CUNEO - Il naviglio di Cuneo, storia di un progetto mai realizzato

Avrebbe dovuto collegare il capoluogo della Granda a Torino per favorire i commerci con Nizza. Se ne parlò per la prima volta nel 1560, poi tra interessi lesi, difficoltà nei lavori e morti improvvise i piani cambiarono continuamente. Fino al 1833...

Samuele Mattio 13/01/2021 10:31

Qualche anno fa, era il 2014, un gruppo di burloni si divertì a prendere per il naso i residenti sull’altopiano montando, in quattro angoli del centro cittadino, altrettanti totem informativi che illustravano il progetto di un mezzo di trasporto che avrebbe impiegato “meno di 2 minuti per andare da piazza Galimberti a piazza Europa”, con lo slogan “Benvenuto futuro, benvenuta metropolitana!”.
 
In molti sentirono puzza di bruciato, ma qualcuno, forse per tener fede alla fama dei cuneesi creduloni derivata dalle vecchie “Storie e storielle” raccolte da Piero Camilla, ci cascò in pieno. Quella che poi fu raccontata come una “provocazione artistica” del collettivo di creativi ZooArt fu in qualche modo in anticipo sulle ‘fake news’ che corrono sul web e, nonostante quell’episodio sia ancora nella mente di molti, possiamo raccontare la storia dei navigli di Cuneo senza il rischio di passare per bufalari.
 
I navigli, così come la metro, non furono mai realizzati, ma i tentativi di vederli realizzati furono molteplici. La prima volta che se ne sentì parlare era il 1560, quando il duca Emanuele Filiberto, commissionò al suo architetto messer Domenico Ponzello un progetto “per livellare il navilio da Cuneo a Casalgrasso”, che avrebbe dovuto servire a portare “(…) et il sale nostro, che bisognerà per l’uso di questo nostro paese di Piemonte et altre robbe e merci al piacere d’ognuno”.
 
Come gli appassionati di storia locale ricorderanno Emanuele Filiberto, soprannominato “Testa di Ferro”, spostò in quegli anni il centro dello stato sabaudo al di quà delle Alpi, da Chambéry a Torino. La preoccupazione dei sovrani era quella di sviluppare il commercio nella città portuale di Nizza (allora piemontese) e di agevolarne le comunicazioni con l’entroterra, per rendere più veloci gli scambi e meno costoso il funzionamento della gabella del Sale, una delle principali entrate dello Stato.
 
In questo quadro il progetto di un canale navigabile per il trasporto merci da Cuneo a Torino avrebbe segnato un deciso passo avanti. Di qui l’idea, forse concepita dallo stesso sovrano, di servirsi dell’acqua. Il progetto ideato dal Ponzello rimase però su carta: con il trattato di Fossano del 1562 il duca dovette cedere al marchese di Saluzzo le città di Savigliano e Genola, tagliando così l’ipotetico percorso. 
 
L’idea tornò in forma diversa sei anni dopo sfruttando il già esistente Naviglio del Duca, fino ad allora un semplice canale di bonifica: Emanuele Filiberto era intenzionato a collegare Cuneo a Bra. L’opera idraulica già esistente convogliava le acque del territorio di Fossano per Savigliano, Cavallermaggiore e Cherasco verso l’abitato di Bra. Dopo aver stretto accordi con le comunità locali e aver affidato la direzione del cantiere al “solito” Ponzello, vennero anche eseguiti alcuni lavori tra molte difficoltà tecniche. Ma il Naviglio del Duca non potè mai essere trasformato nel canale navigabile che avrebbe voluto il sovrano caro ai torinesi e di cui ancora oggi campeggia una statua bronzea equestre in piazza San Carlo, opera dello scultore Carlo Marochetti. Il duca “Testa di Ferro” era solito alzare il gomito e nel 1580 passò a miglior vita a causa di una cirrosi epatica. A riprendere il discorso sarà il figlio Carlo Emanuele I.
 
Nel 1596 l’architetto idraulico Giacomo Soldati presentò a lui una relazione su un "(…) navilio da Cunio a Carmagnola et a Turino”. Il tecnico pensava che il naviglio dovesse “imboccarsi” dalla Stura per la bealera Leona, tra Roccasparvera e Centallo, per poi attraversare Fossano e Bra, Sanfré, Sommariva del Bosco e Carmagnola. Non avrebbe portato soltanto un incremento del commercio, ma sarebbe stato anche una valida difesa contro gli invasori in caso di attacco. Inoltre, le terre attraversate dal canale potevano essere meglio irrigate. Di contro c’era da considerare che la via d’acqua avrebbe leso gli interessi dei carrettieri, dei mulattieri e dei proprietari delle terre espropriate. Proprio quest’ultimo fu il punto che fece saltare il banco, nonostante la lungimirante relazione di Soldati, vox clamantis in deserto: “(…) queste imprese sono di quelle, che mentre si fabricano, fanno gridare molta gente et dolersi, et dopo fatte sono da tutti lodate et trovate buone…”.
 
