CUNEO - Nella tana dei Ghepardi

Quando ti guardo: su Spotify la prima canzone del nuovo progetto musicale di Stefano Seghesio e Michele Piovano, registrata e prodotta al Mana's Diner Studio di Paolo Bertazzoli

Francesca Barbero 29/01/2023 12:15

Un'estate degli anni 2000 nella provincia cuneese - un paesino in collina, nella Val Mongia - e una festa di ragazzi sui vent'anni (chi fa lo studente universitario fuori sede, chi già lavora, chi non sa che fare della propria esistenza e forse mai lo saprà), una di quelle feste dove l'alcol scorre a fiumi e la maggior parte dei presenti ha solo voglia di spaccarsi e non pensare ai problemi. Non importa di quale natura essi siano. L'importante è non pensare. E poi un balcone, quel balcone, in legno: è lì che ho conosciuto i Ghepardi. Negli anni in cui Stefano Seghesio e Michele Piovano non sapevano ancora di esserlo, anche se tendevano a muoversi già in coppia e a passo felino, e suonavano nei Litio, la loro vecchia band, insieme a Francesco Torelli, Marco Barberis e Stefano Cepu Ferrero. A notte fonda, una notte di quelle dove si vedono le stelle, nella piccola frazione della Val Mongia, risuonava una canzone degli Afterhours insieme a "Manuel sei un figo", frase urlata con convinzione da chi scrive, all'epoca una giovane ragazza che, chiaramente, di Manuel Agnelli, e degli Afterhours, non amava soltanto la musica. È questo il ricordo più nitido e indelebile che abita ancora la mia mente se ripenso a quella festa. Le tracce di altri momenti sono disperse nei cassetti della memoria. Il tempo passa, banale verità che si ama affermare quando superi i trent'anni, e in effetti è passato. È così che le cose vanno: Stefano e Michele sono diventati i Ghepardi,  chi scrive non sa ancora bene che fare della propria esistenza e Manuel Agnelli è sempre un figo (forse è questa l'unica certezza). Ho rincontrato Stefano e Michele in questi anni ma non siamo mai stati amici nonostante le ottime premesse. Quando lo scorso inverno li ho visti esibirsi live nel loro nuovo progetto, ho deciso che avrei voluto intervistarli. L'occasione si è presentata con l'uscita di Quando ti guardo, canzone registrata e prodotta da Paolo Bertazzoli al Mana's Diner Studio, uscita sabato su Spotify. Così, un giovedì di gennaio, sono entrata nella loro tana, a Mondovì: una stanza con funzione di sala prove, nell'appartamento dove Michele vive con la sua compagna. Una piccola stanzetta dalle pareti azzurre: al suo interno la postazione con le drum machine e i synth di Michele, un tavolo dal vetro trasparente che mostra alcuni cimeli dei Litio, un divanetto con un posto occupato da una chitarra acustica, eredità di Francesco, e uno libero, dove mi accomodo quando non sono in piedi per scattare qualche fotografia o per osservare la vita che scorre fuori dalla finestra affacciata su una stradina di Breo. Uno scaffale con manuali di letteratura e di concorsi statali afferma prepotentemente che non sono nella cameretta di due ragazzini adolescenti o poco più grandi. È in questa stanza di pochi metri quadri che facciamo la nostra chiacchierata. Non prima che i Ghepardi mi abbiano fatto ascoltare  Quando ti guardo e altri pezzi della loro scaletta, nell'intimità di quelle pareti. Momenti che, grazie all'intervista e alle fotografie, questa volta resteranno nitidi nel tempo.
 
Roar, chi sono i Ghepardi?
Stefano:"I Ghepardi sono felini in via d'estinzione..."
Michele: "...e provano a scrivere una buona canzone".
 
E che cos'è una buona canzone?
Stefano: "Penso che una buona canzone, quando e se lo è, alla fine sia una canzone pop, nel senso di popolare. Non importa se ha una veste folk, elettronica o rock perché ha comunque una melodia riconoscibile, un buon testo e, solitamente, un buon ritornello o qualcosa che gli assomiglia".
Michele: " Ci sono tanti pezzi che diventano pop anche se hanno suoni sporchi e cattivi, dai Metallica ai Nine Inch Nails. Nel momento in cui ha una melodia, il ritornello e la strofa, una canzone diventa pop nel vero senso di popular: diventa qualcosa di riconoscibile e cantabile".
 
Come scrivete una buona canzone?
Michele: "É Stefano che scrive tutte le canzoni. Scrive il pezzo, lo registra e poi me lo manda su Whatsapp. L'ha sempre fatto, da quando suonavamo nei Litio e utilizzava un piccolo registratore perché non c'era ancora Whatsapp. Poi, io mi metto qui, nella stanza dove proviamo, con i miei synth e le mie drum machine e cerco di programmare delle cose e fare degli arrangiamenti che possano funzionare. E quando ci troviamo gli faccio sentire il risultato e ci lavoriamo su".
Stefano: "Quando proviamo tutte le volte le versioni cambiano leggermente, come se lentamente si avvicinassero al nucleo, a come dev'essere la canzone. É l'aspetto più bello del lavoro che c'è dietro ai pezzi".
 
