CUNEO - Quando la regina del thriller teneva salotto a Cuneo: la storia di Carolina Invernizio

Fu la prima donna a conquistare le classifiche letterarie e morì in via Barbaroux, dove una targa la ricorda. Detestata dai critici, è stata rivalutata solo di recente

Andrea Cascioli 09/01/2022 12:22

Cent’anni prima di Elena Ferrante, la letteratura femminile in Italia conosceva una sola indiscussa regina: Carolina Invernizio. Nell’anno appena trascorso cadeva il 170esimo anniversario dalla nascita della scrittrice, morta 105 anni fa a Cuneo nella sua abitazione di via Barbaroux al civico 3.
 
Qui una targa murata sulla facciata la ricorda come colei che il 27 novembre 1916 “chiuse l’operosa esistenza fra il signorile salotto e i romanzeschi fantasmi”. Amata in vita da centinaia di migliaia di lettrici, la Invernizio si costruì una tale fama da venire tradotta perfino in yiddish e in cinese. In America del Nord e del Sud era adorata da folle di emigranti italiani che ne attendevano le nuove pubblicazioni, imballate in enormi casse e spedite via mare: un gruppo di lettori, in California, si tassò per regalarle una penna d’oro. Un omaggio analogo le venne dal primo direttore del prestigioso Metropolitan Museum di New York, il conte Luigi Palma di Cesnola.
 
Figlia di un funzionario delle imposte piemontese, Carolina era nata a Voghera il 28 marzo 1851. Visse perlopiù tra Firenze e Torino, spostandosi a Cuneo nel 1914 per seguire il marito colonnello Marcello Quinterno, originario di Govone, nominato comandante del distretto militare. Nel capoluogo della Granda avrà tempo di dar vita a un salotto animato dalle signore della migliore borghesia (tra loro Alice Schanzer, poetessa e saggista, madre di Duccio Galimberti), prima di spegnersi per una broncopolmonite. Da adolescente, in tempi poco clementi con le donne in cerca di affermazione intellettuale, la pubblicazione di alcune novelle su un giornalino scolastico le era costata l’espulsione dal collegio fiorentino che frequentava. Malgrado lo scandalo la bionda e bella Carolina non abbandonò la sua precoce vocazione: nel 1877 si presentò ad Adriano Salani con il manoscritto di Rina, o l’angelo delle Alpi. Fu un successo clamoroso che la rese la firma di punta della casa editrice, con romanzi come L’orfana del ghetto e Il bacio d’una morta, considerato il suo capolavoro e trasposto in quattro diversi film.
 
 
Amata dalle lettrici, disprezzata dai critici: una pioniera dell’emancipazione
 
Nonostante il clamore editoriale l’autrice, animata da autentica passione per la scrittura, non si curò mai dei compensi: le prime uscite le fruttavano 100 lire per libro che divennero 1000 per i maggiori successi, tanto che lo stesso Salani le riservava regali affettuosi a ogni Natale per sdebitarsi. Alla morte di Adriano, mentore e amico di Carolina, gli succederà il figlio Ettore e poi il nipote Mario. Quest’ultimo in preda a una crisi religiosa disconoscerà colei che aveva trainato le sorti dell’azienda di famiglia, distruggendo le matrici tipografiche dei suoi romanzi nel 1937. Ancora nel dopoguerra, tuttavia, l’editore torinese Finucci ristamperà i titoli più famosi inviando ben 40mila copie nei soli Stati Uniti. Oggi il nome di Carolina Invernizio è dimenticato dai più e menzionato nelle cronache come sinonimo di letteratura dozzinale, dalla prosa languida e un po’ ingenua. La signora del feuilleton fu in effetti autrice prolifica di un centinaio di romanzi dove si intrecciavano amori e delitti in un turbine di morti apparenti seguite da resurrezioni, tradimenti, ravvedimenti e colpi di scena d’ogni genere. Unendo gli spunti raccolti dalla cronaca nera a un indubbio gusto per la narrazione, la scrittrice faceva palpitare i cuori delle damine e inorridire il bel mondo delle lettere. Lei, dal canto suo, ci scherzava sopra rispondendo alle perfidie di chi l’appellava “Carolina di Servizio”: “Dei critici ho una allegra vendetta. Ché le mie appassionate lettrici e amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle”. Sulla sua fama aleggia tuttora il giudizio con cui Antonio Gramsci la definì “l’onesta gallina della letteratura popolare”. Eppure anche all’epoca c’era chi ne riconosceva i meriti, come lo scrittore Giovanni Papini che l’aveva paragonata alla ben più quotata Matilde Serao. Carolina, amica e ammiratrice di quest’ultima, ebbe a dirle con modestia: “Tu scrivi per i letterati, io per le cameriere”.
 
