CUNEO - Un documentario che “dà voce a chi non ha voce”

A bordo di “Aspra” per girare un videoclip e raccontare il CoroMoro, il coro di richiedenti asilo africani che cantano in piemontese. Menzione speciale al Potenza Film Festival per Andrea Fantino

Francesca Barbero 22/01/2023 09:10

Menzione speciale al "Potenza Film Festival" a "La voce di chi non ha voce" dell'antropologo culturale e regista documentarista Andrea Fantino. Andrea, classe 1983, originario di Roccavione, membro del collettivo "Zaratan" che ha coprodotto il film, è salito a bordo della barca a vela "Aspra" per realizzare il videoclip di "Welcome Refugees". Una canzone scritta dal CoroMoro, il coro di richiedenti asilo africani formatosi nelle valli di Lanzo, noto per cantare in dialetto piemontese, insieme al cantautore valdostano Alberto Visconti, che racconta il viaggio dei migranti nel Mediterraneo e lo sbarco in Italia. Un documentario che dà voce al CoroMoro e alla sua storia di arte, musica e integrazione. Fantino attualmente sta lavorando, insieme a Andrea Ceraso, alle riprese de "L'Isolato", documentario che vuole analizzare e raccontare le trasformazioni e la multiculturalità della zona intorno a piazzale della Libertà.
 
Come è stato salire in barca a vela con i ragazzi richiedenti asilo?
“Non vedevo l’ora di salire su una barca a vela, è stata la mia prima volta in assoluto. Sapevo di non soffrire il mal di mare, e questo era un buon punto di partenza. Mi è piaciuto molto navigare, e al di là di tutto, devo ringraziare il progetto 'ARTatSEA' per avermi coinvolto. L’idea di accompagnare i ragazzi al largo del Mediterraneo, di quel mare che avevano attraversato con imbarcazioni di fortuna, uscendone come veri sopravvissuti... mi inquietava un poco. Non sapevo bene quali potessero essere le loro reazioni, quali ricordi o quali sensazioni potessero venire a galla. Sapevo però che questi ragazzi hanno vissuto un percorso di integrazione speciale: grazie all’arte e agli incontri con il pubblico sono riusciti ad elaborare al meglio le loro emozioni, il loro vissuto. Le interviste del documentario sono lì a provarcelo: possono anche avere idee diverse tra di loro, ma c’è una determinazione e una convinzione che di questi tempi sta diventando merce rara. Se avevano scelto di salire a bordo di quella nave una ragione c’era, e a me bastava quella per lavorare
con loro".
 
"La voce di chi non ha voce". Il titolo del documentario si riferisce all'assenza nel dibattito pubblico della voce dei migranti. Tematica scottante e scomoda, quella della migrazione, spesso strumentalizzata da media, giornali e politici. A volte anche da associazioni o da alcuni antropologi. Sembra non ci sia lo spazio e la volontà di ascoltare chi ha attraversato il Mediterraneo, rischiando la vita. Il diverso, quello che non si conosce a molti fa paura. Perché significa fare i conti con se stessi e con quello che siamo?
"Il CoroMoro apre i suoi concerti dicendo 'Noi siamo il CoroMoro. Noi siamo la voce di chi non ha voce'. È un’affermazione politica, ed è una bellissima introduzione alle loro performance musicali, in uno spettacolo che fa commuovere ma anche divertire, e non poco. Credo che tu abbia centrato il punto, comunque. La questione è quella dell’alterità. L’uomo, ieri come oggi, fatica a relazionarsi con l’alterità culturale in un modo sano, costruttivo, libero da pregiudizi. Io sono sempre stato molto attratto dal diverso e non è un caso che mi sia formato come antropologo. Si fatica ad entrare in relazione con l’altro, lo si pensa sempre un poco minaccioso. La minaccia in realtà è solo una: affrontare la possibilità che esistano altri percorsi di vita ed esistenziali distanti anni luce dai nostri. Come riuscire ad accettare che il nostro modello di vita, sociale e culturale, non sia il migliore e l’unico possibile? Come accettare che anche altri modelli di vita abbiano la stessa dignità e la stessa rilevanza del nostro? Siamo così fragili e precari come esseri umani che non possiamo che inquietarci di fronte alla diversità? A questa domanda il CoroMoro risponde con una sorta di shock: non solo mi interessa la tua cultura, ma la faccio mia, e canto in dialetto, la lingua più vicina alle tue corde emotive, la tua lingua madre, quella con cui sei cresciuto, quella con cui ti cantavano la ninna nanna. Non è un caso che alcuni spettatori si siano avvicinati al Coro e abbiano confessato 'Io una volta ero razzista. Poi ho ascoltato voi e non lo sono più'. Questa è la potenza dell’arte".
 
La navigazione è iniziata per realizzare il video della canzone "Welcome Refugees", scritta insieme al cantautore Alberto Visconti (voce de L'Orage) che racconta il viaggio e l'approdo.
"Alberto è un caro amico dai tempi dell’università. Ricordo che andavo ai suoi concerti, solo chitarra e voce. Voleva fare la rockstar, il suo era sì un sogno, ma anche un progetto, e così è stato, perché con la sua band L’Orage ha veramente calcato palchi importanti. È un grande cantautore, uno che scrive con una facilità disarmante. Quando mi ha chiamato dicendo che era stato coinvolto in un progetto con il CoroMoro e che avevano bisogno di un videoclip ero veramente contento. Hanno scritto una canzone insieme, è una canzone che racconta il viaggio e le loro difficoltà, e la barca e il mare erano elementi centrali del videoclip, che abbiamo sviluppato dal punto di vista visivo con la complicità di Yalmar Destefanis (fotografia e color correction) e dal punto di vista sonoro con la collaborazione di Massimo Deidda. 'Welcome Refugees' tra l’altro ha anche vinto il Sanrito 2021, mica male come esordio! Il testo racconta le diffidenze e gli ostacoli incontrati, ma anche la tenacia e la forza necessaria per superare ogni muro:'schiacciati e ripudiati da chi non ci
conosce, ma protegge il suo timore con un muro che non ci fermerà'".
 