Arriva prima la musica o arrivano prima le parole?
Stefano: "Arrivano insieme. Ci sono le grandi scuole di pensiero sulla scrittura delle canzoni, che stabiliscono le loro teorie -i miei numi tutelari sono Leonard Cohen, Bob Dylan, John Lennon, Battisti e Mogol- ma io non sono mai riuscito a chiudere nessuna canzone che partisse dal testo e davvero rarissime volte partendo da un giro di chitarra. Per me, la cosa più semplice e spontanea è fare le due cose insieme".
Michele: "Con i Litio, Stefano scriveva tantissimi pezzi perché c'era una frenesia e un'urgenza diversa ma ora le canzoni, al di là che piacciano o meno, hanno una completezza che prima non c'era. Ed è il motivo per cui ho insistito perché tornassimo a suonare insieme: mi dispiaceva che le canzoni che stava scrivendo, e che mi inviava, non vedessero la luce".
Stefano: "Sì, allora era diverso l'approccio ed era legato a una mia nevrosi, a una mia paura. Pensavo che se dopo un pezzo non ne avessi scritto subito un altro, beh, allora non ne avrei più scritti nella mia vita: tutto doveva andare veloce così almeno avrei sempre scritto il successivo. Il 2021 è stato un anno terapeutico perché non ho toccato la chitarra, se non per fare qualche cover alle cene con gli amici, e il mio approccio è cambiato. Per un anno non ho scritto nulla e non mi sono spaventato, la cosa mi ha permesso di migliorare molto".
Michele: "Finalmente i pezzi respirano e posso fargli notare se manca qualcosa. Una volta, quando lo facevo si incazzava e buttava via tutto per via di una nevrosi che, oggi, non c'è più".
 
Quando ti guardo è una buona canzone. E parla di amore..
Michele: "Grazie. Racchiude anche il lavoro, e il talento, di Paolo Bertazzoli del Mana's Diner Studio dove la canzone è stata registrata e prodotta. 'Pillo', che ha curato i campionamenti e suonato i sintetizzatori è un professionista che unisce capacità tecnica a un ottimo gusto per il pop, e ha saputo trasmettere queste qualità nel pezzo".
Stefano: "É una canzone sentimentale che parla di qualcuno che fa parte della tua vita in modo preponderante e di come il solo fatto che questa persona ci sia ti tranquillizza, ti migliora le cose, ti fa stare meglio. Una cosa che ti riscalda anche nel freddo, nelle difficoltà e nei momenti del cavolo da attraversare perché il voler bene a qualcuno, e sapere di essere ricambiati, è una fortuna enorme. Sicuramente le immagini del testo sono più efficaci di qualsiasi spiegazione banalista che posso dare ora".
Michele: "Nel testo c'è una crescita dell'io lirico che si stupisce quando nel guardare quella persona si sente così calmo, così bene. Una canzone d'amore e sulla tranquillità dell'animo, potremmo definirla così".
 
I Ghepardi si muovono in coppia o a piccoli gruppi (gli esemplari maschili non sono solitari come altri felini), fanno le fusa (come puma, ocelot, lince e gatto domestico) e corrono veloce. Come vi siete conosciuti?
Stefano: "All'asilo, che io ho frequentato per  pochissimo tempo e dove Michele era il capo. Sono quasi trent'anni che ci conosciamo".
Michele: "Ventotto, per la precisione. Dopo l'asilo ci siamo ritrovati alle elementari e poi abbiamo fatto anche tutte le scuole medie insieme".
Stefano: "Praticamente abbiamo passato tutta la vita insieme...ed ora eccoci qui".
 
Ma non è solo l'amicizia che vi lega.
Stefano: "Sì, al di là del nostro rapporto fraterno, come dicevamo c'è  il discorso musicale legato ai Litio. È lì che abbiamo iniziato a suonare insieme fino al loro scioglimento, nel 2018. Io sono entrato nella band a 14 anni, cantavo e suonavo il basso, mentre Michele, che è arrivato quando ne aveva 17, la batteria".
 
E dopo i Litio, siete diventati i Ghepardi.
Stefano: "Dopo lo scioglimento dei Litio, ho suonato per un anno in giro, chitarra e voce, ma, poi, con l'arrivo della pandemia ho smesso di suonare e, onestamente, non sapevo nemmeno se avrei ancora suonato, né come".
Michele: "Io invece gli rompevo le scatole e ho insistito per anni perché ricominciassimo a suonare. In fondo, è innegabile che lo scioglimento della band per noi sia stato un grosso lutto. Abbiamo fatto alcuni tentativi con chitarra, voce e batteria ma era una formula che non funzionava. Poi a novembre 2021, ci siamo ritrovati in sala prove soltanto con la chitarra acustica di Ste e una tastierina ed è lì che ha preso vita l'idea definita del progetto. É più di un anno che proviamo e abbiamo voglia di suonare e portare in giro le nostre canzoni e lo vogliamo fare bene, al massimo, e con la calma necessaria, sapendo che nessuno ce lo chiede ma che ce lo stiamo chiedendo io e lui".
 
