CUNEO - La “nosto Rèino Jano” e il sogno della Provenza indipendente

Un profluvio di leggende circonda la figura di Giovanna d’Angiò, bella e sventurata. Sotto il suo regno incominciò la disgregazione politica delle terre provenzali

Emile Lagier, La reine Jeanne reçue par le pape Clément VI

Renato Lombardo 28/05/2022 16:04

Pubblicato in origine sul numero del 5 maggio del settimanale Cuneodice: ogni giovedì in edicola
Qui la prima parte.
 
Nonostante il profluvio di leggende che l’hanno consegnata all’eternità della memoria della gente della sua Contea di Provenza, di qua e di là dalle Alpi, in realtà la nosto Rèino Jano ha visitato questo frammento negletto del suo immenso reame una volta soltanto. Siamo ai primi di gennaio del 1348. Luigi il Grande, re d’Ungheria, ha invaso il Regno di Napoli e la regina Giovanna è costretta a fuggire in cerca d’aiuto.
 
Costretta, suo malgrado, a lasciare a Napoli il figlio di tre anni, Carlo Martello, l’erede al trono di Sicilia, la regina fa rotta verso nord.
 
La Regina Giovanna in Provenza
 
Rada di Brégançon, gennaio 1348. La bandiera gigliata, le drapeau de l’Anjou, sventola sull’albero maestro delle tre galere che, partite da Napoli il 15 gennaio, dopo uno scalo tecnico a Nizza, ora, giunte a destinazione, stanno ultimando le operazioni di attracco. Gettate le passerelle di sbarco, da una di queste discende una giovane donna in splendidi abiti regali. È Giovanna I, regina di Sicilia e contessa di Provenza. Sotto lo sguardo estasiato degli astanti la sovrana, per la prima - e sarà l’unica - volta mette il suo regale piede sul suolo della sua contea. Da qui, la regina prosegue via terra il suo viaggio verso Marsiglia, dove, il 20 gennaio, fa il suo ingresso trionfale nella città. Ad attenderla c’è una folla osannante. Giovanna scende sorridente dalla carrozza e si mostra alla sua gente in tutto il suo regale splendore.
 
La regina, in previsione del suo viaggio in Provenza, il 3 gennaio si era preparata il terreno, promuovendo l’unità della città bassa di Marsiglia con quella alta, un’unificazione tanto attesa dai marsigliesi, che le riservano un’accoglienza quanto mai calorosa e festosa. A ventidue anni, in fastosi abiti regali, sfavillanti d’oro e di gioielli, la stella della Rèino Jano è al massimo del suo fulgore. È una comparsa che ha la forza folgorante di un’apparizione. La popolazione è ammaliata ed entusiasta. Il 29 gennaio, sulla Place du Palais, in fondo al Port Vièi, la sovrana giura solennemente di rispettare i privilegi concessi alla città e riceve il giuramento di fedeltà da parte dei suoi abitanti. Il 2 febbraio, a Aix-en-Provence, si impegnerà a nominare, per l’amministrazione locale, esclusivamente funzionari di nazionalità provenzale e promette di non alienare alcun territorio della contea. Da Aix, la regina proseguirà per Avignone. La sovrana è qui per organizzare la riconquista del suo regno perduto. L’obiettivo del suo viaggio è la corte papale avignonese, dove, il 15 marzo, viene ricevuta in udienza da papa Clemente VI, al quale chiede un sostegno economico per la sua campagna militare. Il papa l’aiuterà, ma lei, contrariamente alle promesse fatte alla sua gente, venderà Avignone al papa e si alienerà numerosi territori della sua contea in cambio di denari.
 
È stata di appena sei mesi la permanenza della regina nella nostra terra, giusto il tempo per organizzare la sua rivincita e poi, conseguito l’obiettivo, la nosto Rèino Jano, imbarcatasi a Marsiglia, il 28 luglio 1348 abbandonerà per sempre la sua contea, dirigendosi alla volta di Napoli, e non farà mai più ritorno nella sua Contea di Provenza.
 
La genesi del mito
 
Sei mesi sono un tempo breve, ma sono sufficienti per la nascita di un sogno e la genesi di un mito. “La nosto Rèino Jano è venuta tra noi!”. La notizia si propaga di città in città, di borgo in borgo, di valle in valle.
 
La bellezza radiosa di una giovane regina, i racconti delle sue benefiche apparizioni in mille luoghi delle nostre contrade, valgono più delle nobili gesta di tanti collaudati protagonisti dei grandi eventi di quel tempo. Quello che accade nell’immaginario collettivo di un popolo è più solido delle vicende reali della storia, sempre soggette a critiche, interpretazioni e revisioni. E poi è una regina in difficoltà quella che si è rifugiata nella sua contea. Una regina buona, per di più incinta di cinque mesi, minacciata da nemici cattivi, è venuta qui, in una Provenza ancora unita, libera e indipendente, in cerca di aiuto. È quanto basta per attizzare i cuori e le fantasie della sua gente, e dare inizio a una saga travolgente. Ad accrescere le simpatie del suo popolo contribuirà la commiserazione per le sventurate vicende di un’esistenza, quella della Rèino Jano, che è un concentrato di sciagure e avversità. Rimasta orfana di padre a due anni e di madre a cinque, ad appena quattro anni Giovanna viene promessa sposa a un bambino di sei, che sarà un marito rozzo e ignorante, improponibile per una donna colta e raffinata come lei. Lui non l’amerà e lei non riuscirà mai ad amarlo. La regina avrà due figli che moriranno entrambi in tenera età. Il primo figlio, nato dal primo matrimonio con Andrea di Durazzo il 24 dicembre 1345, battezzato con il nome di Carlo Martello, viene fatto prigioniero da Luigi d’Ungheria il 2 febbraio 1348 e muore all’età di tre anni durante la prigionia in Ungheria. Quasi contemporaneamente muore, ancora in fasce, la seconda figlia, Caterina, nata nel giugno di quello stesso anno dal secondo matrimonio con Luigi di Taranto.
 
Dopo un’esistenza difficile, irta di complotti, intrighi, tradimenti, violenze, soprusi, fughe e prigionie, Giovanna perirà di morte violenta. Nel giugno del 1379 Giovanna aveva adottato Luigi, figlio del re di Francia Giovanni II il Buono. Alla sua morte le sarebbe succeduto sul trono di Napoli. In realtà Luigi si dovette accontentare della Provenza, in quanto il Regno di Sicilia andrà a Carlo III d’Angiò Durazzo, il quale, per “accelerare” l’iter della successione spodesterà e farà prigioniera la regina Giovanna, per poi farla uccidere dai suoi sicari. Morta scomunicata, Giovanna non sarà neppure sepolta in terra benedetta.
 
“Tout cela méritait bien une légende! Tutto questo meritava bene una leggenda!”, è stato detto e scritto.
 
(fine della seconda parte)

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