CUNEO - Oggi è la Giornata Internazionale della lingua madre, ma il nostro italiano non se la passa tanto bene

Il linguaggio è soggetto ai cambiamenti socioculturali, è normale che cambi nel tempo. Se non vogliamo che sparisca dobbiamo però tutelarne la natura: ne va della nostra storia

Micol Maccario 21/02/2023 08:08

Arriva per tutti quel momento in cui nostro figlio, fratello, nipote, cugino frequenta le elementari e studia gli accenti. “Ma si scrive Maria da cinque euro a Giovanni o Maria dà cinque euro a Giovanni?” E improvvisamente il vuoto. Nella nostra mente si alternano tutte le regole imparate ormai decenni fa e accantonate in qualche angolo remoto del cervello. “Su qui, quo, qua l’accento non va”, no, non era questa la regola. “Zio e zia non raddoppia mai”, no, nemmeno questa. E, spesso, ci arrendiamo di fronte all’evidenza: noi non sappiamo l’italiano. O meglio, non perfettamente. Eppure, la maggior parte di noi è italiana, cresciuta in Italia, da genitori anch’essi italiani. Ma com’è possibile?
 
L’italiano è difficile e, come tutte le lingue, cambia nel tempo. Si adatta, assume sfumature diverse, cresce. Ma quando è nata la nostra lingua? Nessuno sa rispondere indicando un giorno preciso. La lingua è un’evoluzione continua e non è possibile definire rigidamente date di riferimento. Possiamo però indicare alcuni passaggi che permettono di capire come il linguaggio sia diventato quello che i parlanti utilizzano tutti i giorni.
 
Boves se pareba Alba pratalia araba Et albo versorio teneba Et negro semen seminaba”. Questo è ritenuto, ad oggi, uno dei più antichi testi in volgare italiano. Si chiama “Indovinello veronese”, è scritto in un misto di volgare e latino ed è stato rinvenuto nel 1924 in un codice della Biblioteca capitolare di Verona. Poi ci sono stati i primi documenti scritti in vernacolare, che era la lingua prediletta dalla maggior parte della popolazione del tempo. Si tratta del Placiti Cassinesi che, con il Placito capuano, hanno contribuito a rendere più marcata la distinzione tra latino e volgare.
 
A partire dal XIII secolo, gran parte della letteratura inizia a essere pubblicata in italiano regionale. Tra i primi ci sono i Poeti Siciliani, seguiti poi da Dante, Boccaccio e Petrarca. Se la base dell’italiano moderno è da individuare nel dialetto toscano lo dobbiamo proprio alle “Tre corone della lingua fiorentina”. Ma il raggiungimento della lingua moderna non è stato immediato, per arrivarci c’è stato un lungo dibattito, iniziato nel 1600, sulla forma corretta della lingua da utilizzare. Nella storia dell’italiano hanno avuto grande rilevanza Dante, Pietro Bembo e Manzoni. Il primo aveva intuito le potenzialità del volgare dedicando alla questione il noto trattato incompiuto “De vulgari eloquentia”, il secondo ne aveva stabilito le regole nelle “Prose della volgar lingua” e il terzo aveva conferito valore letterario all’oralità, utilizzando nel capolavoro “I promessi sposi” la lingua parlata. 
 
Tra le tappe fondamentali c’è stata sicuramente l’Unità d’Italia nel 1861. Fino a quel momento il Paese era diviso, sia politicamente che linguisticamente. Quando la penisola fu riunita il Toscano diventò la lingua ufficiale del Paese. Questo non comportò un apprendimento immediato dell’italiano. I dialetti furono per secoli la lingua prediletta dalla maggior parte degli italiani. Facendo un salto nel presente, nel 2015, secondo i dati Istat più recenti, il 90,4% della popolazione in Italia era di lingua madre italiana. Rispetto al 2006 il numero di coloro che si dichiaravano di lingua madre straniera è aumentato passando dal 4,1% al 9,6%.  
 
Come sta l’italiano?
Oggi è la Giornata Internazionale della Lingua madre. È stata istituita dall’Unesco nel 1999 per ricordare l’uccisione, avvenuta nel 1952 da parte delle forze di polizia pakistane, di alcuni studenti dell’Università di Dacca che rivendicavano il bengalese come lingua ufficiale. Questa giornata ci vuole far riflettere sul valore della lingua madre e sulla ricchezza del multilinguismo, sull’importanza dell’integrazione e dell’introduzione di interventi scolastici efficaci che tengano conto delle differenze linguistiche degli studenti. “Il linguaggio è essenziale per la comunicazione di ogni tipo; è proprio la comunicazione a rendere il cambiamento e lo sviluppo possibili nella società umana. Oggi usare - o non usare - taluni linguaggi può aprire una porta, o chiuderla, in diversi segmenti della società e in molte parti del mondo”, si legge sul sito dell’ONU.
 
Ma come sta la nostra lingua madre? L’accademico Vittorio Coletti già nel 2016 aveva scritto che “l’adozione di parole straniere non è affatto un male di per sé. Anzi, è una linfa per le lingue vive. Non c’è nessun problema se il significato di ‘realizzare’ come ‘capire bene, rendersi conto’ è dovuto all’influsso dell’inglese ‘to realize’, anche se non ha nulla a che vedere con i precedenti significati (fare, attuare) della stessa parola nella nostra lingua”. Il problema c’è, secondo l’esperto, quando la parola arriva e resta nella nostra lingua nella forma grafica e, in parte, fonetica della lingua originale, cioè quando arriva la parola “computer” e la nostra cultura è incapace di trovare forme proprie per tradurla. Questo “dà preoccupanti segni di debolezza”, scrive. In Italia, secondo l’esperto, avviene qualcosa di diverso rispetto alle lingue come il francese o lo spagnolo, che “si sforzano di usare parole proprie anche in casi di importazione concettuale o industriale”.
 
Anche il linguista e presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini aveva lanciato un allarme nel 2017 in cui prevedeva che nel 2050 il nostro linguaggio sarebbe stato molto più povero e meno colto a causa della sparizione del congiuntivo e dell’introduzione di molte parole straniere. 
 
Le lingue sono lo strumento più prezioso e potente che abbiamo, probabilmente anche il più inconsapevole, sono scrigno del nostro patrimonio culturale. Eppure, le parole sono capaci di grandi cose. Possiamo creare mondi immaginari, raccontare storie, rievocare ricordi. Possiamo arrabbiarci, urlare, ringraziare, cantare, sussurrare. Per questo è importante che ognuno sia libero di preservare il valore della propria lingua madre. Chi arriva in Italia deve avere la libertà di apprendere l’italiano portando con sé la cultura insita nella lingua del suo Paese, all’insegna di una società inclusiva e ricca, con l’obiettivo che nessun linguaggio sparisca. Al contempo, noi dobbiamo essere consapevoli del ruolo che l’italiano gioca nello sviluppo della nostra comunità, della storia secolare che porta con sé. 
 
Le lingue cambiano, si adattano ai cambiamenti sociali, diventano più inclusive, meno superficiali, ma dobbiamo sempre avere ben chiaro il valore della storia che portano con sé. Ed è nostra responsabilità tramandarle per non perdere la ricchezza di secoli di storia e tradizione insiti nelle parole.  
 

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