Insomma, siete cresciuti.
Stefano: "Inevitabilmente è anche un discorso anagrafico perché è ovvio che a vent'anni, se hai una band, cerchi di fare più concerti possibili, di stare in giro, di farti ascoltare e di vivere una serie di esperienze che a quell'età è giusto fare. Se penso ai miei vent'anni, al furgone, alle notti e alle albe... beh, sono stati fighissimi".
Michele: "Sì, con le soddisfazioni e le incazzature, gioie e dolori, e tutto il pacchetto completo. Una dimensione bellissima che, per noi, non ha più senso ricercare. A vent'anni davi per scontato che avresti suonato e che la band sarebbe andata avanti ma poi ti ritrovi a non suonare più e ti rendi conto che, al di là dell'avere un sogno e di condividere i palchi e i viaggi in furgone, era bello anche il fatto di creare. Altrimenti la vita diventa uno schema abbastanza semplice fatto di tot. ore lavorative, tot. ore per il tempo libero, tot. ore per la spesa etc. I presupposti per ricominciare sono diversi ma quella voglia di creare resta".
 
Dicono che avere una band è come essere in una relazione. Ora che siete in due, il vostro è un matrimonio?
Risate (n.d.r.)
Michele: "In realtà la nostra storia è questa: avevamo già una relazione pre band, finita poi in una relazione più grande. Ma in verità non è mai finita nemmeno quando eravamo all'interno di quella dinamica perché, nella band, le alleanze erano già ben delineate".
Stefano: "Quando non c'era qualche alleanza bifronte...comunque, sì, è un matrimonio ora".
 
L'hai scritta per Michele Quando ti guardo, vero?
Stefano: "Sì, esatto".
Michele: "É arrivato il momento del nostro coming out".
 
Musicalmente cosa ricercate, adesso? Qual è il vostro habitat?
Stefano: "Adesso siamo orientati alla ricerca della melodia di una canzone, di un testo che fluisca perfettamente e di arrangiamenti di un certo tipo".
Michele: "Per forza di cose, in due ti chiudi in spazi più piccoli e tutto diventa più intimo. E con l'intimità c'è la voglia di sentirsi anche meglio, nel senso letterale di sentirsi: suoni più soffusi, il cantato che esce di più e la parola che si esprime bene. Per anni, nella band, nonostante suonassi la batteria, mi sono sentito poco".
 
I Ghepardi....è un nome davvero figo.
Stefano: "Quando, all'inizio, provavamo al 'Varco' dovevamo prenotare la saletta mettendo un nome. I Ghepardi è nato per scherzo, un gioco ironico tra me e Michi che poi ci è piaciuto ed è rimasto perché, per noi, l'autoironia è fondamentale. Oggi troppa gente si prende sul serio".
Michele: "E poi Ghepardi fa pensare a Leopardi e si può giocare con l'esistenzialismo".
Stefano: "Ah, non ci avevo mai pensato...in effetti funziona".
 
Di cosa si nutrono i Ghepardi?
Michele: "Di buona musica, di buone letture, di bella gente. In generale di qualunque cosa possa esprimere bellezza ma non della bellezza assoluta, perché non siamo Gabriele D'Annunzio. Se vuoi sapere cosa ascoltiamo, io potrei dirti i Beatles, gli Abba, i Baustelle, gli Strokes o anche Cesare Cremonini. Su quest'ultimo qualcuno storcerà il naso ma per me nelle sue canzoni c'è qualcosa di quel bello che ricerco".
Stefano: "Anch'io dico i Beatles. E poi Bob Dylan, i Velvet Underground e Lou Reed solista o la musica soul di Sam Cooke e Marvin Gaye o il funk di Sly & The Family Stone".
 
Un gruppo cuneese qualche anno fa cantava: "Noi cerchiamo la bellezza, ovunque".
Michele: Chi sono? Gli Afterhours?
Stefano: "Ha detto cuneese...non sono i Marlene Kuntz?
 
Proprio voi due mi cadete sugli Afterhours? Lo sapete che dovrò scriverlo nella nostra intervista?
Stefano: "Ultimamente leggo tantissimo le interviste. Recentemente ne ho letta una meravigliosa a Ninetto Davoli, l'attore feticcio di Pasolini, su Rolling Stone. Se le domande sono fighe, e chi è intervistato ha qualcosa da dire, cogli aspetti interessanti della persona che difficilmente potresti conoscere. Spesso le interviste sono le cose più divertenti da leggere".
 
Mi stai facendo venire l'ansia da prestazione.
Stefano: "No, perché? Non devi preoccuparti!".
Michele: "Stai tranquilla. A me le interviste nemmeno piacciono particolarmente".

Notizie interessanti:

Vedi altro