenevo...”.
 
E le nuvole?
“Le nuvole? Beh, mi piacciono anche quelle normali, quelle che non assomigliano a niente. Si cerca sempre di guardarle trovandoci una somiglianza e ti colpiscono quando sembrano un coccodrillo o quando ti ricordano qualche altra forma. Ma anche le nuvole normali sono bellissime”.
 
Le nuvole normali...
“Sì”.
 
Silenzio (n.d.r.)
 
Quello tra realtà e immaginazione è uno scontro? Ho preparato le domande nell'open space in mansarda, la mia area studio/relax. C'è un prato artificiale, di plastica verde, dove vivono Anubi (un cagnolino statua), una panchina, una casetta delle api che ora è un tavolino, i pianoforti carillon, un vaso di luci led che di notte si trasformano in lucciole. Per me, in fondo, è un prato vero, anche se è finto. È così anche per le tue canzoni?
“Come ti dicevo prima, mi piace quando sono ingannato dalla musica. Quando la musica mi dà un'altra possibilità e un'altra vita, anche se con l'inganno, ovviamente, perché, poi, quando finisce, ti ritrovi nella realtà. Le canzoni devono essere una scappatoia, un gancio per evadere. Perciò che ci ingannino lo spero perché la realtà inganna poco. Però si può trovare anche in un prato finto, e in queste cose, un proprio spazio all'aperto in qualche modo, no?”.
 
Sempre usando l'immaginazione.
“Sì, assolutamente. La fantasia non è una bugia, come dicevano a Pinocchio”.
 
La fantasia non è una bugia?
“Sì. In realtà a Pinocchio dicevano che la fantasia è solo una bugia: 'Pinocchio, ma dove vai? Pinocchio, che cosa fai? La fantasia è solo una bugia' (canticchia due volte queste parole della sigla di un vecchio cartone animato anni '80, ndr)”.
 
Parte una rullata di batteria e inizia il soundcheck (ndr).
 
Ok, abbiamo quasi finito e poi ti lascio andare.
“Non preoccuparti”.
 
Ho portato un libro di poesie (la mia borsa nera diventa un cilindro da prestigiatore mentre lo cerco e lo estraggo, ndr)
“Di chi è?”.
 
Di Franco Marcoaldi. Si intitola “Animali in versi”. Un libro che mi è venuto in mente mentre pensavo alle domande da farti. Così sono andata in camera e l'ho cercato nel comodino vicino al letto (quello è il posto della poesia). Vorrei leggerti “Il sogno del leone”, che mi ha fatto pensare alle tue canzoni.
 
Leggo di un leone affaticato che spera in un soggetto diverso dalla gazzella per il suo sogno. Lucio ascolta in silenzio e sorride (ndr).
 
“É bella (silenzio, ndr). Sai, io sono appassionato di Emily Dickinson. La trovo la Nick Drake della poesia, nel senso che trovo ci siano un un sacco di collegamenti tra i due sia nella loro vita (tutti e due sono morti giovani e da soli) sia nei riferimenti alla natura che hanno entrambi nella loro poetica. Sono simili. Secondo me sono la stessa persona in due ambiti diversi, anche se molto vicini”.
 
E sono un uomo e una donna... “Verso una luna a due facce/Perché la terra ne ha una/E a lei ne servono di più/Perché è sia uomo che donna/Perché è città e campagna". Mi  è venuta in mente La Lepre, una delle tue canzoni che mi piacciono di più.
“Bene, stasera la faccio” (sorride, ndr).
 
Ahhhhh, davvero?!?! Figo!
 
Risate (ndr).
 
“Prima o poi il Bestiario Musicale vorrei ristamparlo e per l'occasione mi piacerebbe fare un concerto o due in posti particolari, in mezzo al nulla e nella natura. C'è un'abbazia in Maremma, l'Abbazia di San Galgano, la conosci? Quella con il tetto scoperchiato (prende il cellulare e mi mostra le fotografie, ndr). Lì sarebbe veramente bello fare un live sul Bestiario...”.
 
Sarebbe il posto adatto per le storie dei tuoi animali... Tutti animali della Maremma, giusto?
“Sì, sono tutti gli animali che vedevo e che incontro ancora quando scappo da Milano e torno a casa. Di notte attraversa la strada qualsiasi tipo di animale: cinghiali, volpi caprioli, tassi, istrici...Volevo raccontare le loro storie, ma ci trovi anche un po' del nostro mondo e alla fine ci puoi vedere quello che ti pare. Un tempo si credeva che gli animali avessero dei superpoteri e secondo me li hanno ancora, solo che non hanno lo spazio per esprimerli come una volta perché sono sempre più schiacciati dall'uomo e dalle città che si mangiano i campi intorno”.
 
Ma c'è una canzone delle tue a cui sei più affezionato?
“Fammi pensare. Ce ne ne sono un po'. Altalena Boy forse è una di quelle a cui sono più affezionato e prima o poi la registrerò nella versione che stiamo portando in giro live. Beh, poi Cosa faremo da grandi e La Lepre. E stasera faccio alcuni pezzi nuovi, uno o due, vediamo”.
 
Dai, ti faccio l'ultima domanda.
“Vai tranquilla, tanto il Ronco ce ne mette alla batteria!”.
 
Tu di solito che cosa sogni? Cosa hai sognato questa notte? Io di trovarmi in un “pronto soccorso del sonno” (La gente che sogna, ndr) e lì, in quell'albergo, mi lavavo i denti prima di andare a dormire. Ma era tutto molto strano perché non c'era un lavandino, e nemmeno, uno specchio. L'ho sognato davvero. Non è una bugia per chiudere l'intervista.
“Lo specchio, il cambiamento...Il cambiamento è anche una delle cose più difficili nella musica e nelle forme d'espressione in generale, ma è uno degli aspetti basilari a cui bisogna tendere, anche se è difficile, perché non ha senso ripetersi sia per un fattore di motivazione e di interesse sia per una spinta che puoi provare te. I sogni io non me li ricordo tanto, ti dico la verità, è proprio raro”.
 
Nemmeno io, quasi mai. Forse, ieri notte, ero così agitata per oggi che ho sognato i sogni...”.
“Bello 'ho sognato i sogni'...” (sorride, forse perso nei pensieri e nella sua immaginazione, ndr)”.
 
Ci salutiamo. Lucio va a fare il soundcheck, accompagnato dal vento che muove  le nuvole e i capelli liscissimi di chi tra poche ore salirà sul palco trasformandosi in una creatura unica, imprevedibile e fiabesca (ndr).
 
 

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