CUNEO - Incontro con Aldo Galliano, ritrattista dei grandi maestri

Cinquantatre ritratti realizzati dal fotografo, originario di Costigliole Saluzzo, sono esposti al "Ma.Co.f.-Centro della fotografia italiana” di Brescia

Aldo Galliano
Guido Harari
Giovanni Gastel, Lisetta Carmi e Michelangelo Pistoletto

Francesca Barbero 18/01/2023 10:40

Tre rampe di scale e un corridoio, all'interno della vecchia stazione di Costigliole Saluzzo, portano allo studio fotografico di Aldo Galliano: una stanza dall'intonaco bianco e il pavimento a mosaico stile anni '60 con una finestra affacciata sul piazzale antistante, quello che un tempo era un luogo di arrivi e partenze. Al suo interno un fondale grigio, alcuni softbox, uno scaffale, uno specchio e una scrivania su cui poggiano una macchinetta del caffè, alcune candele e "Teleny" di Oscar Wilde. La fotografia di una ragazza con un bouquet in mano è l'unica stampa appesa alle pareti. L'ha scattata Aldo per strada, a Milano, qualche anno fa. Sul termosifone, vicino alla finestra, una pila di cd e musicassette. Uno studio rivela molti aspetti dell'artista e della persona. Lo sa bene Aldo Galliano, classe 1965, originario di Costigliole. Dal 2015 Aldo ha percorso molte rampe di scale e corridoi che l'hanno portato negli atelier e negli studi dei grandi maestri. Un progetto, il suo, che l'ha portato a girare l'Italia per incontrare e ritrarre grandi fotografi come Gianni Berengo Gardin, Franco Fontana, Giovanni Gastel, Ferdinando Scianna, Lisetta Carmi, Letizia Battaglia, Paolo Pellegrin e artisti come Arnaldo Pomodoro, Emilio Isgrò, Ugo Nespolo, Michelangelo Pistoletto. Ogni incontro è stato unico e intenso come testimoniano i 53 ritratti di "Incontri", personale di Aldo Galliano, al "Ma.Co.f.-Centro della fotografia italiana" di Brescia, visitabile fino al 19 febbraio.
 
Quando hai scoperto la fotografia? É stata una scelta consapevole, un caso o un'epifania?
"È stato un caso. Direi un caso che sia ritornato a usare la macchina fotografica perché quando ero adolescente mi piaceva molto fotografare e fare i ritratti a mia nonna (fu lei a comprarmi la mia prima reflex). Poi, però, ho abbandonato la fotografia e ho iniziato a realizzare le mie 'Città future', sculture di circuiti elettrici su cui dipingevo. Ho ripreso a fotografare quando, una ventina di anni fa, pensai che sarebbe stato interessante filmare l'allestimento di una collettiva di amici e, seguendo il consiglio di uno di loro, invece di una videocamera, comprai una reflex. Non ho mai fatto quel video, anzi per la verità non ho mai fatto nessun video, ma ho ripreso a fotografare: è stata una riscoperta straordinaria, orgasmica".
 
"Incontri" raccoglie una serie di ritratti a figure entrate nella storia dell'arte e della fotografia, che ti hanno aperto le porte dei loro studi, dei loro atelier e delle loro case. Come è nato il progetto?
"L'idea ha preso forma una sera, durante un incontro di 'Foto Slow', gruppo fotografico che oggi non esiste più, e inizialmente era quella di fotografare personaggi che appartenevano o vivevano nelle valli per motivi di turismo o lavoro. Allora amavo andare in bicicletta e così, una mattina, zaino in spalla e macchina fotografica, sono partito da Costigliole per la Val Maira. Mi ricorderò sempre il momento in cui c'erano due persone sedute a un tavolino di un bar che avrei voluto fotografare...ma ebbi il coraggio di farlo, nemmeno da lontano. Tornato a casa, dopo aver passato qualche giorno a rimuginare sull'accaduto, chiamai l'amico e artista Cesare Botto dicendogli di avere questo problema e di non riuscire a capirne il motivo. 'Beh Aldo, fotografa i tuoi amici artisti' fu la sua risposta. È in quel momento che il progetto è nato e Cesare mi ha accompagnato tantissimo nel mio percorso. Nel 2013 ho iniziato a fotografare gli artisti cuneesi. Nel 2015 ho deciso di provare a ritrarre anche gli artisti fuori dai confini provinciali, partendo da quelli torinesi e contattando Ugo Nespolo, che però in quel periodo era a New York. Tempo dopo ricevetti una telefonata dal suo studio per sapere se fossi ancora interessato a ritrarlo. Quando ci incontrammo, Nespolo mi domandò se avessi già fotografato Pistoletto e alla mia risposta di non essere riuscito a trovarlo disse soltanto 'Lo troverai'. Parole importanti che mi spinsero a ripartire e iniziare una nuova fase del progetto. Un altro incontro fondamentale fu quello con Franco Fontana, che mi diede il numero di tantissimi artisti, grazie al suo aiuto si aprirono moltissime porte".
 
