ROCCABRUNA - La storia di Alberto Giorsetti, ucciso a dieci anni dai nazifascisti a Roccabruna

Il tempo passa, i testimoni della Resistenza se ne vanno: non basta il 25 aprile per ricordare la Liberazione, a noi il compito di tramandare il racconto di questi avvenimenti

Micol Maccario 25/04/2023 07:19

Nell’estate del 1944 in Italia si diffusero le cosiddette “zone libere” o repubbliche partigiane, cioè forme di autogoverno gestite dai combattenti in rappresentanza del Comitato di Liberazione Nazionale. Erano circa ventuno, tutte localizzate nel centro-nord della penisola. La repubblica partigiana della valle Maira fu una delle prime nella zona piemontese e la valle diventò un luogo attivo nella Resistenza ai nazifascisti. In Piemonte le altre zone libere sorsero più tardi: la repubblica dell’Ossola il 10 settembre per quaranta giorni e quella ad Alba dal 10 ottobre per ventitré giorni. Ma quel periodo di tranquillità non durò per sempre. Dopo circa novanta giorni di pace, durante i mesi più caldi dell’anno ci furono nuovi attacchi che riportarono morte e devastazione in quelle zone.
 
A fine luglio erano iniziati giorni di tensione. Come racconta Carlo Giordano sul giornale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia della provincia di Cuneo, “proprio in quelle ore i comandi nazifascisti ricevono l’ordine di riconquistare la val Maira. Si muovono pattuglie a piedi, carri armati, nel cielo addirittura uno Stuka (velivolo tedesco Ju-87 impiegato per il bombardamento in picchiata). Un inferno: scontri con i partigiani, Cartignano e San Damiano Macra dati alle fiamme, rastrellamenti, esecuzioni”. Ma, nonostante i partigiani cercassero di resistere sparando, alla fine quelle zone vengono occupate, le case bruciate e tutti gli edifici rasi al suolo.
   
In questo contesto si colloca la storia di Alberto Giorsetti, bambino di dieci anni morto fucilato dai nazifascisti. Viveva in borgata Giorsetti, vicino a Roccabruna nella direzione di sant’Anna. Prima che lui nascesse la mamma e il papà avevano deciso di trasferirsi in Francia per cercare un futuro migliore. A Nizza “nel 1934 nacque il loro primo figlio Alberto Felice, che trascorse i primi anni in quella città”, racconta un articolo pubblicato sulla rivista dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo nel 2008. Alberto iniziò a frequentare le scuole in Francia, parlando italiano e dialetto in casa e francese fuori. Ma quando l’Italia attaccò la Francia, la famiglia Giorsetti non era più la benvenuta nel Paese confinante e, quindi, decise di tornare in valle Maira.
 
Rientrarono quindi in Italia, sperando fosse solo una piccola parentesi prima di poter riprendere la vita francese. Le cose però andarono diversamente. Da quelle zone cuneesi furono in tanti a partire e la maggior parte non fece più ritorno. Alcuni morirono in Russia, altri nei campi di prigionia in territorio sovietico, altri ancora in Montenegro o in Sicilia. Anche per chi rimase la vita non fu facile. La famiglia Giorsetti a Roccabruna aveva poca terra, pochi animali e poco lavoro. Nonostante la povertà però la vita proseguiva, Alberto aveva anche iniziato ad andare a scuola in Italia, ottenendo buoni risultati grazie al fatto che conosceva meglio l’italiano rispetto ai suoi compagni. Tutto però cambiò una domenica d’estate.
 
Era il 30 luglio 1944 e Alberto e la mamma erano andati a messa alla chiesa della borgata Sant’Anna. In seguito, erano invitati a pranzo dalla famiglia Bernardi, scendendo alla borgata Grangia, che si trova sul versante opposto della collina. Dopo la funzione, qualche parola e saluto sul sagrato, si incamminarono nella boscaglia sulla strada che porta a Grangia. Intanto i nazifascisti stavano avanzando sotto Sant’Anna e, vedendo la mamma e il bambino per mano, spararono ad Alberto un unico colpo rivelatosi mortale. La madre avvolse un fazzoletto attorno alla testa del figlio e, stremata, lo portò a casa. Quella sera, come si racconta sulla rivista dell’istituto storico della Resistenza, “gli ufficiali tedeschi annotarono nei loro bollettini nove morti, vittime civili e partigiani caduti tra Cartignano, Roccabruna e San Damiano. Tra loro c’era un bambino di dieci anni”.
 
Durante la guerra la distruzione è all’ordine del giorno e la morte di Alberto non fece così rumore, anche perché ogni famiglia di quelle zone aveva almeno un lutto da commemorare. Per una mamma e un papà, poi, raccontare di un figlio ucciso non dev’essere semplice. La loro vita cambiò: accantonarono il desiderio di tornare in Francia e il silenzio ebbe per anni la meglio su questa vicenda anche all’interno della stessa famiglia. Dopo Alberto nacquero altri figli - Margherita, Primalda e Giovanni - che per molto tempo non seppero di aver avuto un fratello fucilato dai nazifascisti.
 
Ma il valore del ricordo è ciò che di più prezioso ci resta, soprattutto ora che i testimoni della Resistenza stanno scomparendo. Sul sentiero tra borgata Ferre e Sant’Anna di Roccabruna, dove è stato ucciso, c’è una lapide restaurata una decina di anni fa da ANPI sezione Dronero e Valle Maira. Inoltre, il 29 marzo 2008, a Roccabruna è stata intitolata una piazza in ricordo di Alberto Giorsetti. “Con quella piazza si ricordano idealmente - scrive Carlo Giordano - anche gli altri bambini della valle caduti durante la Seconda Guerra Mondiale”, come Eligio Gautero (due anni) e la sorella Margherita (undici anni), morti sotto un bombardamento aereo a Dronero il 12 febbraio 1945; Vito Francesco Lugliengo (dieci anni) morto a Cuneo il 15 marzo 1944; Bartolomeo Girardo (undici anni), morto a Cuneo il 16 marzo 1944. Solo in valle Maira in quegli anni di guerra morirono 643 persone. A noi il compito di non dimenticarle.

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