CUNEO - Quando l'Italia preparò a Cuneo il vittorioso Mondiale del 1938 (lontano da ogni tentazione)

Gli azzurri si allenarono all’odierno “Paschiero” prima della spedizione francese: il racconto di quei giorni, tra le ferree regole imposte dal Ct Vittorio Pozzo

L'Italia di Pozzo schierata davanti all'odierno Paschiero
Le immagini degli allenamenti su Il Calcio Illustrato
Gli azzurri a Cuneo - foto Il Calcio Illustrato
Il gruppo di Pozzo di fronte al Santuario degli Angeli - foto Il Calcio Illustrato
Vittorio Pozzo

Andrea Dalmasso 13/11/2021 09:26

Il 19 giugno del 1938 allo stadio di Colombes, dieci chilometri a nord-ovest di Parigi, l’Italia solleva al cielo per la seconda volta consecutiva la Coppa del Mondo di calcio. Il successo degli azzurri arriva grazie all’affermazione per 4-2 contro l’Ungheria nella finalissima: le doppiette di Piola e Colaussi consentono alla squadra allenata da Vittorio Pozzo di confermare il titolo conquistato in casa quattro anni prima e di concludere un ciclo quasi irripetibile, completato dall’oro alle Olimpiadi di Berlino nel 1936. Solo il Brasile di Pelè sarà capace di ripetere l’impresa di vincere due Mondiali di fila tra il 1958 e il 1962. Se l’epopea dell’Italia di Pozzo negli anni Trenta è storia nota alla gran parte degli appassionati di calcio, è forse meno noto che il cammino che condusse gli azzurri verso il titolo mondiale del 1938 passò anche da Cuneo: tra maggio e giugno, infatti, Meazza e compagni sostennero proprio sul prato dell’odierno stadio “Fratelli Paschiero” - allora stadio “Littorio” - una parte del ritiro pre mondiale.
 
Le motivazioni che fecero cadere la scelta su Cuneo sono descritte nel numero del 1° giugno 1938 de “Il Calcio Illustrato”: “Anzitutto la dislocazione geografica: ultima città d’importanza posta sulla grande linea di comunicazione verso la Riviera francese, dove si disputerà la prima partita della nostra squadra, consente di restare a casa proprio sino all’ultimo. Inoltre Cuneo è una città tranquilla, che offre notevoli comodità di soggiorno, priva di quelle distrazioni che possono, in un certo senso… pregiudicare i benefici effetti di un lungo periodo di seria e laboriosa preparazione di atleti. Dal lato climatologico, poi, Cuneo offriva i migliori vantaggi: ubicata com’è ai piedi delle Alpi Marittime, appena sopra ai 500 metri di altitudine, gode di un clima temperato che può essere il più favorevole per lo stato di salute di giovani alla vigilia di fornire sforzi fisici non indifferenti”. Lo stadio cuneese, per ordine del Podestà Giovanni Battista Imberti e nonostante fosse stato inaugurato appena tre anni prima, fu oggetto di modifiche e adattamenti, ritenuti indispensabili dal commissario tecnico Pozzo dopo alcuni sopralluoghi: il terreno di gioco fu ampliato, gli spogliatoi furono oggetti di alcuni interventi di adeguamento. L’amministrazione comunale - scrisse ancora “Il Calcio Illustrato” - si fece in quattro per soddisfare ogni richiesta del CT: “Se anche Pozzo, o qualcuno degli azzurri, avesse manifestato ai dirigenti cuneensi il desiderio di far abbattere un’ala della nuova stazione ferroviaria, alla quale i cittadini di Cuneo sono giustamente molto affezionati, perché impediva magari di godere appieno il paesaggio maestoso delle vicine montagne, di sicuro anche un pezzo della stazione ferroviaria sarebbe stato sacrificato”. Un arrivo, quello della comitiva azzurra, atteso con grande entusiasmo dalla città, in anni in cui il calcio aveva ormai intrapreso la strada per diventare la più grande passione popolare che è oggi: “Con la più viva simpatia e la più schietta cordialità, la popolazione attende i valorosi atleti, graditissimi ospiti”, scrisse La Stampa nella sua edizione del 27 aprile 1938.
 
