CUNEO - Quei piemontesi emigrati in Argentina che mantengono viva la storia del Piemonte

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento tanti furono quelli che lasciarono l’Italia (e la Granda) alla ricerca di una vita migliore. Mauricio, giovane argentino con origini cuneesi, racconta la storia della sua famiglia

La famiglia Sasia

Micol Maccario 05/07/2023 07:56

Un pezzo di cuore del Piemonte arde vivo in Argentina, in particolare nelle province di Córdoba, La Pampa, Santa Fe, Entre Ríos. Non è necessario andare tanto indietro nel tempo per scoprire la storia di chi abita oggi molti questi luoghi.
 
Tra gli anni ’70 e ’80 dell’800 il governo argentino diffuse una legge che incentivava l’immigrazione, in particolare quella degli agricoltori. L’obiettivo era cercare di trasformare le aree incolte in zone produttive; quindi, iniziò a vendere le terre a prezzi molto vantaggiosi.
 
Tanti furono gli italiani a partire, come narra Edmondo de Amicis nel racconto “Dagli Appennini alle Ande” contenuto in “Cuore”, la sua opera più nota. Anche Nuto Revelli ne parla nel suo libro “Il mondo dei vinti”. “Ci siamo presentati all’emigrazione in treno siamo andati nella Pampa a Montemiele, c’erano tanti italiani, tutti contadini. Per noi l’America era come l’Italia”, scriveva Revelli parlando di Giovanni Forzano, partito da Margarita nel 1913, all’età di 26 anni. Tra chi cercò una vita migliore Oltreoceano c’erano liguri, lombardi, ma anche un’elevata percentuale di piemontesi.
 
Molti dei contadini che arrivarono in Argentina non erano scolarizzati, non conoscevano l’italiano, parlavano solo il piemontese. Con il passare degli anni, quella lingua è diventata parte integrante di un luogo nuovo, lontano migliaia di chilometri da dove aveva avuto origine molti anni prima. 
 
Non sono disponibili censimenti sul numero attuale di parlanti, ma quello che è certo è che per chi vive in quelle zone il Piemonte ha un valore. Ad esempio, la facoltà di lingue dell’ateneo di Córdoba organizza ogni anno corsi di lingua piemontese suddivisi in base al livello di conoscenza dell’idioma. Facendo una rapida ricerca su Google è possibile notare che in Piemonte esiste un unico laboratorio promosso dall’università di Torino. Inoltre, mumerose sono le organizzazioni di piemontesi in Argentina, riunite sotto la FAPA (Federación de Asociaciones Piemontesas de Argentina).
 
Córdoba è una delle province in cui il numero di persone con antenati piemontesi è più numeroso. La città di San Francisco, con i suoi circa 60mila abitanti, è il cuore di questa comunità. E conserva integre le tradizioni della nostra storia, dalla cucina ai canti piemontesi. In un parco, inoltre, è presente la struttura in scala del simbolo architettonico per eccellenza del Piemonte - la Mole Antonelliana - e il Monumento all’Emigrante Piemontese, che raffigura in otto stelle le province della regione. Per non parlare dei cognomi degli abitanti della zona: tra i molti ci sono i noti Miroglio, Pautasso, Berruti.
 
A 230 chilometri di distanza, sempre nella provincia di Córdoba, c’è Oncativo, una cittadina di circa 13mila abitanti. “I miei bisnonni erano di Envie, un piccolo comune della valle Po”, spiega Mauricio Sasia. Quella che racconta Mauricio è la storia di chi ha deciso di andare via per cercare lavoro e un futuro migliore, un domani che offrisse qualche possibilità in più alle generazioni successive.
 
Sono arrivati al porto di Buenos Aires, in Argentina, il 19 ottobre 1889. Sono andati a vivere in campagna, nel piccolo paesino di Soledad, in Santa Fe, ma poi si sono trasferiti subito nella zona di Córdoba, a Las Junturas”, spiega: “Poi i miei bisnonni sono morti, mio nonno e mia nonna con i loro figli hanno sempre fatto i contadini. Mio papà si è sposato con mia mamma, anche lei piemontese e dal matrimonio siamo nati io e le mie due sorelle Laura e Isabel”.
  
Mauricio ricorda che fin da piccolo i nonni e i genitori hanno sempre parlato in piemontese: “Siamo molti piemontesi qui, non solo a Córdoba, ma anche nelle zone di Santa Fe, Entre Río, Mendoza, La Pampa. Mi piacerebbe tanto andare in Piemonte per conoscere i luoghi in cui sono vissuti i miei bisnonni e per trovare altri parenti”.
 
La sua storia è quella di tante famiglie di quegli anni, piemontesi arrivati dal Cuneese, Torinese, Novarese. Di persone che hanno deciso di lasciare la propria terra perché l’ignoto spesso era comunque meglio di ciò che avevano qua. “L’emigrazione era l’unica via di scampo, l’unica strada della speranza, l’unica scelta di civiltà di cui il contadino povero disponeva”, scriveva Nuto Revelli. Oltre alla speranza, con loro hanno portato la storia del Piemonte, la storia di una lingua che qui sembra sparire, ma che paradossalmente forse dall’altra parte del mondo riuscirà a sopravvivere.

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