Al di là del giudizio letterario, il personaggio mantiene un posto d’onore nella storia dell’emancipazione femminile per essere stata la prima donna a conquistare le classifiche dei romanzi in Italia. Nei suoi racconti le protagoniste sono “sventurate” che tuttavia si dimostrano ben più forti e determinate delle ambigue figure maschili messe come contraltare. Come nel caso di Nina la poliziotta dilettante, ripubblicato da poco con una prefazione della giallista Alessia Gazzola: operaia fidanzata con un conte, dopo l’omicidio dell’innamorato Nina si mette da sola sulle tracce dell’assassino per avere giustizia. Nemmeno sono estranei alla prosa inverniziana i temi sociali: a fronte di titoli come Vendetta di un operaio ci fu addirittura chi sospettò la cattolicissima madrina del thriller di simpatie anarchiche o socialisteggianti. Cinquant’anni dopo la morte il giornalista Carlo Casalegno ne riabilitò l’eredità in un suo pezzo su La Stampa, dove notava fra l’altro: “Nella sua opera improvvisata e ‘commerciale’ si riflettono, come nelle favole di Emilio Salgari, le correnti letterarie ed i dibattiti politici e sociali del suo tempo: l’ultimo romanticismo e il romanzo verista, l’esotismo e le battaglie operaie, il socialismo umanitario nella Torino di Arturo Graf e perfino pallide ombre del mondo dannunziano”. In tempi più recenti, tra gli insospettabili ammiratori del “bovarismo provinciale” della Invernizio si annovereranno intellettuali come Umberto Eco, Alberto Arbasino e l’attore Paolo Poli, autore di umoristiche riletture radiofoniche e teatrali della sua opera.
 
 
Il romanzo cuneese di Carolina Invernizio, una storia incompiuta
 
Quanto a Cuneo, la città accolse con deferenza la moglie dell’ufficiale dei bersaglieri e con diffidenza la scrittrice dalla fama libertina. Salvo rendersi subito conto che la signora era quanto di più lontano dalle sue sensuali eroine si potesse immaginare: madre e moglie devota, scriveva soltanto al mattino per poter dedicare alla casa e a sua figlia Marcella il resto della giornata. Nel 1916 la sua morte improvvisa suscitò la commozione del popolo e delle autorità, a cominciare dal sindaco Luigi Fresia e dai parlamentari Marcello Soleri e Tancredi Galimberti. Nell’edizione di giovedì 30 novembre La Sentinella delle Alpi darà conto dell’“imponente corteo” partito da via Barbaroux verso piazza Vittorio Emanuele: dopo la benedizione di monsignor Bergia in cattedrale il feretro prosegue su via Roma e viene quindi trasportato a Torino per la tumulazione. Seguono, anche qui, lunghi anni di oblio. A interromperli nel 1976 è la proposta di intitolazione di una strada avanzata dal consigliere socialista Gianfranco Ferro: ricordando come moltissime donne avessero imparato a leggere sui libri della Invernizio, il dottor Ferro ottenne che alla memoria della scrittrice venisse dedicata una strada nel nuovo quartiere Cuneo 2. Pochi anni dopo, nel 1983, Cuneo sarà sede di un convegno nazionale con interventi, tra gli altri, di Guido Davico Bonino, Folco Portinari, Marziano Guglielminetti e numerosi studiosi di primo piano.
 
Ai cuneesi resta tuttavia un rimpianto: quello di non aver potuto leggere l’ultimo romanzo al quale la Invernizio lavorava prima della morte. “Voglio fare delle impressioni della vita cittadina, della vita che vedo tutti i giorni e l’intitolerò Sotto i portici” aveva confidato al quotidiano locale La Sentinella delle Alpi. Sarebbe stato un documento straordinario sulla Cuneo del primo Novecento da parte di una protagonista della letteratura italiana che la città tra Gesso e Stura aveva adottato, al pari di Edmondo de Amicis oltre sessant’anni prima, guadagnandone l’affetto e la riconoscenza.

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