Dopo il raduno del 26 aprile e i primi allenamenti a Stresa, - nei giorni in cui l’attenzione dei giornali, anche in provincia Granda, era rivolta all’imminente visita di Adolf Hitler a Roma - il gruppo azzurro si trasferì a Cuneo, con quartier generale nell’albergo “Corona Imperiale” (tra le attuali via Silvio Pellico e corso IV Novembre), dalla sera dell’8 maggio. Nel pomeriggio i giocatori avevano assistito a Torino, allo stadio “Benito Mussolini” (l’odierno Olimpico), alla finale di ritorno di Coppa Italia, vinta dalla Juventus contro il Torino. Dal giorno successivo si diede il via agli allenamenti al “Littorio”, che malgrado la denominazione imposta dal regime fascista per molti cuneesi era semplicemente lo stadio “Monviso”. Le sessioni, salvo rare eccezioni, si svolgevano a porte chiuse, ma decine di ragazzini si affollavano comunque arrampicandosi sui muri di cinta dello stadio per ammirare le gesta di Meazza, Piola e compagni. Come era sua consuetudine, anche a Cuneo Vittorio Pozzo - con trascorsi da tenente degli Alpini durante la Prima Guerra Mondiale - pretendeva dai suoi una disciplina di stampo militare e costringeva il gruppo a vita monastica, non senza lamentele da parte dei calciatori: praticamente vietate le libere uscite, poche le concessioni per quanto riguarda svago e divertimento, non più di qualche partita a carte in albergo e qualche momento di relax ascoltando la radio. Solo a Marsiglia, a Mondiale iniziato e dopo lunghe insistenze da parte della squadra, Meazza in testa, Pozzo concesse una puntata nel bordello cittadino, ma questa è un’altra storia.
 
Di quei giorni cuneesi ha parlato anche Giorgio Bocca, in un’intervista rilasciata ancora a “La Stampa” nel 2005, in occasione del centenario del Cuneo Calcio: “Per portare le valigie ai giocatori, noi giovani del Cuneo tardavamo ad andare ad allenarci. Li aspettavamo per vederli uscire dall’albergo vicino alla stazione, poi sbucavamo quando loro passavano e prendevamo le loro valigie fino al campo”, ha raccontato lo scrittore e giornalista scomparso nel 2011, calciatore della prima squadra biancorossa nella stagione 1938-1939. Anche Bocca, nei suoi ricordi, ha sottolineato la rigida disciplina pretesa da Pozzo: “Se ripenso ai raduni di quella nazionale nella mia città, a Cuneo, faccio fatica a credere in tanta modestia. La imponeva Vittorio Pozzo, un tipo di alpino e salesiano arrivato chissà come alla guida degli azzurri senza essere né un allenatore di professione né un burocrate dello sport, ma semplicemente un piemontese risorgimentale ciecamente convinto delle virtù piemontesi. Uno di quelli per cui la parola sacra è ‘ël travai’”. Il 12 maggio la formazione azzurra disputò la sua prima amichevole in terra cuneese contro una selezione di giocatori attinti dalle varie società della provincia. Il resoconto della sfida, su “La Stampa” del giorno successivo, è firmato da V.P., iniziali di Vittorio Pozzo. Non si tratta di un caso di omonimia: il Ct azzurro era infatti un giornalista e collaboratore del quotidiano torinese. La gara si disputò in tre tempi, due da 35 minuti e uno da 45, con risultato finale di 13-1 in favore degli azzurri. Un rotondo 11-0 arrivò poi in una successiva sfida contro il Cuneo, ma le fatiche sul rettangolo verde non erano gli unici impegni sull’agenda della truppa italiana in quei giorni. La mattina del 12 maggio, prima della citata partita, la delegazione azzurra si era infatti recata dapprima alla Casa del Littorio per deporre una corona di fiori sul sacrario dei Martiri fascisti, per poi dirigersi, accompagnata dal Podestà, di fronte al monumento ai caduti della Grande Guerra. Dopo la partita, invece, Piola e compagni furono invitati dal Comando della Divisione Alpina Cuneense ad incontrare il Battaglione del 2° Reggimento Alpini “Borgo San Dalmazzo”.
 
Per il secondo test l’Italia di Pozzo si trasferì invece a Milano: un doppio test, per la verità, quello in programma domenica 15 maggio, in cui il ct divise la squadra in due gruppi per affrontare rispettivamente Belgio e Lussemburgo. Risultati: due rotonde vittorie, per 6-1 contro il Belgio, per 4-0 contro il Lussemburgo, prima del rientro a Cuneo per proseguire con la preparazione. Una settimana più tardi, domenica 22 maggio, stavolta a Genova, una nuova doppia amichevole, stavolta contro la Jugoslavia e la Germania Sud Est, e altre due convincenti vittorie, con i punteggi di 4-0 e 5-2. Dopo questa doppia sfida Pozzo diramò la lista ufficiale dei 22 convocati per il Mondiale, questi i prescelti: Olivieri, Ceresoli, Masetti, Monzeglio, Foni, Genta, Rava, Serantoni, Andreoli, Locatelli, Perazzolo, Olmi, Donati, Biavati, Pasinati, Meazza, Piola, Bertoni, Ferrari, Ferraris, Chizzo, Colaussi.
 