E come hai conosciuto Fontana?
"Tramite il 'Consorzio Creativo', un'associazione culturale di Modena, riuscii ad avere il numero di sua figlia Cristina. Le telefonai e lei mi disse che avrebbe chiesto al babbo. Tempo dopo ero in stazione  a Modena, dove mi venne a prendere per portarmi nello studio del padre: una volta arrivati entrammo in una stanza in cui bisognava fare attenzione a non buttare giù le pile e le cataste di libri,  una cosa meravigliosa. Ho fotografato Fontana sul terrazzo, dove poi siamo rimasti seduti a chiacchierare: fu lì che gli chiesi il numero di Mimmo Jodice. 'Vuoi solo il suo?', mi rispose".
 
E così da quel momento hai iniziato a girare l'Italia per incontrare, e ritrarre, fotografi e artisti.
"Sì. Quando telefonavo mi sedevo in salotto e prendevo fiato prima di domandare di poterli fotografare perché dall'altra parte della cornetta c'erano figure importanti, i miei idoli in alcuni casi, e quindi ero davvero molto emozionato. Oggi è ancora così, a volte. Nonostante l'esperienza".
 
Franco Fontana, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi...sono tanti i fotografi e le fotografe che hai ritratto negli anni. Com'è fotografare un maestro? Non provavi una sorta di timore reverenziale?
"Il timore reverenziale l'ho provato con tutti quelli che ho ritratto. Ogni incontro è sempre un'emozione forte e unica. A volte trascorriamo insieme qualche ora, altre volte intere giornate. Quando esco  dallo studio di un fotografo o da un atelier di un artista è un po' come una liberazione: è un'esperienza bellissima e intensa ma anche molto tosta perché non sai chi è la persona che incontrerai, quanto tempo passerai con lei...prima dell'incontro conosci l'artista ma non la persona".
 
C'è un incontro che porterai sempre nel cuore?
"Ogni incontro è stato importante e ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa ma la dolcezza di Giovanni Gastel mi ha toccato il cuore. Era una persona di una squisitezza meravigliosa e di una gentilezza fuori dal comune. Mi disse di essere a mia completa disposizione per qualsiasi cosa e, dopo l'incontro, uscii dal suo studio con diversi libri che mi regalò".
 
I tuoi ritratti sono anche una testimonianza e un documento di volti che non ci sono più. Come nel caso di Gastel. O di Lisetta Carmi e Letizia Battaglia. Com'è stato incontrare queste due grandi fotografe?
"Passai due ore seduto vicino a Lisetta Carmi nel suo salotto della casa di Cisternino, in pieno inverno. Mi teneva per mano e mi raccontava il suo vissuto a Genova e il periodo in cui conobbe i travestiti che fotografò. Li chiamava ancora tutti per nome e, mentre sfogliavamo il libro con le sue fotografie, mi raccontava le loro storie: quella di un uomo che faceva lo scaricatore di porto e che, dopo essere entrato in quel mondo, e vedendo che era meno faticoso e logorante, decise di rimanerci, quella di un altro che accettò di farsi fotografare solo se fosse finito in copertina di un libro, promessa poi mantenuta, e di tanti altri. Con Letizia Battaglia non passai molto tempo, invece. Quando arrivai nel suo studio per prima cosa mi abbracciò e poi mi chiese, in palermitano, chi me l'avesse fatto fare di percorrere tutti quei chilometri e raggiungerla a Palermo. Mi rispose di farle il piacere quando le dissi che me l'aveva fatto fare lei".
 
Ferdinando Scianna è un altro grande maestro che hai fotografato.
"Sì, lui è una persona piacevole, educata ma anche un po' burbero. Quando lo fotografai non funzionava il flash perché la mia nipotina l'aveva toccato la sera precedente e io, per l'agitazione, non riuscivo a farlo funzionare. 'Alza sti ISO e facciamo la foto, non ti preoccupare' mi disse quel giorno".
 
E Gianni Berengo Gardin?
"Lui è dolcissimo. Sfogliavamo un libro, come io e te adesso. Voleva aiutarmi e mentre girava le pagine indicando artisti e fotografi, per capire chi avessi già fotografato, si soffermava sui loro ritratti dicendo 'morto', 'morto', 'vivo'...quando arrivò al suo ritratto disse 'vivo', accompagnando la parola con un gesto scaramantico".
 
Tornando alla ricerca di Pistoletto, il suo ritratto testimonia che sei riuscito a trovarlo (e che Ugo Nespolo aveva ragione).
"Sì, riuscì a contattarlo e lo incontrai all'inaugurazione di una sua mostra, a Torino. Quel giorno mi prese a braccetto spiegandomi tutte le opere esposte. Dietro di noi i fotografi e i giornalisti che erano lì per la conferenza stampa. Poi gli dissi di averlo cercato per una vita e lui mi rispose che stavo cercando nel posto sbagliato".
 
