CUNEO - Perché il 23 giugno è il ‘compleanno’ della città di Cuneo?

In questo giorno, nel 1198, si stipulava l'alleanza con gli astigiani: è il primo documento che attesti l’esistenza della ‘villa nuova’ tra Stura e Gesso

Andrea Cascioli 23/06/2019 14:00


Vi abbiamo già raccontato come la fondazione di Cuneo sia legata a una delle più sinistre leggende sul Medioevo, il famigerato ius primae noctis. Anzi, è in riferimento alla nascita della città tra Gesso e Stura che si trova traccia, verosimilmente per la prima volta, di questa barbara usanza che tuttavia non è mai stata documentata sul piano storico.
 
Nel 1484 il giurista Giovanni Francesco Rebaccini, primo cronista delle vicende cuneesi, ne fa addirittura la causa scatenante di una rivolta contro i signori locali da lui collocata al 1220 (in realtà avvenne nel 1198), e che da Caraglio dilaga nelle valli quando i popolani si radunano e “si mostrano tre segni di fiamma, uno sopra la cima del monte di Caraglio, l’altro sopra di Cervasca, il terzo sopra il monte di Bovisio”. Gli emissari dei vari villaggi siglano il loro patto giurato “in un luogo di mezzo in un certo bosco dove era una Capella chiamata Santa Maria del Bosco, tra i fiumi di Stura e di Gesso dove ora è Cuneo”. Del luogo vengono apprezzate la bellezza, la ricchezza di 'acque chiarissime' e soprattutto la rilevanza strategica.
 
Nel raccontare la fondazione del Comune Rebaccini riprende una ben più antica tradizione orale che si è tramandata fino a noi grazie al carnevale di Caraglio. È la storia della bella Cecilia che, per salvare il suo onore dai desideri di un feudatario del posto, lo uccide con lo stiletto che nascondeva tra i capelli, mentre il suo sposo Roldano guida i contadini alla rivolta. Il racconto si trova anche in un numero de ‘Il Dagherrotipo: galleria popolare enciclopedica’, un settimanale torinese diretto nei primi anni Quaranta del XIX secolo dall’avvocato e deputato del Parlamento Subalpino Angelo Brofferio. Qui si narra di come “ogni rocca, ogni castello, ogni sito fortificato si vide improvvisamente assalito da un pugno di gente collettizia, male armata, peggio disciplinata, ma accesa dal coraggio della disperazione”, finché i rivoltosi fondarono un nuovo insediamento sotto la protezione del buon abate di San Dalmazzo di Pedona “e, poco tempo dopo, quell’accozzamento di umili capanne circondate da foreste divenne una delle più forti città del Piemonte”.
 
È da notare come già lo storico Ferdinando Gabotto, nella sua ‘Storia di Cuneo’ del 1898, affermasse che “la critica moderna ha negato il preteso ius primae noctis dei feudatari, riducendolo ad una tassa sul matrimonio o a una di quelle usanze, singolari per noi, ma frequentissime nel Medio Evo a significar diritti non praticati”, come il fatto di porre una gamba nel letto della sposa o di coricarvisi un istante in segno di signoria. “Costume questo che, almeno a Cuneo, si conservò a lungo come scherzo - aggiunge Gabotto - perché ad una cert’epoca (secolo XIV) si vede intervenire uno Statuto per proibirlo”.
 
L’epopea di Cecilia e Roldano, insomma, è senz’altro leggendaria. E del resto questi miti di fondazione sono comuni a parecchie tra le ‘ville nove’ che sorgono nel Basso Medioevo. Ma questo non significa affatto che dietro a simili fantasie romanzesche non ci siano anche eventi storici accertati. È vero infatti che all’origine della fondazione di Cuneo c’è una rivolta che ha il suo epicentro proprio a Caraglio. Ed è altrettanto vero che è l’abate di Borgo San Dalmazzo a offrire rifugio a questi fuoriusciti, ritrovatisi sul picium Cunei in terreni che i documenti dell’epoca provano essere di proprietà dell’abbazia. Perfino sul periodo della fondazione c’è concordanza tra le fonti: il quattrocentesco Rebaccini la colloca in aprile (anche se, come abbiamo detto, la posticipa di ventidue anni), l’ottocentesco Gabotto afferma che “sorse Cuneo, secondo gli ultimi studi, fra il 14 marzo e il 23 giugno dell’anno 1198”.
 
Il 23 giugno è comunque il primo riferimento certo, perché a quel giorno data il trattato stipulato nell’odierno borgo fossanese di Romanisio, e per la precisione nel giardino della chiesa di San Pietro, tra la città di Asti rappresentata dal podestà Alberto di Fontana e i primi tre consoli della neonata villa di Cuneo, alla presenza dell’abate di San Dalmazzo. Questi tre consoli sono Peire Rogna e due feudatari, i signori Berardo di Valgrana e Pepino di Vignolo: alla fondazione del Comune, infatti, “concorsero molti nobili, restii quanto e più dei popolani alla signoria saluzzese”, ricorda ancora Gabotto.
 
La nascita della città si colloca nell’ambito di un’ininterrotta serie di scontri militari per il predominio sul Piemonte meridionale che alla fine del XII secolo oppongono il marchesato di Saluzzo e gli astigiani. Guerre e guerricciole si susseguono con frequenti cambi di fronte, ma restano costanti alcune direttive politiche come la rivalità tra Asti e Alba e lo sforzo dei nobili - specie dei marchesi di Monferrato, Saluzzo e Busca - per non soggiacere alla crescente potenza della Repubblica di Asti, e far fronte alle ‘ville nove’ fondate da questa o con l’aiuto di questa (nello stesso anno nascono infatti Costigliole e Mondovì).
 
Nell’abitato sul pizzo di Cuneo vengono edificate subito nuove chiese, alcune delle quali sono intitolate con i nomi delle parrocchie di Cervasca e Morozzo e dell’abbazia pedonese, luoghi dai quali provengono grossi nuclei di abitanti. Altri giungono da Beinette, Boves, Brusaporcello e Quaranta “donde si denominarono vie e località della nuova villa, ed anche da Caraglio, Bernezzo, Vignolo e Valgrana”.
 
Con l’atto di alleanza del 23 giugno 1198 si stabilisce che i cuneesi si facciano cittadini - o meglio sudditi - di Asti, obbligandosi a comprarvi una casa del valore di 50 lire astesi prima del prossimo San Michele (29 settembre) e a versare un fodro, cioè un tributo sotto forma di cibo e foraggio, quantificato in 1000 lire genovesi. Allo stesso tempo il Comune si impegna a “far esercito e cavalcata per gli Astigiani a proprie spese” in caso di guerra ed esentarli dai pedaggi. In cambio di tutto questo riceve la protezione della potente Repubblica, per quanto da un lato gli astigiani si vincolino soltanto “salvi gli impegni precedenti” e dall’altro i cuneesi riservino “la fedeltà ai loro signori”. Scappatoie e cavilli utili da una parte e dall’altra per disdire domani quel che si era giurato solennemente oggi, commenta il Gabotto, poiché “neanche nel Cento, bisogna dunque convenirne, la Diplomazia era troppo leale”.

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