Nel 1608 Carlo Emanuele I tornò alla carica, interessando una commissione composta da tre ingegneri, i quali si recarono a Cuneo e presero in considerazione i canali già esistenti all’epoca: Roero, Morra e Miglia, che provenendo dalla Stura a tutt’oggi attraversano l’abitato di Confreria per poi diramarsi in pianura. Ma alla fine gli esperti optarono ancora una volta per la bealera Leona, più conveniente per l’abbondanza di acqua. Anche questa volta il progetto non ebbe ulteriori sviluppi e del naviglio non si sentì più parlare per oltre settant’anni (o perlomeno non ne abbiamo memoria scritta). 
 
È sotto la reggenza di Maria Giovanna Battista, la seconda Madama Reale, che nel 1680 il Naviglio tornò d’attualità. A quell’epoca il conte Cays di Demonte aveva fatto un viaggio a Tolosa e ammirato il Canale Reale di Linguadoca (Canal du Midi), che univa il capoluogo dell’Occitania a Cette (oggi Sète), collegando il Mediterraneo e l’Atlantico. Ammaliato dall’opera ingegneristica pensò a come avrebbe potuto portare qualcosa di simile in valle Stura, collegando Demonte a Cuneo e poi a Torino. Per la prima volta l’idea del Naviglio viene presentata in abbinamento alla strada Nizza-Borgo San Dalmazzo: le due opere avrebbero collegato Cuneo con il mare, sia per il trasporto del sale che per quello delle altre merci.
 
Il conte Riquet, ingegnere direttore del Canale di Linguadoca si offrì di venire nel Cuneese a visitare la località e studiare il percorso del Naviglio. Cays, entusiasta, si recò dal generale delle Finanze, Giovanni Battista Turchi, che a nome di Madama Reale accettò l’offerta del francese. Il fato si mise di mezzo: il 3 ottobre 1681 Riquet morì improvvisamente, proprio mentre si stava preparando al viaggio per Demonte. Ad occuparsi del sopralluogo furono i suoi tecnici, accompagnati dell’ingegner Portal, imprenditore delle Strade del Re di Francia. Percorsero il cammino da Nizza a Cuneo passando per la valle di San Martino e per Entracque, quindi da Cuneo fino a Torino, lungo l’ipotetico percorso del naviglio.
 
I tecnici francesi suggerirono di far passare la strada per il colle della Finestra, costruendo magazzini a San Giacomo di Entracque e San Martino - oggi San Martin Vesubie - in caso di maltempo. Scartarono il colle di Tenda perché, scriveva testualmente il conte Cays: “(…) è un paese selvaggio, pieno di precipizi, si sente parlare di disordini, e genovesi e ladri insultano i passanti sui colli di Breil e Sospel”. Dopo molti carteggi tra Cays e Torino si cominciò a considerare l’opera di prossima realizzazione e a segnarne il tracciato sulle carte geografiche e topografiche, ma anche questa volta il progetto non venne attuato. 
 
Altra versione più grandiosa e complessa fu sottoposta, nel secolo successivo, all’attenzione del Gran Cancelliere conte Caissotti di Santa Vittoria, primo presidente del Senato del Piemonte. Alla sua morte, nel 1779, si trovò un fascicolo intitolato “Considerazioni sul progetto d’un canale per la navigazione da Cuneo al Po, d’una darsena nella spiaggia di Nizza e d’una strada carreggiabile insino al piè del colle di Tenda”. Si evidenzia che “non si tratta di cose nuove” e che l’opera, pesati i pro e i contro - tra questi ultimi il timore che gli “appetiti” francesi si orientassero sulla Costa Azzurra - era ritenuta utile. Nell’epoca della nascente economia politica l’obiettivo era aumentare il traffico e i commerci: si cercarono i fondi con manovre finanziarie, ma anche questa volta non si passò alla concretizzazione dell’opera. In quegli anni stava per abbattersi sull’Europa una bufera di nome Napoleone Bonaparte. E fu proprio il generale corso, quando la Granda era diventata Département de la Stura, a riportare in auge il progetto del naviglio. Nel 1807 l’ingegner Thierrat progettò un canale navigabile da Cuneo - la navigazione doveva cominciare da Madonna dell’Olmo, dove si sarebbe scavata una darsena - fino al Po, nei pressi di Cardè, con un adattamento della bealera Roero. Ma la dominazione imperiale non durò a sufficienza. Dopo la restaurazione dell’Ancien Regime, il tema della navigazione interna rimase sul tavolo dei regnanti e nel 1833 l’ingegnere Ignazio Michelotti riprese l’idea, stavolta ipotizzando la partenza da Borgo San Dalmazzo e l’arrivo a Moncalieri.
 
Inutile dire che anche questa volta l’idea rimase sulla carta: fu l’ultima apparizione storica del Naviglio di Cuneo. L’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto terrestri e aerei e le mutate esigenze avrebbero spostato l’interesse verso altri problemi.
 

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