Pistoletto è arrivato a Cuneo. "Il Terzo Paradiso dei talenti" è stato inaugurato alla presenza dell'artista, lo scorso ottobre. Che ne pensi? Immagino fossi presente.
"No, non lo sapevo. Forse c'è qualche problema nella comunicazione cuneese, a volte. O forse sono io che vivo in un mondo tutto mio. Di quella scultura bisogna capire il concetto. Si potrebbe dire che sono anni che Pistoletto marcia sul concetto del 'Terzo Paradiso' ma non è proprio così perché se certi concetti reggono significa che sono qualcosa di solido".
 
Nel cuneese hai ritratto anche Guido Harari: il fotografo della musica per antonomasia. Ad Alba c'è la sua "Wall of Sound Gallery".
"Con Guido ci siamo incontrati ad Alba e poi siamo andati in Langa, dopo essere passati a prendere due sedie da una sua amica antiquaria. Era una giornata stupenda e abbiamo passato qualche ora in un noccioleto dove l'ho ritratto insieme alla figlia di amici. Poi mi ha chiesto di prestargli la macchina e ha fotografato anche lui la bimba. È stato bello passare mezza giornata con un fotografo come lui, che ha ritratto tutti i più grandi. Penso alla fotografia di Fabrizio De André che dorme coricato vicino a un termosifone, e mi vengono i brividi".
 
Che rapporto hai con la tua macchina fotografica?
"Della mia reflex, quella utilizzata per il progetto, ho la massima cura. Nei periodi in cui non scatto la tiro fuori dalla custodia per pulirla con la pompetta ad aria, soffio via la polvere dall'otturatore, dal mirino e poi la rimetto nella borsa. Invece, l' Hasselblad, che sto utilizzando per un nuovo progetto, ho bisogno di toccarla e tenerla tra le mani. É un po' come fosse una bella donna e, tra noi, è nato un amore pazzesco. Purtroppo dopo il Covid non esco più con la macchina fotografica come facevo prima, al momento non riesco a portarla in giro. Ma sono sicuro che ritornerà quel rapporto per cui prima era parte di me, al punto che quasi ci dormivo insieme".
 
Per un fotografo una macchina fotografica non è mai solo un mezzo.
"No, non lo è. La fotografia non è mai solo tecnica. Una fotografia non è solo 1/125 di secondo ma tutto il tempo che c'è prima e tutto il tempo che c'è dopo. Sì, è pur sempre un mezzo ma se è vero che senza di lei non si scatterebbe è vero anche che, senza di noi, lei non farebbe niente. Una macchina fotografica è parte di un fotografo come una chitarra, o un altro strumento, è parte di un musicista. E l'unione della persona e del suo strumento portano all'arte".
 
E una macchina fotografica non è mai uguale a un'altra. Come una chitarra.
"Sai, Giacomelli ha scattato tutta una vita con una sola macchina fotografica. Ma ne aveva un'altra e raccontò, quando per qualche motivo doveva utilizzarla, di fare molta attenzione che l'altra non lo vedesse perché temeva si ingelosisse. Credo che se c'è veramente intensità o amore per qualcosa, a un certo punto, si va oltre la tecnica e basta. Non ti importa più se il tempo è perfettamente corretto, se la fotografia sarà sottoesposta o sovraesposta ma quello che vuoi raccontare. Certo quelli tecnici sono aspetti importanti ma passano in secondo piano. Una grande lezione me la diede Giorgio Lotti, quando lo incontrai per ritrarlo. A casa sua, finito di bere il caffè, mi disse di fotografare le due tazzine. Ricordo che mi lasciò lì con le tazzine, la macchina fotografica e me stesso per un tempo indefinito, in cui mi vennero i sudori freddi. Poi tornò e mi disse: 'Vedi Aldo, se decidiamo di fare una cartolina adesso andiamo a prendere le luci, l'esposimetro, che calcolerà perfettamente l'esposizione, mettiamo un cavalletto e scattiamo. Ma se vogliamo raccontare davvero quelle tazzine prima dobbiamo capirle. Capire perché sono bianche, perché hanno questi segni, perché sono qui, perché quando le abbiamo poggiate sul tavolo tu l'hai rivolta così mentre io in quest'altro modo...una volta che avrai accumulato più notizie possibili su queste tazzine, prendi la macchina e scatta. Allora avrai fatto una buona fotografia'".
 
Hai scelto di non fare il fotografo professionista. É l'unico modo per essere davvero liberi?
"Credo di sì, non avendo clienti o committenti. So che non ci guadagnerò un centesimo ma posso fare quello che voglio. Fortunatamente ho un altro lavoro che mi permette di farlo".
 
Ma, tra tutti questi grandi fotografi, c'è qualcuno che ha voluto ritrarre Aldo Galliano?
"Sì, Uliano Lucas e Guido Guidi. Ma non ho mai visto i miei ritratti e non ho mai nemmeno chiesto di poterli vedere. Prima o poi lo farò".
 
  

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