Il tuo sguardo ha saputo vedere e restituire il significato più profondo della musica, centrale in questa storia, che è quello di essere un linguaggio universale e emozionale che supera barriere e confini. Nella prima scena in cui il coro canta e, a un certo punto, non fai più caso al fatto che sono ragazzi di colore a cantare in piemontese. Una scena che supera tutte le banalità di qualsiasi frase fatta.
"Si anche io credo che la musica sia un vero linguaggio universale che dovremmo cercare di 'sfruttare' di più. Sono anche convinto che il CoroMoro sia diventato involontariamente anche un alfiere della diversità linguistica: ricordiamoci che le varietà dialettali, le lingue senza nazioni, le cosiddette lingue madri sono spesso in pericolo, rischiano di scomparire. A noi il dovere di promuovere queste forme linguistiche che hanno la dignità di ogni lingua per così dire 'maggioritaria' o 'ufficiale'. È un discorso che mi appassiona molto, da sempre ma sicuramente da quando ho preso a cuore un festival della diversità linguistica, dedicato alle scritture in lingua madre: il Premio Ostana".
 
Emerge anche l'aspetto della musica come cura. Ad esempio nelle parole di un richiedente asilo che definisce il Coro Moro come "un coro nato tra amici semplicemente per divertirsi, per non pensare ai momenti tristi vissuti e dimenticare il viaggio". Musica e arte hanno il potere di sanare le ferite e di favorire l'incontro e lo scambio.
"Si è vero, e non è un caso che la musicoterapia si stia diffondendo sempre più. Ognuno di noi sperimenta poi questo potere taumaturgico ogni qualvolta è un po’ giù e decide di ascoltarsi un particolare genere musicale, o un pezzo musicale che ci rimanda immediatamente ad altri momenti, diciamo più 'felici'. In poco tempo si creano dei circuiti neuronali inevitabili, e le nostre emozioni cambiano. Certamente è una questione di chimica, ma tocca a noi costruire le condizioni affinché la musica possa essere veramente salutare. Il CoroMoro ha un repertorio di musica e canti popolari e non è un caso che i coristi riuscissero ad allontanare da sé certi ricordi. Sono musiche che si vivono negli spazi pubblici, che prevedono uno scambio, la creazione di un contesto conviviale: da questo punto di vista Luca Baraldo e Laura Castelli sono stati determinanti nella formazione del CoroMoro".
 
Il mare, insieme alla barca, è il simbolo di quel viaggio individuale e collettivo affrontato da ciascun migrante per cercare di cambiare la propria esistenza. Un mare che può essere una trappola portatrice di morte, un cimitero ma anche culla accogliente di sogni,speranze e libertà, due aspetti che riesci a rendere molto bene anche nelle immagini e suoni dell'acqua.
"Il mare è stato e continua ad essere (grazie a politiche scellerate) un luogo di morte. Ma, come evidenziano gli amici di "ARTatSEA", il mare può essere 'messaggero di arte, integrazione, bellezza sociale'. Ho provato a restituire questa duplice dimensione. Da una parte la canzone 'Mare di Sicilia', dove si racconta di un mare traditore, ed i coristi sono come presi da degli incubi notturni e continuano a rigirarsi nei loro letti. L’acqua nel film è poi elemento in cui ci si ritrova immersi, grazie a delle riprese con GoPro, e dà un senso di 'soffocamento'. Dall’altra ho cercato di esprimere quel senso di libertà che ti può dare il mare aperto, l’orizzonte, la navigazione a vele spiegate. Quando il vento ti scompiglia i capelli e hai il sole che ti bacia, l’odore di sale e il rumore delle onde che sbattono contro i fianchi della nave... tutto è possibile! Si è subito esploratori, vacanzieri, pirati, anime in viaggio”.
 
Anche a Cuneo ci sono parecchie storie di migrazioni e traversate del Mediterraneo. Come procede il documentario sull’Isolato, la zona intorno alla stazione, spesso sotto i riflettori per episodi di criminalità, che tu e Andrea Ceraso volete raccontare? Il vostro crowdfunding aveva avuto grande successo.
"La nostra campagna di crowdfunding ha avuto un grande successo perché avevamo un team eccezionale che includeva Amina Marini e Giulia Marro. Oggi continuano le riprese, abbiamo deciso di dedicare più tempo a questa fase, perché solo con il tempo si possono riconoscere e raccontare le trasformazioni sociali dell’Isolato. Sappiamo che è uno dei luoghi più frequentati dai migranti che vivono attorno a Cuneo. È un luogo denso di multiculturalità ma che fa i conti con tante difficoltà. Le esistenze dei migranti possono diventare, date complesse vicende burocratiche e sociali, esistenze ai margini, precarie, drammatiche, e spesso criminali. Non è facile raccontarle, data anche la loro grande mobilità”.

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