La permanenza a Cuneo degli azzurri, malgrado gli ottimi risultati delle gare amichevoli, non fu però priva di difficoltà. In particolare, gli allenamenti furono spesso condizionati dal maltempo. Scrisse Pozzo su “La Stampa” di sabato 28 maggio, all’indomani della vittoria per 8-0 contro il Fanfulla al “Littorio”: “Decisamente il tempo non è favorevole agli azzurri. Quella che dapprima aveva l’aria di una strana combinazione, adesso prende l’aspetto di una vera esagerazione. Fatto sta che ogni volta che gli azzurri puntano fuori il capo dal loro ritiro per lavorare sulla palla, piove; quando essi organizzano un incontro di allenamento vero e proprio, allora l’acqua prende a cadere a catinelle. La cosa comincia a recare seriamente disturbo alla preparazione tecnica”. Nonostante la calorosa accoglienza della città, insomma, il soggiorno non fu sempre piacevole. Il 1° giugno del 1938 si disputò l’ultima gara amichevole a Cuneo prima della partenza della squadra verso la Francia. Ad affrontare gli azzurri fu la Sanremese: 13-1 il punteggio alla fine dei tre tempi. Sugli spalti, riportano le cronache dell’epoca, oltre 2 mila persone, accorse da ogni angolo della provincia per salutare gli azzurri, alla loro ultima esibizione in Granda prima della spedizione mondiale.
 
Un Mondiale per certi versi anomalo, quello del 1938, che già risentiva dei nefasti venti di guerra che avrebbero devastato l’Europa e il mondo negli anni a venire: la guerra civile in Spagna aveva tolto di mezzo una delle favorite, a marzo l’Anschluss aveva prodotto un altro forfait, quello dell’Austria. Alfio Caruso, nel suo “Un secolo azzurro” (Longanesi, 2013), riporta il laconico telegramma inviato da Vienna all’organizzazione del torneo: “Spiacenti disdire iscrizione campionato mondiale. Motivo: la Federazione calcistica austriaca non esiste più”. Mancavano anche Argentina e Uruguay: la prima indispettita per non aver ottenuto l’organizzazione del torneo, il secondo per i rifiuti ricevuti da nazione ospitante otto anni prima, nel primo Mondiale della storia. In più, restò a casa l’Inghilterra, che, come avrebbe fatto fino al 1950, altezzosamente declinò l’invito ritenendo le altre nazionali “non degne” di confrontarsi con chi aveva inventato il gioco. Insomma, anche allora le polemiche intorno al pallone non mancavano. Il 3 giugno la delegazione azzurra salutò Cuneo e si diresse verso Marsiglia, sede della prima partita contro la Norvegia. All’arrivo Pozzo e i suoi ragazzi furono accolti da 3 mila antifascisti inferociti, sia italiani che francesi: solo grazie al consistente spiegamento di Polizia riuscirono a raggiungere l’albergo, ma di questo sui giornali italiani - come di consueto in quell’epoca - nulla fu riferito. Il clima ostile sarebbe stato una costante in quasi tutti gli stadi per gli azzurri durante il Mondiale francese: la nazionale era considerata l’emblema del regime fascista, i giocatori “servi” che si prestavano ad essere sfruttati dalla dittatura. Pressioni e contestazioni che però non intaccarono il morale e le prestazioni della nazionale italiana: al contrario Pozzo - abilissimo motivatore - le sfruttò a suo favore per compattare il gruppo conducendolo verso l'obiettivo. Al ritorno in Italia, sul treno che riportò gli azzurri in patria e che arrivò a Torino Porta Nuova alle ore 7 del 21 giugno, c’era anche la Coppa del Mondo. Vittorio Pozzo sarebbe poi tornato nella Granda meno di un anno dopo, il 31 marzo 1939, per una conferenza organizzata dalla sezione provinciale dell’Istituto di Cultura Fascista presso il Teatro Littorio, l’attuale Cinema Monviso: un’occasione per ripercorrere il cammino trionfale del 1938 e quell’impresa costruita - in parte - anche a Cuneo.
 

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